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Filippo Manganaro
SENZA PATTO NE' LEGGE
Antagonismo operaio negli Stati uniti

pp.310 € 17,00

 

 

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Un gran bel libro, da leggere anche senza la scadenza degli anniversari.


Una storia del movimento operaio statunitense, scritta in modo agile, simpatetico ed estremamente leggibile, quasi a ritmo di rap. Episodi noti si alternano ad altri sconosciuti al pubblico italiano, ma tutti contribuiscono a disegnare un quadro dei rapporti tra lavoro dipendente e imprenditori che non ha paragoni nel Vecchio Continente: un mondo dove al lavoratore non sono riconosciuti diritti stabili e di portata nazionale. È una storia, perciò, molto segnata dalla violenza. Da parte dello Stato, come è spesso avvenuto anche in Europa; ma anche da parte delle milizie aziendali (i corporate warriors sono un’invenzione Usa che solo l’Iraq ha portato alla notorietà internazionale). Violenza che ha spesso suscitato una reazione eguale e contraria – benché sempre perdente – nei lavoratori di recente immigrazione. Una storia fatta però anche di canzoni, messaggi beffardi, controcultura e ironia. Una storia, dunque, documentata in modo inappuntabile, ma che si fa leggere come un romanzo.

dalla Nota editoriale:
Come descrivere il “ventre della bestia”? Chi guarda agli Stati uniti rischia facilmente lo strabismo, preso in mezzo dallo scarto indescrivibile tra principi enunciati e realtà empirica, tipo il “diritto alla felicità” inscritto nella Dichiarazione d’Indipendenza e la morte distribuita con sublime nonchalance a concittadini, migranti, popoli lontani. Basta che attraversino il binario del capitale – o dell’ultimo suo vigilante – nel punto e nell’orario sbagliato.
In questo straordinario libro sul movimento operaio americano – straordinario per freschezza di linguaggio, familiarità con la “mentalità corrente” d’oltreoceano, empatia e selezione degli episodi rilevanti – abbiamo scelto tre citazioni che rappresentano al meglio i soggetti principali del conflitto sociale, di quel paese come di ogni altro al mondo: i padroni, gli antagonisti e lo Stato.
“Posso assumere metà dei lavoratori perché uccidano l’altra metà”. J. Gould, costruttore e proprietario di ferrovie, nel 1886, affrontava così uno sciopero dei suoi dipendenti. La battuta non era evidentemente frutto di un occasionale momento di rabbia, se Martin Scorsese, 115 anni dopo, trova ancora necessario metterla in bocca a uno dei protagonisti del suo Gangs of New York. Rivelatrice di un rapporto sociale, dunque, e di una “costituzione materiale” che non è neppure in aperto conflitto con quella “formale” (privilegio esclusivo, questo, dell’Italia del dopoguerra)...
Filippo Manganaro è un giovane studioso, profondo conoscitore degli Stati uniti per ragioni di lavoro, oltre che di studio.
La storia di oltre cento anni di lotta sindacale negli Usa in cui la fondazione – il 2 gennaio del 1905 – degli IWW (Industrial Workers of the World) fu momento cruciale; dall’Irlanda di Molly Maguire agli anni ’80 di Silvia Baraldini e Mumia Abu-Jamal, “un’analisi lucida e approfondita, di facile lettura in cui si evidenzia il filo rosso che lega la storia americana: la “lotta al socialismo”, e da cui si può capire perché non c’è il socialismo negli Usa: perché sono stati tutti ammazzati”... Con queste parole Lucio Manisco, che ha molto apprezzato il libro, iniziava il suo intervento alla presentazione del 23 settembre, auspicandone la traduzione e la diffusione negli Stati uniti in cui il vero problema della sinistra è la rimozione della memoria. Infatti, per esempio, “Gli Americani credono che il 1° maggio sia la festa in cui la Russia Sovietica mostrava al mondo la sua potenza militare con la sfilata di Mosca e non ne conoscono la vera origine che, come si dice nel libro, si ritrova nel primo (e unico) sciopero generale nazionale degli Stati uniti e nel conseguente massacro di Haymarket Square”.
Una miriade di fatti e di protagonisti vengono alla ribalta in questa storia dell’antagonismo negli Usa: Mother Jones, Eugene Debs, Lucy Parson, Big Bill Haywood e gli IWW – i “dondolanti”, itineranti Wobblies –, ma anche i loro avversari “storici”: Samuel Gompers e l’American Federation of Labor (AFL).
Mario Maffi, che insegna Letteratura degli Stati uniti all’Università Statale di Milano, ha presentato “Senza patto né legge” venerdì 15 ottobre alla milanese libreria Odradek.
Maffi ha iniziato ricordando come, fra tutte le rimozioni che hanno contribuito a dare degli Stati Uniti un'immagine stereotipata e falsa, quella del movimento operaio e dello scontro di classe sia quasi totale, nonostante la gran quantità di libri, film e canzoni sull'argomento: da Jack London, Steinbeck, Dos Passos, a Scorsese e Springsteen. Persino nei film western si può leggere, tra le righe, la lotta fra i cowboys, braccianti a cavallo, e i proprietari terrieri. Il problema, ha continuato, è che ciò che non viene rimosso viene comunque assimilato e adattato (un esempio per tutti: la canzone "Questa terra è la mia terra" di Woody Guthrie diventata inno di organizzazioni ultra-reazionarie). L'importanza del libro di Filippo Manganaro (secondo Maffi, unico nel suo genere, in questo momento, in Italia) sta nel riportare alla luce soprattutto la storia dei primi vent'anni del secolo scorso, in cui si sviluppò l'esperienza straordinaria degli IWW e in cui maggiore fu la risposta violenta da parte dello Stato, con uccisioni e linciaggi paragonabili a quelli riservati a Nativi e neri. Un livello repressivo che fa impallidire il ricordo della "caccia alle streghe" degli anni Cinquanta, che è, in genere, l'unico ricordo "critico" che ogni tanto affiora.
Le molte domande dei presenti hanno portato il discorso sulla situazione attuale; il collegamento con quanto narrato nel libro ha portato alla constatazione che Ponzio Pilato non è stato il primo pacifista della storia ma è sicuramente antesignano di coloro che oggi, da posizioni di responsabilità di governo, sostengono e giustificano ogni atto di sospensione e annientamento del diritto perpetrato dagli Stati Uniti; atti che sono la logica evoluzione di quelli che hanno scandito la storia di quel paese fin dall'inizio.

