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                |  | Valerio LazzarettiVALERIO VERBANO
 Ucciso da chi, come, perché
 
 pp. 461 € 
                    25,00
 illustrato 
                    con numerose foto 978-88-96487-15-0  
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                | Quarta 
                    di copertina Valerio 
                    Verbano venne ucciso a Roma, nella sua abitazione, il 22 febbraio 
                    1980, davanti ai genitori legati e imbavagliati. Nessuna verità 
                    giudiziaria è stata trovata finora, uno dei tanti "misteri" 
                    d'Italia.Ma i misteri, a lungo andare, risultano costruzioni 
                    collettive, complicate spesso a bella posta, frutto di reiterate 
                    omissioni e sistematici depistaggi. Una costruzione per l'immaginario, 
                    fatta per nascondere facendo finta di indagare. "Ci vuole 
                    orecchio" per capirci qualcosa, ma non è impossibile.
 Lazzaretti si è immerso nel panorama della "destra 
                    eversiva" che ha operato in Italia per più di 
                    un decennio.
 Attraverso l'analisi di interrogatori, verbali, sentenze e 
                    documenti prodotti allora dai neofascisti. Senza però 
                    farsene "fascinare", com'è invece capitato 
                    a giornalisti abili a decontestualizzare i fatti per poi "parificare" 
                    sovversione di sinistra ed eversione neofascista.
 Tutto quel che si mosse a destra con le armi in pugno viene 
                    qui radiografato. Si riesce così a connettere gruppi, 
                    figure, mitologie anche differenti, gettando luce sul proliferare 
                    di sigle sempre nuove e rivendicazioni multiple ideate per 
                    sviare, creare confusione, mimetizzarsi e - anche allora - 
                    cercare di "parificare" destra e sinistra.
 Ma a seguire quei fili qualcosa infine si capisce. Anzi: molto. 
                    Ci sono individui, armi, identikit, relazioni stabili, formule 
                    retoriche che ritornano. Tutto quanto, insomma, può 
                    tornare utile per trasformare un cumulo di "indizi" 
                    in una serie di "prove". Anche sul piano giudiziario.
 VALERIO LAZZARETTI 
                    (Roma 
                    1965), archivista. Ha collaborato alla realizzazione di due 
                    documentari per Rai3, “La storia siamo noi”, Perché 
                    Mario Amato? Morte di un magistrato (2006) e Valerio 
                    Verbano: un omicidio anomalo (2007).
  
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                        | Su A 
                            rivista anarchica, anno 41 n. 6, luglio 2011 
                            appare una recensione di Guido 
                            Salvini a "Valerio Verbano. Ucciso 
                            da chi, come, perché" di Valerio Lazzaretti.Il giudice Salvini è persona da noi molto apprezzata, 
                            ed inoltre gli siamo molto grati per aver scritto 
                            la Postfazione alla terza edizione di La 
                            strage di stato, da noi edita, nella 
                            quale scrive quella sentenza che altri giudici non 
                            vollero scrivere.
 La sua recensione è ampia, lusinghiera, piena 
                            di riconoscimenti per il libro e per Valerio 
                            Lazzaretti. L'unica eccezione che avanza 
                            è per Odradek. 
                            Ma già nella presentazione del libro fatta 
                            a Milano, giovedì 5 maggio 2011, nella libreria 
                            Odradek, il dottor Salvini aveva anticipato la sua 
                            perplessità nei confronti della Introduzione 
                            firmata Odradek. In quella sede abbiamo 
                            avuto modo di rispondere. La trascrizione di quel 
                            dibattito è poi comparsa su 
                            PaginaUno. Eccola:
 L’omicidio 
                            di Valerio Verbano e la Roma di quegli annidi Guido Salvini* 
                            e Claudio Del Bello** 
                            Incontro dibattito sul saggio Valerio Verbano. 
