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Laura Bordoni


IL CASO ROATTA
Londra e i crimini di guerra italiani: dalle accuse all'impunità (1943-'48)

Collana Blu

ISBN 978-88-96487-61-7

pp. 164 € 16,00

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PREZZO SPEDIZIONE COMPRESA

Mario Roatta: militare di carriera, capo del servizio segreto
del SIM, in Spagna al fianco dei golpisti di Francisco
Franco, generale del regio esercito, accusato di crimini di
guerra in Jugoslavia, in fuga da Roma (insieme al re, Badoglio
ed allo Stato Maggiore dell’esercito) l’8 settembre 1943.
Attraverso i documenti britannici del Foreign Office di
Londra la ricostruzione del «caso Roatta» non assume soltanto
le caratteristiche di una classica spy-story (fatta di
fughe, segreti militari e rapporti politico-diplomatici inconfessabili)
ma finisce per illustrare aspetti nodali di un passaggio
storico centrale per la vita di un paese come l’Italia
che, uscita sconfitta dagli anglo-americani nella «Guerra
calda», si apprestava rapidamente a diventarne insostituibile
alleata nella incipiente «Guerra fredda», potendo usufruire,
dunque, di quell’impunità per i crimini del fascismo che
rappresenterà una delle più pesanti e negative ipoteche sulla
qualità della nostra democrazia repubblicana.

Mario Roatta ha rappresentato senza dubbio una figura centrale delle «imprese» della dittatura e degli apparati di forza del regime fascista, tanto che il processo del gennaio 1945 contro la politica estera del fascismo prese il nome e passò alla storia proprio come «processo Roatta», quasi che nella sola figura del generale potesse essere riassunta, ed in qualche modo esorcizzata e liquidata, l’intera tragica vicenda nazionale legata al regime di Mussolini.
Quando il 4 marzo 1945, qualche giorno prima della sentenza dell'Alta Corte di Giustizia, evase dall'ospedale militare Virgilio di Roma (per rifugiarsi a Madrid) sulla sua testa pendevano oltre che le incriminazioni per l'omicidio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, l'assassinio del re Alessandro di Jugoslavia e del ministro francese Barthou e le azioni terroristiche condotte in Spagna, anche le accuse internazionali di crimini di guerra contro civili e partigiani jugoslavi.
Uno sguardo particolarmente attento e interessato ad una vicenda e ad un personaggio tanto rilevanti fu senz'altro quello del governo e dell'opinione pubblica inglese che si caratterizzò per il repentino passaggio da una ferma volontà di punizione ad una più lasca indulgenza poggiante sulle necessità della «ragion di Stato».

Laura Bordoni (Sondrio 1991), alunna del collegio Ghislieri e dello
IUSS di Pavia, laureata in Storia d’Europa all’Università degli Studi
di Pavia. Attualmente dottoranda di ricerca presso la stessa Università.

Recensione di Armando Adolgiso su www.nybramedia.it Sez. > Cosmotaxi.

Se le Edizioni Odradek non esistessero, bisognerebbe fondarle... (continua su Bacheca)

... Altro merito di Odradek è dare spazio ad autori di giovane età che - a dispetto dei parrucconi i quali parlano malissimo di tutti, proprio tutti, i giovani - dimostrano di essere capaci di studi serissimi.
È il caso di Laura Bordoni autrice di Il caso Roatta

Pubblicato da Odradek, ha scritto un libro eccellente che consiglio di leggere: Il caso Roatta.
Sottotitolo già promettente ed eloquente: Londra e i crimini di guerra italiani: dalle accuse all’impunità (1943 - ’48).
Si tratta di un volume condotto con grande rigorosità, niente romanzerie, ma esibizione di date, fatti e, soprattutto, documenti riprodotti perfino fotograficamente.
Italiani brava gente? Mica tanto. La Bordoni cita trame e stragi di cui dovremmo vergognarci. Inoltre, illustra come il servizio segreto italiano (allora Sim, ‘Servizio Informazioni Militare’, così chiamato dal 1925 al 1945) invece di essere al servizio dello Stato come sarebbe stato suo dovere, si fosse posto esclusivamente al servizio di un Partito, quello fascista, diventando in tal modo ‘deviato’ in tutto il suo organismo con - questo lo aggiungo io - conseguenze che si ripercuoteranno fino ai nostri anni.
Dopo il Sim, venne il Sifar e il Sid, allegria!
Il libro spiega pure le origini della guerra fredda, in un gioco diplomatico fra Stati replicato con schemi simili infinite volte dopo la seconda guerra mondiale.
Attraverso la tenebrosa figura di Roatta, Bordoni fa il ritratto di un’epoca con i suoi intrighi, complicità, depistaggi.
Le pagine si concludono con un’accurata bibliografia e un’attenta sitografia nonché (abitudine che, purtroppo, chissà perché va rarefacendosi nella nostra editoria) un Indice dei nomi.
Nella prefazione, scrive Davide Conti: «il lavoro di Laura Bordoni assume un valore di particolare significato in quanto riformula e rappresenta lo scenario italiano attraverso la lente d’ingrandimento e gli occhi del governo di Londra ovvero della cancelleria che più di ogni altra, in seno allo schieramento alleato, si occupò e preoccupò del caso Roatta».

[segue intervista a Laura Bordoni]

A Laura Bordoni ho rivolto alcune domande.
Dei tanti misfatti nazifascisti sui quali potevi indagare, da quale principale ragione la tua attenzione è stata attratta proprio dalla figura di Roatta?