La presentazione di Senza patto né legge di Filippo Manganaro ha aperto la seconda edizione di “Brutti caratteri”, rassegna dell’editoria indipendente organizzata dal csoa La Chimica di Verona, lo scorso sabato 21 maggio.
Ferruccio Gambino, docente di Sociologia del lavoro all'Università di Padova e autore di numerosi saggi, fra cui Critica del fordismo regolazionista, ha posto l’accento su alcuni aspetti peculiari della storia degli Industrial Workers of the World: la loro capacità di organizzare gli immigrati non qualificati superando le barriere linguistiche e, soprattutto, quella di "bucare" la cortina di isolamento mediatico dell'epoca grazie alle "free speech fights", le lotte per la libertà di parola; sono aspetti che travalicano la loro incidenza come organizzazione sullo scontro di classe negli Stati Uniti (limitata ai primi vent'anni del secolo scorso) e parlano direttamente alla smarrita sinistra di oggi, alle prese con i migranti del nuovo millennio.

Dice Manganaro: sappiamo che c'è una nazione che racconta di essere diventata grande grazie all'eroismo di individui ricchi e poveri, bianchi e neri uniti, in un'ideale cordata che parte dalla Rivoluzione ed arriva ai nostri giorni, nel far trionfare gli ideali americani di Giustizia, Libertà e Democrazia, e c'è il Presidente di questa nazione che rincara la dose affermando: "La lotta di classe? E' un'invenzione europea!".
Continua Manganaro: a sinistra, a furia di perdere punti di riferimento consolidati senza riuscire a sostituirli con altri che durino lo spazio di una stagione, qualcuno comincia a crederci, tanto da rispolverare il luogo comune su Marx che "ne ha azzeccate tante" ma, insomma, sugli USA non ci avrebbe proprio preso.
Senza patto nè legge vuole contribuire a colmare un vuoto trentennale nell'informazione antagonista sulla lotta di classe negli Stati Uniti, fornendo elementi utili ad una discussione sull'oggi ma, anche, riportando alla luce figure di donne e uomini che meriterebbero un posto accanto a Che Guevara nelle nostre memorie e nei nostri cuori.