                            Ucciso da chi, come, perché di Valerio 
                            Lazzaretti (Odradek edizioni, 2011) alla libreria 
                            Odradek di Milano, 5 maggio 2011
 Guido 
                            Salvini. Affrontare una vicenda come 
                            quella dell’uccisione di Valerio Verbano non 
                            è semplice, nonostante siano passati tanti 
                            anni. Per la sua complessità e perché 
                            è un caso ancora aperto dal punto di vista 
                            giudiziario. Ebbene, il libro di Lazzaretti è 
                            invece davvero completo e meticoloso: raccoglie tutte 
                            le fonti giudiziarie e racconta in modo esaustivo 
                            il contesto storico-politico in cui avviene l’omicidio 
                            e in cui vive la Roma di quegli anni. Come magistrato 
                            mi ha colpito il metodo di ricerca utilizzato dall’Autore 
                            – che è un archivista, e questo collima 
                            perfettamente con il lavoro approfondito e di prima 
                            mano fatto sulla documentazione. Lazzaretti parte 
                            dagli indizi raccolti subito dopo quel 22 febbraio 
                            1980 – giorno dell’omicidio – e 
                            racconta con una precisione estrema tutti i fatti 
                            di terrorismo accaduti intorno, prima e dopo l’uccisione 
                            di Verbano. Lazzaretti lascia aperto l’ultimo 
                            capitolo, credo volutamente. Si comprende tuttavia 
                            che gli elementi esposti via via nel libro – 
                            e che i giudici avevano già, in qualche modo 
                            – offrono una traccia che può portare 
                            oggi all’individuazione dei responsabili. Penso 
                            che nel saggio volutamente non siano citati alcuni 
                            elementi, e cioè quelli che hanno riportato 
                            alla recente riapertura delle indagini, per non creare, 
                            ovviamente, un’interferenza con il lavoro attuale 
                            della magistratura. Credo, insomma, che l’Autore 
                            sappia di più di quanto ha scritto. Speriamo 
                            quindi che questo libro possa avere, fra uno, due, 
                            tre anni, un completamento, con il risultato, spero 
                            positivo, della nuova indagine in corso.
 Ma veniamo al fatto. Siamo a Roma, in un famiglia 
                            della piccola borghesia di estrazione antifascista: 
                            il padre, iscritto al Pci, è un dipendente 
                            del ministero degli Interni, la madre è un’infermiera. 
                            Una vita tranquilla nel quartiere Monte Sacro, un 
                            quartiere importante di Roma. Nel 1961 nasce Valerio, 
                            che dopo l’adolescenza sceglie, proprio per 
                            l’origine famigliare, di iscriversi al liceo 
                            scientifico Archimede. Non è una scelta casuale, 
                            poiché Roma in quegli anni è divisa 
                            a macchia di leopardo: ci sono i quartieri di destra 
                            e quelli di sinistra, le scuole di destra e quelle 
                            di sinistra. Il liceo Archimede è frequentato 
                            da molti ragazzi di sinistra, al contrario per esempio 
                            del liceo Giulio Cesare che è invece ‘territorio’ 
                            della borghesia romana di destra. Valerio inizia la 
                            sua attività politica, in un collettivo che 
                            si appoggia sia al liceo sia al quartiere, coniugando 
                            la militanza politica con la sua grande passione, 
                            la fotografia. Riceve infatti in regalo dal padre 
                            una macchina fotografica con il teleobiettivo, e pensa 
                            addirittura di diventare reporter, in quella vita 
                            adulta che non avrà mai – quando viene 
                            ucciso ha appena diciannove anni.
 Roma vive in quell’epoca una situazione durissima, 
                            perché a differenza di Milano non c’è 
                            solo San Babila ‘nera’ e il resto della 
                            città dove l’estrema destra ha poco spazio, 
                            ma vie e addirittura interi quartieri in cui il ‘rosso’ 
                            non si avventura, se non a suo rischio, e viceversa. 