Ho scelto di occuparmi di Mario Roatta perché Roatta fu uno dei più grandi criminali di guerra italiani, rispetto al quale la Jugoslavia fece le maggiori pressioni per ottenere giustizia. Egli però non fu soltanto un criminale di guerra; fu anche, e da molto prima, un fascista di primo piano, implicato in operazioni segrete e in scandali di regime, con ruoli decisivi, prima, nel quadro della politica militaristica mussoliniana - uno su tutti, il comando del SIM - e, poi, dopo l’8 settembre, all’interno del governo Badoglio, al servizio degli Alleati. Da questa complessità di elementi è derivato l’interesse a ricostruirne il ‘caso’, che si configura assolutamente emblematico sia per la vicenda dei crimini di guerra italiani sia per la tematica della ‘continuità dello Stato’ indagata da Claudio Pavone.
Quali le responsabilità dirette avute da Roatta?
Roatta, assunto nel 1942 il comando della Seconda Armata in Slovenia e in Dalmazia, fu l’estensore della famigerata Circolare 3C, un pamphlet in cui si delineava una strategia di controguerriglia contro partigiani e civili jugoslavi durissima, basata su deportazioni, internamenti, fucilazioni e rappresaglie. Complessivamente, è stato calcolato che durante l’occupazione fascista della Jugoslavia Roatta si fosse reso responsabile della distruzione di 800 villaggi, della deportazione forzata di 35000 persone nei campi di concentramento in Italia, della morte per inedia di 4500 ostaggi nei campi italiani in Jugoslavia e della fucilazione di 1000 ostaggi in mano italiana.
Quali i motivi che determinarono, da parte soprattutto inglese, in un primo tempo severità verso Roatta e altri criminali di guerra italiani per poi favorirne l’impunità?
Gli inglesi garantirono l’impunità a Roatta per un motivo essenzialmente politico: Roatta fu uno degli ufficiali firmatari e garanti delle clausole armistiziali e, dunque, essi capirono che permetterne l’estradizione e conseguentemente il processo avrebbe potuto influire negativamente sugli equilibri politici anglo-italiani, compromettendo non solo l’andamento della guerra contro i tedeschi ma anche il raggiungimento di un preciso obiettivo politico a lungo termine, cioè la salvaguardia dell’influenza britannica sull’area mediterranea. Rispetto agli altri criminali di guerra italiani, invece, l’atteggiamento inglese subì una significativa evoluzione: in una prima fase, tra il settembre del ’43 e il ’45, la Gran Bretagna si dichiarò disposta a processare i colpevoli e, in alcuni casi, effettivamente procedette; successivamente, però, tra il ’46 e il ’47, con la progressiva delineazione della Guerra Fredda e la necessità di consolidare la posizione dell’Italia all’interno del blocco occidentale, divenne chiaro che non era conveniente da un punto di vista politico rispondere alle richieste di estradizione avanzate da un paese comunista quale era la Jugoslavia e, pertanto, fu premura del governo britannico abbandonare la questione, lasciandola interamente nelle mani italiane.
Perché non c’è stata una Norimberga italiana? E, anzi, perfino amnistie per i repubblichini da quella di Togliatti (contestata da parte della base e da altri movimenti antifascisti) ai successivi ampliamenti di quella legge varati da governi Dc?
Non c’è stata una Norimberga italiana perché celebrare i processi contro i nazisti che avevano commesso crimini di guerra in Italia avrebbe comportato per le autorità italiane l’imbarazzante rischio di vedere perseguiti i propri criminali di guerra e quindi di dare dell’Italia l’immagine di un paese vinto. Tale immagine avrebbe minato i tentativi di ottenere, in virtù della cobelligeranza, un trattamento di favore alle trattative di pace di Parigi; così le autorità italiane preferirono un ‘baratto della giustizia’: rinunciarono a far luce sui crimini perpetrati dai nazisti per non dovere far luce sui crimini perpetrati dagli italiani.
Per quanto riguarda l’amnistia Togliatti, essa nacque da un’effettiva esigenza di pacificazione e di normalizzazione avvertita diffusamente nel Paese, ma venne applicata dalla Cassazione in maniera totalmente indiscriminata: ciò garantì la riabilitazione di quasi tutti gli ex-repubblichini, compresi quanti avevano ricoperto ruoli dirigenziali all’interno della RSI.
Come ho accennato in apertura, il tuo libro è benvenuto in un momento storico in cui si assiste ad una recrudescenza del neonazismo e dell’antisemitismo. A chi attribuire le maggiori colpe nel non avere previsto e prevenuto quanto oggi assistiamo?
Il problema principale è che l’Italia non ha mai fatto i conti col fascismo: l’impunità garantita ai criminali di guerra italiani ne è un esempio emblematico, l’amnistia concessa a coloro che avevano commesso crimini di collaborazionismo altrettanto. A causa di una grande mancata operazione di giustizia si è assistito, nei decenni, al rafforzamento del mito del ‘bono italiano’, il quale ha contribuito a creare, assieme ad una certa storiografia revisionista, un’immagine complessivamente edulcorata della politica di occupazione fascista e del regime in generale.
Alla luce di tutto questo, credo allora che lo studio della questione dei criminali di guerra italiani e delle ragioni che furono alla base della loro impunità, anche da un punto di vista esterno come quello inglese, possa servire a combattere contro quel falso mito e a riappropriarci di una pagina di storia nazionale che purtroppo per molto tempo è stata volutamente rimossa.

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