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Non è più lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni bocca, un letto per ogni testa, della felicità per ogni cuore. E questo sarà il trionfo della vostra azione e della mia, o miei compagni e amici.
Sono poche le dichiarazioni in punto di morte commoventi ed emozionanti come quelle di Bartolomeo Vanzetti, condannato ingiustamente alla sedia elettrica assieme a Nicola Sacco dopo un processo-farsa con il quale il regime statunitense tentava di chiudere i conti col fortissimo movimento operaio che ne contrastava l’opera di sfruttamento delle masse povere, considerate pura e semplice forza lavoro, senza diritti né dignità. Si trattò di uno dei capitoli più importanti di una lotta che è durata più di un secolo, ed è tuttora in corso, pur in forme diverse e meno cruente. Una epopea che il bel libro di Filippo Manganaro ci racconta con energia, vitalità, senza pesantezze storiografiche né pretese di equidistanza. Ne vien fuori la natura profondamente oligarchica, di classe, “razzista senza vergogna” del patto sociale stesso che è alla base della struttura dello Stato Usa, fondato su un patto tra proprietari terrieri e industriali, dal quale i lavoratori sono scientemente esclusi. Di qui la necessità di organizzazioni che sapessero rivendicare i diritti negati e lottare, se necessario con mezzi non legali, per ottenerne almeno una parte. Gli Industrial Workers of The World furono e sono un sindacato grintoso, compatto, determinato. Ma anche informale, aperto, ringiovanito continuamente da nuove energie provenienti dalla base. Si è trattato di un fenomeno unico nella storia del movimento operaio, per l’importanza attribuita alla spontaneità, alla poesia, all’umorismo. Qualcuno scrisse che i membri dell’IWW “conoscevano troppo il lavoro per essere degli operaisti”. Manganaro dà conto della loro storia, delle loro conquiste e delle loro sconfitte, mettendo sotto nuova luce un fondamentale aspetto della storia statunitense (spesso poco esplorato) e restituendo al lettore una sana, vibrante voglia di lottare ancora.
David Frati  (30-09-2005)

Sta su http://www.lettera.com/libri/libro.jsp?id=5677 Collegandosi, si può votare il proprio gradimento! Votate numerosi!!

Grazie David, per la recensione precisa, come sempre sono le tue recensioni.

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Recensione comparsa su "Collegamenti Wobbly", N° 7, gennaio - giugno 2005: http://www.collegamentiwobbly.it/salvaguai/IWW_Manganaro.htm

Filippo Manganaro, Senza patto né legge: antagonismo operaio negli Stati Uniti
Una breve storia del movimento operaio statunitense, dalle origini agli anni '80, che si legge molto agevolmente.
Le origini sindacali di un paese che si fonda sull'immigrazione non possono che essere altrove, nello specifico nelle lotte delle fasce deboli del cattolicesimo irlandese, che iniziarono ad opporsi intorno alla metà dell''800 all'arroganza dei padroni scozzesi che continuamente rubavano la terra migliore. Una rapida carrellata, quindi, da Molly Maguire a Joe Hill, alle prime lotte nelle miniere di carbone e nei cantieri ferroviari, le prime organizzazioni solidaristiche e l'inizio di un'attività sindacale vera e propria, con la nascita dei primi sindacati dei minatori, le continue repressioni a mano armata e i primi tentativi di autodifesa fino alla strage di Chicago, con i martiri di Haymarket organizzata per reprimere un movimento operaio che, con associazioni come i “Knights of Labour” erano ormai arrivati a 700.000 associati e avevano organizzato per il 1 maggio 1886 il primo (e unico) sciopero generale nazionale per la giornata di 8 ore: 340.000 scioperanti di cui 80.000 nella sola Chicago! Le provocazioni, la repressione e l'assassinio di dirigenti e semplici militanti sindacali sono l'origine di quella festa dei lavoratori tuttora celebrata anche se “epurata” delle motivazioni originali (si pensi solo al tentativo delle gerarchie ecclesiastiche di imporre sui calendari un “San Giuseppe lavoratore” che nulla ha a che fare con gli anarchici impiccati...).