                            Verbano svolge dapprima un’attività di 
                            documentazione molto importante sugli sfratti nei 
                            quartieri popolari, documentati a fini di rappresentazione 
                            politica, poi usa il teleobiettivo per quell’attività 
                            di catalogazione, schedatura e documentazione dell’ambiente 
                            eversivo della destra romana; redige un vero e proprio 
                            fascicolo, poi chiamato Dossier Nar (Nuclei armati 
                            rivoluzionari), nel quale raccoglie nomi, foto, luoghi 
                            di riunione, amicizie politiche e presunti legami 
                            dei neofascisti con gli apparati dello Stato. Un’attività 
                            che possiamo definire di controinformazione, così 
                            com’era intesa in quegli anni, e che lo espone 
                            molto: qualche mese prima dell’omicidio, riceve 
                            infatti una serie di telefonate di minaccia. Inizia 
                            a essere coinvolto in una serie di episodi, in uno 
                            dei quali ferisce un giovane di destra e viene a sua 
                            volta ferito da una martellata – e il dettaglio 
                            del martello è importante, come si vedrà 
                            successivamente, perché ritorna nella rivendicazione 
                            dell’omicidio.
 È il 22 febbraio 1980, ed è una giornata 
                            normale. I famigliari di Verbano verso le 13.00 tornano 
                            a casa, immagino che la madre prepari il pranzo, e 
                            attendono che il figlio arrivi, come previsto, un’ora 
                            dopo, finite le lezioni. Ma quando il campanello suona 
                            non arriva Valerio, irrompono tre uomini, più 
                            o meno mascherati – sono chiaramente dei giovani, 
                            poco più dell’età di Valerio – 
                            con due pistole, e fanno qualcosa credo di unico nella 
                            storia degli omicidi politici: legano e imbavagliano 
                            i genitori con del nastro adesivo, li tengono sottomira 
                            e aspettano. Penso che l’aspetto più 
                            terribile di questa vicenda sia proprio questo, l’attesa: 
                            perché i genitori capiscono che quando il figlio 
                            arriverà a casa succederà qualcosa di 
                            catastrofico, e loro non possono impedirlo. Il ragazzo 
                            torna, entra nell’abitazione e i tre giovani 
                            lo aggrediscono. Verbano non è un ragazzino 
                            indifeso, era un esperto di arti marziali, per cui 
                            reagisce con decisione. L’azione – non 
                            lo sappiamo – poteva essere programmata solo 
                            come una gambizzazione o un interrogatorio; doveva 
                            per certo essere un rito umiliante, Valerio doveva 
                            essere legato con il guinzaglio per cani – che 
                            viene poi ritrovato in casa – forse fotografato; 
                            sta di fatto che si trasforma rapidamente in omicidio 
                            perché Valerio si difende. Un primo neofascista 
                            spara, ma il proiettile non va a segno, mentre il 
                            secondo lo ferisce mortalmente e Verbano muore qualche 
                            ora dopo in ospedale.
 Il dettaglio dell’arma utilizzata è importante, 
                            nel libro ne è anche riportata una fotografia: 
                            è una pistola con un lungo tubo, un manicotto, 
                            che funge da silenziatore. Quella nella foto non è 
                            l’arma che ha ucciso ma l’altra, abbandonata 
                            dagli assassini nella casa. È un elemento assai 
                            indicativo perché una vecchia pistola come 
                            questa, una calibro 7.65 con il silenziatore, acquistata 
                            nei giri della malavita, è a Roma un po’ 
                            il marchio di fabbrica dei gruppi di estrema destra 
                            dell’epoca; un’arma assolutamente identica, 
                            per tipologia, ha ucciso due anni prima a Milano Fausto 
                            e Iaio, nel marzo del 1978. Gli assassini di Valerio 
                            lasciano inoltre sul posto un passamontagna e uno 
                            zucchetto di lana, che probabilmente perdono nella 
                            fase concitata dell’agguato.