Sempre nel 1886 nasce l'American Federation of Labour (AFL), il cui principale leader sarà quel Samuel Gompers, fulgido esempio di sindacalista collaborazionista che appoggerà pienamente la repressione contro il movimento antagonista operaio.
Nel 1905, quindi giusto un secolo fa, nascono gli Industrial Workers of the World, gli IWW o i “wobblies”, che si porranno subito il problema di allargare la base oltre che agli anglofoni a tutte le comunità di immigrati, utilizzando molti giornali in diverse lingue nazionali (e qui, forse, sarebbe stato interessante qualche riga in più sull'esperienza de “Il Proletario”, il settimanale in lingua italiana che fino agli anni '40 raccolse molto del fuoriuscitismo antifascista e sindacalista). Il simbolo, un gatto selvaggio, e le pratiche adottate che molte volte sfociarono nel sabotaggio da un lato e nella difesa armata degli scioperi, furono una loro caratteristica: quella della difesa, in realtà, è sempre stata una necessità pratica, visto che i “Pinkerton” (che a molti fanno venire in mente gli investigatori privati di qualche film western) in realtà furono sempre molto attivi nella repressione di ogni lotta sindacale, veri antenati di quei “contractors” ben presenti nelle guerre moderne.
Il primo conflitto mondiale e il seguente pericolo bolscevico costrinsero il movimento sindacale a ripiegare su se stesso, costretto a combattere una guerra intestina tra collaborazionisti e non-sottomessi in analogia a quello che successe in tutto il mondo, e costrinse i più ribelli a emigrare verso il Messico e il sud per evitare la repressione e l'arruolamento forzoso.
Negli anni '20 la caccia all'immigrato (spesso indicato come anarchico e quindi da reprimere) continua con il tristemente famoso processo a Sacco e Vanzetti, solo recentemente riabilitati dalla giustizia a stelle e strisce. La depressione post '29 porterà al vagabondaggio, all'esodo di molte famiglie alla ricerca di un lavoro, forti tensioni e nuovi conflitti sociali (ma anche un cantore del sindacalismo, come Woody Guthrie), negli anni '30 nascerà il Committee for Industrial Organization (Cio), prima frazione organizzata all'interno dell'AFL, poi sindacato separato; la seconda guerra mondiale ricompattò l'America contro il nazismo, prima, e l'Unione Sovietica in seguito, riducendo sempre più gli spazi per un'azione sindacale ormai schiacciata dalla caccia alle streghe del senatore McCarthy. La repressione contro i rossi stroncherà, oltre che il sindacato non concertativo, anche tutta l'opposizione sociale e politica (marxista o meno) non appena cercherà di crescere numericamente e convincerà a metà degli anni '50 una ricomposizione del dissidio tra le due maggiori centrali sindacali, dando vita all'Afl-Cio.
Ormai il sindacato è qualcosa di minoritario, molto allineato, che sicuramente non ha più interesse alla lotta di classe ed alla conflittualità sociale: verrà “scavalcato a sinistra” dalle lotte per i diritti civili, da quelle studentesche e contro la guerra del Vietnam, da Martin Luther King e dalle Pantere Nere, dalle lotte dei ghetti e dagli antinucleari; solo sul finire degli anni '90 qualche segno di risveglio, se è vero che nel grande marasma di Seattle sventolavano anche le bandiere dell'Afl-Cio.
In definitiva il lavoro di Filippo Manganaro può essere giudicato un buon testo per chi voglia iniziare a conoscere il movimento operaio alternativo statunitense, una buona base da cui partire, con la lettura di altri testi spesso indicati nelle note.


Renzo Magneco


Cronache dal continente operaio made in Usa
FERDINANDO FASCE
il manifesto, 23 ottobre 2004-10-24


La copertina e la fascetta che avvolge il libro di Filippo Manganaro Senza patto né legge. Antagonismo operaio negli Stati Uniti (Odradek, pp. 313, € 17) ci ricordano meritoriamente che stiamo per entrare nell'anno che celebrerà il centenario di fondazione degli Industrial Workers of the World (Iww), il grande movimento internazionalista dei lavoratori, fondato a Chicago nel giugno 1905. Di loro si è parlato recentemente su queste stesse pagine, in occasione della ripubblicazione dell'autobiografia di uno dei loro esponenti più significativi, Big Bill Haywood, con la prefazione di Bruno Cartosio, lo storico italiano che per primo, unitamente a Santa Cigliano, se ne occupò, oltre trent'anni fa. Senza patto né legge reca in copertina la classica immagine usata nel 1913 per promuovere lo spettacolo teatrale che i wobblies (come venivano chiamati) misero in scena a New York per sostenere lo sciopero, allora in corso, dei setaioli della vicina Paterson (New Jersey); spettacolo che vide la partecipazione diretta di scioperanti e militanti sindacali. La fascetta augura un affettuoso “buon compleanno” all'Iww, che in effetti formalmente esiste ancora, anche se la sua vera storia si fermò alle soglie degli anni Venti, pur avendo poi da allora esercitato un'enorme influenza sulla travagliata vicenda del mondo del lavoro, statunitense e non.
Invero, come suggerisce il sottotitolo, il libro abbraccia l'intera parabola dell'antagonismo operaio del Novecento. Ma la sua prima parte, corrispondente a circa due terzi del totale, è dedicata quasi interamente ai wobblies. Questi ultimi campeggiano in dieci, densi capitoletti che ripercorrono la storia dell'organizzazione e del suo rapporto con l'espansione della condizione lavorativa dipendente massificata, in corso nella prima età della globalizzazione, e con i processi di mobilitazione che quella forza lavoro - distesa tra prima e seconda rivoluzione industriale, emersione del fordismo e “fabbrica diffusa” dei migranti stagionali dell'Ovest, pesanti stigmi razzisti e di genere e prove di trasmissione del consumismo a venire - mise in moto. Si passa così, in pagine non prive di suggestione, dalla convenzione di fondazione di Chicago, alle diatribe interne dei primi anni sulla questione politica, ai grandi scioperi di McKees Rocks e di Lawrence, alla feroce repressione della guerra e del dopoguerra. Occorre dire subito che esagera la Nota editoriale che, dopo aver chiamato erroneamente gli Iww “International Workers of the World”, definisce il libro “straordinario”, caricandolo di responsabilità e promesse, che ci pare poi per fortuna l'autore stesso ridimensiona quando, nella terz'ultima pagina, riconosce, più modestamente, che l'obiettivo, senz'altro commendevole, era, “in questi tempi”, nei quali “capita... di sentirsi talvolta come un granello di sabbia in balia del vento neoliberista”, quello di “ricordare che gli Stati Uniti sono anche la patria di Bill Haywood e Mother Jones, Gene Debs ed Elizabeth Flynn, delle operai tessili di Lawrence e dei metalmeccanici di Flint”.
Il libro non è straordinario non solo per qualche omissione o svista che noi aficionados dei wobblies non possiamo esimerci dal segnalare: tipo quella di liquidare improvvisamente una figura importante come William Trautmann, senza averne chiarito il ruolo cruciale nella fase formativa del movimento e senza aver ricordato che negli anni Trenta Trautmann redasse un importante testo rimasto inedito dal titolo evocativo di Power of Folded Arms and Thinking Bayonets (“Potere delle braccia incrociate e delle baionette pensanti”). Oppure quella per cui, secondo l'autore, un altro dei nostri eroi di gioventù, Joe Ettor, fu “espulso” dall'Iww, mentre è noto che se ne andò sbattendo la porta contro le pratiche a suo dire autoritarie di Haywood.
Il problema di fondo del lavoro di Manganaro è che, comprensibilmente preoccupato di informare in maniera rapida e fresca, pur discutendo lucidamente di politica e di sabotaggio, finisce per non tematizzare adeguatamente alcuni grandi nodi che rendono la storia wobbly così importante A cominciare da quello del rapporto spontaneità-organizzazione, qui invero affrontato, ma senza alcun cenno alle pagine rilevanti che sia Bruno Cartosio che Renato Musto pure vi dedicarono trent'anni fa (per inciso, la carentissima bibliografia del libro è una questione, non meramente filologica, che meriterebbe un discorso a parte). Per proseguire con la questione dell'internazionalismo, predicato e soprattutto praticato, dai wobblies. Un aspetto, questo, sul quale oggi sappiamo tante cose che sarebbe bene entrassero nel discorso pubblico generale, o almeno della nostra parte, in tempi di migrazioni globali come quelli attuali. Oppure con l'importanza che può avere oggi (tant'è vero che ci stanno lavorando allievi e studiosi in vario modo collegati al maestro di tutti noi, David Montgomery, che pure con l'Iww non è mai stato tenerissimo) il nodo dei lavoratori stagionali, in rapporto alla drammatica precarizzazione del lavoro attualmente in corso.
Chiarito che questo non è un libro straordinario, occorre però aggiungere immediatamente che è comunque anche, per fortuna, un libro fuori dell'ordinario, e come tale va guardato con attenzione. Di Iww non si parlava da tempo, a parte le pagine che ai wobblies ha dedicato qualche anno il provocatorio affresco di Hardt e Negri Impero. Che però poi finiva per affogare i lavoratori statunitensi in un unico calderone di immaginette militanti, che culminava in quel povero San Francesco, al quale da qualche anno pare non ne vada bene proprio una, tanto è tirato da ogni parte. Ed è importante che i giovani (e anche tutti quei meno giovani che in questi anni hanno inseguito chimere che li portavano lontani dalla vecchia, sana e drammatica questione del lavoro e del non lavoro) abbiano a disposizione un libro come questo, che riapre il discorso e illustra loro, in forma sintetica e accattivante, gli elementi essenziali della “faccia nascosta del pianeta operaio”, come Mario Tronti definì tanti anni fa gli Usa.
Ma non è meno importante appunto connettere il lodevole sforzo di Manganaro, da un lato, con la significativa riflessione sui wobblies avviata da Negri, ma soprattutto da Sergio Bologna, da Tronti e in particolare da Cartosio e Musto, oltre trent'anni fa, e, dall'altro, con i contributi che nel frattempo sono arrivati dalla storia delle donne, delle migrazioni, del razzismo e della politica diffusa. Per vedere dove il filo di una memoria di classe capace davvero di superare le barriere di lingua e di razza si è spezzato, quali erano le sue ricchezze e i suoi limiti, dove e come possiamo provare a ricomporlo, in un dialogo impregiudicato fra diverse sponde del mondo e diverse generazioni di militanti, studiosi e osservatori.