 L’omicidio ha una grandissima risonanza, proprio 
                            per la militanza politica di Verbano, e scatena non 
                            solo le prevedibili azioni dei gruppi dell’Autonomia 
                            e di altri, che ai margini delle manifestazioni compiono 
                            episodi di violenza, ma addirittura una carica con 
                            lacrimogeni della polizia sui manifestanti all’interno 
                            del cimitero del Verano, dove Valerio viene sepolto. 
                            A dimostrazione dell’estrema tensione del momento.
 L’omicidio è attribuibile fin da subito 
                            all’area dell’estrema destra, in particolare 
                            al gruppo dei Nar, ma le indagini della magistratura 
                            non approdano a nulla e presentano anzi gravi errori, 
                            come la mancata conservazione di quel passamontagna 
                            e di quello zucchetto, distrutti recentemente, benché 
                            la prova del Dna, come tante indagini ci insegnano, 
                            avrebbe potuto portare a qualche nuova traccia.
 Nella storia di questo delitto, l’aspetto delle 
                            rivendicazioni è molto importante, perché 
                            consente di avere una cartina di tornasole della Roma 
                            di quel periodo – nel giro di due/tre anni vengono 
                            uccisi qualcosa come venti ragazzi tra i quindici 
                            e i vent’anni, e non in atti di terrorismo classici 
                            come quelli delle Brigate rosse o dei Nar o nelle 
                            stragi, ma ammazzati da coetanei, sottocasa o in scontri; 
                            un paio sono addirittura uccisi per caso, ragazzi 
                            che si trovavano in luoghi di sinistra ma che con 
                            la politica avevano poco a che fare, e ragazzi che 
                            si trovavano in luoghi di ritrovo della destra uccisi 
                            solo perché frequentavano un certo bar.
 Subito dopo l’omicidio inizia la fase, classica, 
                            del depistaggio: una serie di volantini, firmati “Gruppo 
                            Proletario Organizzato Armato”, indica una pista 
                            di sinistra, come se Verbano fosse un delatore – 
                            un’ipotesi assurda, ma pare che esistesse un 
                            gruppo specifico, nell’area dell’estrema 
                            destra, che si occupava di mettere in circolazione 
                            questo tipo di volantini depistatori.
 Alla fine, arriva anche il volantino vero, scritto 
                            da chi ha ucciso Valerio. Il libro lo riporta, e si 
                            può notare l’intestazione molto particolare: 
                            “Nar, comandi Thor, Balder e Tir”. Thor 
                            è quella divinità nibelungica che colpisce 
                            con un martello, e il martello riporta a quello scontro 
                            che Verbano aveva avuto poco tempo prima con un gruppo 
                            di neofascisti – tra questi vi era Nanni De 
                            Angelis, un personaggio importante della destra romana 
                            che morì anni dopo in circostanze legate a 
                            violenze da parte della polizia. Il volantino si può 
                            definire fascista in modo classico: scrivono di avere 
                            già colpito con il martello in vari quartieri 
                            e che altri martelli sono pronti a fare altrettanto, 
                            a sgombrare la strada dai piccoli vermi, come Autonomi, 
                            militanti del Pdup e del Movimento studentesco, in 
                            nome della rivoluzione fascista che vincerà. 
                            La rivendicazione è da ritenere sicuramente 
                            autentica perché cita alcuni particolari dell’omicidio 
                            e – aspetto molto importante – non è 
                            diretta solo all’esterno ma è anche un 
                            messaggio rivolto all’interno del mondo di destra.
 Dobbiamo infatti ricordare che i Nar non erano un 
                            gruppo centralizzato come le Brigate Rosse. Si poteva 
                            farne parte condividendo le idee e le scelte e agendo 
                            poi autonomamente, con licenza di qualificarsi tali; 
                            un po’ come è avvenuto per Al-Qaeda oggi. 