Una buona recensione, che recepisce la novità e l’utilità del libro, e di cui ringraziamo Ferdinando Fasce. Qui di seguito, una
Precisazione di FILIPPO MANGANARO:

Mi fa piacere che Ferdinando Fasce giudichi importante che i giovani (e i meno giovani che, per qualche motivo, hanno “dimenticato”) abbiano a disposizione un libro che “riapre il discorso”, perché è esattamente questo il senso della pubblicazione. Se avessi voluto cimentarmi in una scolastica tenzone con i testi di trent’anni fa, sarebbe stato, da parte mia, un imperdonabile atto di presunzione (che non avrebbe sicuramente trovato accoglienza da Odradek) ma anche, con tutto il rispetto, un’operazione inutile.
Se quei testi fossero ancora disponibili, se “la faccia nascosta del pianeta operaio” fosse invece visibile e oggetto di dibattito anche fuori dalla ristretta cerchia degli adepti, non avrei probabilmente sentito l’esigenza di ripartire, oggi, da qui. Avrei, comunque, sentito l’esigenza di invitare alla lettura di quei testi, che sono stati alla base del mio interesse per l’argomento, inserendo una bibliografia che, invece, non c’è. Mi stupisce che Fasce, non solo l’abbia trovata, ma la giudichi anche “carentissima”: non penso che sia corretto definire “bibliografia” l’insieme dei riferimenti nelle note a piè di pagina, perché ci sono unicamente quelli da cui ho estratto dei brani.
A questo punto mi piacerebbe sinceramente capire se Fasce considera “non adeguatamente tematizzato” il rapporto spontaneità-organizzazione per carenze nell’esposizione o perché, come scrive, non si fa “alcun cenno alle pagine rilevanti che sia Bruno Cartosio che Renato Musto pure vi dedicarono trent’anni fa”.
Accolgo volentieri le sue precisazioni (è vero, Joseph Ettor anticipò il provvedimento di espulsione sbattendo la porta; è vero, non ho ricordato il testo, mai pubblicato, di Trautmann) e, soprattutto, mi auguro che la “ricomposizione del filo spezzato della memoria di classe” si avvalga dei nuovi contributi che anche Fasce auspica, e che, mai come oggi, sono indispensabili.

Trasmissione Onde Road di sabato 20 novembre, condotta da Claudio Agostoni, dedicata a New York.

Agostoni parla della chiusura della “Everlast”, storica fabbrica di guantoni da boxe, che lascia senza lavoro un centinaio di operai.