                            Una volta raccolta l’“ispirazione” 
                            ideologica, un gruppo dichiara che agisce come agirebbero 
                            i Nar, ognuno compie azioni per suo conto e ha il 
                            diritto di farlo, autoiscrivendosi a quell’area 
                            e condividendo covi e armi.
 Tuttavia accade qualcosa di molto particolare: compare 
                            subito dopo un volantino a firma Nar – quindi 
                            risalente allo stesso gruppo e che Fioravanti, in 
                            seguito, ha riconosciuto come scritto da lui e da 
                            altri dei suoi – nel quale si afferma che azioni 
                            come quella contro Verbano non devono più avvenire. 
                            Il nostro vero nemico è lo Stato, si legge 
                            nel volantino, abbiamo ormai già iniziato a 
                            colpire magistrati e poliziotti mentre ci sono ancora 
                            questi gruppi che pensano che la rivoluzione si possa 
                            fare continuando a uccidere i compagnetti – 
                            cioè gli adolescenti che sono dall’altra 
                            parte. Se riusciamo a stabilire un’intesa tattico-strategica 
                            con il fronte dell’ultra sinistra contro lo 
                            Stato parlamentare, democratico, borghese – 
                            continua il volantino – questo sarà il 
                            vero modo per avviare una rivoluzione.
 Fioravanti quindi, uno dei capi storici dei Nar, sconfessa 
                            il gruppo che agisce ancora nella logica classica 
                            del neofascismo romano. In quel periodo infatti inizia 
                            a emergere una tendenza, per altro mai raccolta dagli 
                            interlocutori di sinistra, che si colloca all’interno 
                            di quello che viene chiamato lo ‘spontaneismo 
                            armato della destra’. Nascono una serie di formazioni 
                            che propongono all’area eversiva di sinistra 
                            un’alleanza tattica, per esempio il gruppo Terza 
                            Posizione, il cui nome indica appunto l’intenzione 
                            di non presentarsi né come capitalisti né 
                            come comunisti, ma di voler superare con ideologie 
                            che possono essere populiste, peroniste o chissà 
                            che altro, l’idea di essere su fronti opposti. 
                            In questa operazione c’è, con tutta evidenza, 
                            anche un senso di inferiorità dell’area 
                            eversiva di destra rispetto a gruppi come le Brigate 
                            rosse, Prima linea o altri, che ben altre capacità 
                            e progettualità avevano mostrato rispetto ai 
                            Nar.
 Avvengono anche singolari passaggi di persone dalla 
                            destra alla sinistra, esiste addirittura, nella zona 
                            di Ostia, un’agenzia criminale di un certo Egidio 
                            Giuliani, che ricompare anche nella vicenda Verbano, 
                            che si occupa di documenti falsi, armi, silenziatori 
                            e che vende sia a esponenti di destra, sapendo che 
                            sono di destra, sia a esponenti di sinistra, sapendo 
                            che sono di sinistra. È chiaro che a un ricettatore 
                            qualsiasi non importa l’area politica del ‘cliente’, 
                            ma in questo caso quello che si teorizza è 
                            proprio un’azione contro lo Stato che può 
                            essere portata avanti dagli uni o dagli altri ma, 
                            almeno così lo teorizzava la nuova destra ‘spontaneista’, 
                            in sintonia.
 È molto importante per esempio la scoperta 
                            del ruolo indiretto di Egidio Giuliani, personaggio 
                            ambiguo che riforniva di armi entrambi i campi, nell’omicidio 
                            Verbano. La compagna di Giuliani, Laura Lauricella 
                            – che interrogai anch’io a quei tempi 
                            – affermò, credo in modo plausibile, 
                            che il silenziatore montato sull’arma era stato 
                            ceduto da Giuliani a Roberto Nistri, membro dell’estrema 
                            destra romana, che a sua volta lo aveva consegnato 
                            a quelli che avevano poi ucciso Verbano.