Manganaro: Parlando di avvenimenti in qualche modo legati alla boxe a New York, per associazione d’idee viene in mente il Madison Square Garden, teatro di sfide indimenticabili per gli appassionati, ma che nel 1913 ha fatto da contenitore ad un avvenimento di tutt’altro tipo. La vicenda inizia nel New Jersey, sulla riva opposta del fiume Hudson rispetto a Manhattan, e precisamente a Paterson, centro nazionale di lavorazione della seta dove un grande sciopero ha bloccato le industrie in cui lavorano decine di migliaia di immigrati. Scalzando dalla guida l’AFL, il sindacato di mestiere collaborazionista, la direzione viene presa in mano dagli IWW, i cosiddetti Wobblies. Con il motto “il lavoro senza arte è barbarie”, i lavoratori sviluppano, accanto alle tradizionali forme di lotta, tutta una serie di iniziative di contro-informazione e controcultura che culminano nella grande rappresentazione teatrale di massa in cui rivivono le fasi della lotta realmente accadute. Lo spettacolo in 6 atti viene assemblato dal giornalista John Reed, in seguito autore de “I dieci giorni che sconvolsero il mondo” e tra i fondatori del Partito Comunista…
Agostoni: Ah, quel John Reed lì, quello del filmone?
M.: Esatto, proprio quello di “Reds”, con Warren Beatty… Reed riesce ad affittare per l’occasione il Madison Square Garden. La sera della rappresentazione 1.200 operai/attori attraversano l’Hudson ed entrano in un Madison Square Garden stracolmo per andare a raccontare la loro lotta ai lavoratori di New York. È uno spettacolo, per così dire, interattivo, in cui il pubblico è chiamato a partecipare alle scene di massa (i comizi, il funerale di Valentino Modestino, lavoratore di origine italiana ucciso dalla polizia, l’arrivo delle “madri dello sciopero”, donne che accudiranno i bambini degli scioperanti mentre i loro genitori sono in lotta). Nel gran finale tutti insieme, i 1.200 operai attori e i 15.000 operai spettatori fanno tremare le pareti del Madison Square Garden al canto dell’Internazionale.
A.: la voce del “signore” che abbiamo ascoltato era quella di Filippo Manganaro, autore di un libro che consigliamo a tutti i nostri ascoltatori: “Senza patto né legge, antagonismo operaio negli Stati Uniti”, edito per i tipi di Odradek, 17 euro ben spesi. È una storia del movimento operaio statunitense scritta in modo agile, estremamente leggibile, quasi a ritmo di rap.
Filippo, ma di questa lotta cos’è rimasto poi?
M.: purtroppo, la storia degli IWW è piena di splendide vittorie parziali ma, per la stessa natura del movimento, assolutamente anti-partito, e per la natura magmatica della società americana, con gli immigrati che si spostavano in continuazione, di quelle belle vittorie rimaneva ben poco nel posto in cui erano avvenute; poi si accendeva un altro fuoco, magari da un’altra parte. Per esempio: un altro episodio successo a New York sette anni dopo è stata la battaglia sul fiume Hudson. Era il 1920, ed erano stati scatenati i “Palmer raids”, la repressione ordinata dal Ministro della Giustizia Palmer e dal suo giovane assistente Edgar Hoover nei confronti dei lavoratori “colpevoli” di antagonismo verso il capitale. Ellis Island, l’isolotto di fronte a Manhattan a cui attraccavano le navi degli emigranti partiti alla ricerca del sogno americano, inverte il flusso e diventa orifizio d’espulsione per decine di migliaia di persone. A Seattle 36 militanti IWW vengono caricati su un treno con destinazione New York, condannati alla deportazione proprio perché, è la motivazione ufficiale, militanti degli IWW. Il treno viene attaccato e fermato nel Montana da un migliaio di Wobblies che vogliono liberare i deportati, ma le autorità, prevedendo un’azione del genere, hanno giocato d’astuzia: il treno è vuoto, i prigionieri stanno raggiungendo la città per altre vie…
A.: come facevano coi convogli carichi di oro nei film western!
M.: la storia della lotta di classe negli Stati Uniti ricorda un grande film western! Solo che i protagonisti sono quelli che, nei film, vedi in una scena sola: seduti ai tavolini del saloon, che scompaiono assieme al pianista al primo accenno di sparatoria. Lì i protagonisti sono i pistoleri, nella realtà sono proprio i minatori, i boscaioli, gli immigrati…
Tornando al racconto: la notizia viene telegrafata ai compagni di New York (attenzione, stanno arrivando) e questi organizzano l’assalto al traghetto che porta i prigionieri a Ellis Island. Il fiume Hudson, tra quella che oggi è la zona di Battery Park ed Ellis Island, è teatro di una lunga battaglia, con le barche dei wobblies, che tentano di abbordare il traghetto, speronate da quelle della polizia.
Con gran fatica, i prigionieri sono rinchiusi a Ellis Island, ma gli scioperi e le proteste, in carcere e fuori, crescono d’intensità, tanto che, alla fine, solo 12 dei 36 militanti saranno condannati.
Il Museo dell’Immigrazione di Ellis Island, che consiglio a tutti coloro che dovessero recarsi a New York, riporta – non abbondantemente – di queste deportazioni nella parte fotografica.

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Valerio Evangelisti, in una lunga intervista rilasciata a Gabriele Battaglia per “Sapere.Virgilio” (http://sapere.virgilio.it/interviste/valerio_evangelisti.html)
sul suo ultimo libro Noi saremo tutto, uscito da poco per Mondadori, alla domanda


In fondo al libro c’è una splendida bibliografia per chi volesse diventare un indagatore della “storia nascosta del movimento operaio” degli Stati Uniti, ovviamente quasi tutta in lingua originale e magari difficile da reperire. Io so che tu non fai sconti a chi desidera approfondire, ma quale libro vorresti consigliare a una casa editrice italiana?

risponde:


Mah, per una volta non c’è neanche bisogno di andare a frugare tanto indietro, o in scaffali perduti delle biblioteche americane. Sono usciti di recente dei testi interessanti. Per le edizioni Odradek Senza patto né legge, un condensato di storia del movimento operaio americano, con anche dei documenti e anche molto viva. Non c’è sul mio libro perché è uscito dopo.

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Recensione di Giovanni Zucca apparsa su

perso.wanadoo.fr/arts.sombres/polar/4_tribune_luttes_classes_it.htm



Spie e tradimenti, complotti e delatori, killer e cadaveri… I personaggi e le situazioni di un thriller pieno di emozioni ci sono tutti. E le emozioni, anche. Purtroppo, però, non si tratta di un thriller. Purtroppo è successo davvero, e i morti, alla fine, non si sono rialzati, perché erano morti veri. Stiamo parlando di Senza patto né legge, intenso, suggestivo e avvincente saggio di Filippo Manganaro, giovane e combattivo studioso che ben conosce gli USA. Da questa conoscenza ha tratto questo libro, dedicato all’antagonismo operaio e politico in quella che, nella vulgata corrente, è diventata la culla e la sede unica della libertà e della democrazia, anche da esportazione (laddove l’Iraq è solo l’ultimo, per il momento, “cliente” di una lunga lista). I nomi di Sacco e Vanzetti ci sono ancora oggi familiari, ma forse non molti ricordano chi fossero Big Bill Haywood, Eugene Debs, Frank Little o Mother Jones, anche se il nome di quest’ultima, mitica e infaticabile agitatrice sindacale, sopravvive come testata di un combattivo mensile della sinistra statunitense. Sì, perché una sinistra forte e combattiva, (anche se spesso vittima di se stessa, dei propri errori e divisioni intestine), negli USA, nel tempio del capitalismo liberista più sfrenato e senza regole c’è stata eccome e questo volume viene opportunamente a ricordarcelo. Una convincente dimostrazione, per chi si fosse distratto, che anche negli USA la lotta di classe, i fermenti anarchici, libertari, socialisti e comunisti si sono diffusi e hanno proliferato, a partire dalla seconda metà dell’800, sulla scia delle ondate di migrazione europee verso quel mondo nuovo, circonfuso da un alone mitico. Il paese dove sfuggire alla ‘vecchia’ oppressione europea, il paese dove rifarsi una vita, the land of plenty… Aspettative costrette però a fare i conti con la realtà della ‘nuova’ oppressione, in cui gli scioperi e le richieste di condizioni di vita e lavoro meno dure si trovano di fronte i bastoni e i fucili delle milizie finanziate dal padronato, da quei robber barons i cui nomi oggi non di rado contrassegnano musei, istituzioni culturali, ecc. Questo libro ci ricorda di che carne, e di che sangue, sono impastate quelle fortune. Dai linciaggi di sindacalisti alle operazioni clandestine e illegali messe in piedi dall’FBI di Hoover, ossessionato dal ‘pericolo rosso’. Dai pestaggi dei Pinkerton (e qui compare anche il nome di Dashiell Hammett, per un periodo detective alla Pinkerton, cui sarebbe stato proposto di eliminare, dietro compenso, il sindacalista Frank Little; Dash, pare certo, rifiutò, ma qualcun altro provvide alla bisogna) al bieco senatore McCarthy, in un susseguirsi di scioperi di massa e repressioni sempre più dure, l’autore ci racconta la distruzione sistematica, feroce, scientifica della sinistra antagonista americana. Molti ricorderanno ancora le Pantere Nere o i Weathermen; pochi, forse, ricordano chi erano i ‘wobblies’, gli Industrial Workers of the World. Dall’utopia al disincanto, potremmo dire con l’autore che “…la storia del movimento operaio americano continua(va) ad alternare importanti conquiste sociali e civili e indicibili bagni di sangue.” (pag. 138), in un paese dove ci sono industriali che possono “assumere metà dei lavoratori perché uccidano l’altra metà.” (pag. 5). Una storia di dibattiti infuocati e di coraggiosa mobilitazione, di ingenuità e di infamie (queste ultime quasi sempre addebitabili alla stessa parte…), lungo una strada lastricata di sangue e di ingiustizie, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi, dopo aver dilagato nel ‘cortile di casa’ dell’America latina, con il trionfo di quello che ieri era il ‘complesso militare-industriale’ e oggi il sistema delle corporations che, in nome dell’omaggio all’empio dio Mercato e al suo spirito santo, il Profitto (cui anche tante forze di sinistra si sono piegate, e questo la dice lunga sullo stato delle cose…) stanno privatizzando tutto quello che possono (compresa la guerra): oggi l’acqua, domani, chissà, anche l’aria, se si riuscirà a salvarne un po’ dall’inquinamento. Per questo il minimo che dobbiamo a Filippo Manganaro, oltre a un sentito ringraziamento, è leggere questo libro bello e terribile, un salutare antidoto alla versione corrente del pensiero unico neoliberista. Con l’augurio, e la speranza, che la lotta di classe non sia solo uno zombie barcollante.

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