 Elementi su cui indagare insomma ce ne sono, partendo 
                            dalla vicenda del silenziatore, anche se i pentiti 
                            di destra parlano pochissimo sull’omicidio Verbano 
                            e non sappiamo perché: se perché non 
                            sanno o se più probabilmente perché 
                            non ne hanno voluto parlare, considerando che l’ambiente 
                            della destra eversiva non era molto ampio, circa duecento 
                            persone, non di più. Di sicuro gli assassini 
                            di Valerio non sono i capi dei Nar, i personaggi come 
                            Fioravanti, Cavallini, Belsito, che si sono resi responsabili 
                            di molte azioni ma non di questa, ma personaggi minori 
                            appartenenti a un sottogruppo che come una meteora 
                            nasce, colpisce e sparisce, e che rivendica solo questa 
                            azione tramite il volantino. Questo modus operandi 
                            è tipico delle organizzazioni di estrema destra, 
                            ed è ciò che ha reso difficile molte 
                            indagini. Ci sono gruppi che sono come momentanei 
                            aggregati, delle bolle che nascono e muoiono, si scindono 
                            e che vivono anche di amicizie, di quel comunitarismo 
                            che è molto forte nell’estrema destra.
 Anche l’omicidio di Fausto e Iaio fu rivendicato 
                            con un volantino, considerato autentico, firmato da 
                            una formazione che nasce e muore con quell’azione, 
                            e che si chiamava “Esercito nazionale rivoluzionario 
                            Nar – brigata combattente Franco Anselmi” 
                            – Franco Anselmi era un camerata di Fioravanti, 
                            morto durante una rapina in un’armeria. Un gruppo 
                            formato probabilmente da personaggi non di primo piano 
                            e che proviene da Roma per uccidere a Milano, e questo 
                            è un altro elemento molto importante, insieme 
                            al tipo di arma, una calibro 7.65, la stessa utilizzata 
                            nell’omicidio di Verbano, che avvicina i due 
                            episodi.
 Tra l’altro, anche Fausto e Iaio avevano fatto 
                            attività di controinformazione, forse non così 
                            ampia come quella di Valerio, ma di certo ciò 
                            li aveva esposti. Sono due storie, quella di Fausto 
                            e Iaio e quella di Verbano, che certamente hanno una 
                            notevole analogia.
 La vicenda di Valerio Verbano si interseca in qualche 
                            modo, nel contesto giudiziario e politico dell’epoca, 
                            con la storia di Mario Amato, un magistrato della 
                            Procura di Roma, originario di Trento, a cui viene 
                            affidato l’incarico di indagare sui gruppi della 
                            destra eversiva romana. Lo dico assolutamente senza 
                            parzialità: Mario Amato venne lasciato solo. 
                            L’impegno che comportava occuparsi della destra 
                            romana con la sua violenza diffusa e la sua potenza 
                            di fuoco, avrebbe avuto bisogno della costruzione 
                            di un pool di tre/quattro magistrati che si distribuissero 
                            lavoro, incarichi e anche responsabilità e 
                            rischi; eppure questo non venne fatto e mancò 
                            un lavoro coordinato come quello contro le Brigate 
                            rosse. Mario Amato si ritrova da solo con seicento 
                            fascicoli, e nonostante il gravoso lavoro riesce per 
                            esempio a cogliere l’importanza di ricollegare 
                            all’area della destra eversiva una serie di 
                            fatti non rivendicati, come rapine di autofinanziamento, 
                            furti di macchine, scambi di documenti rubati, fatti 
                            che incrociati tra loro possono portare alla scoperta 
                            degli autori delle azioni politiche rivendicate.
 Il giudice Amato fa un lavoro meticoloso e arriva 
                            a risultati significativi per quegli anni e in solitudine; 
                            studia la documentazione di Verbano e tra il ’78-79 
                            dispone un certo numero di arresti nel mondo neofascista. 
                            Riesce quindi a portare avanti un’attività 
                            di contenimento, fino a quando i neofascisti romani 
                            ne colgono la pericolosità e l’intelligenza 
                            e lo uccidono, il 23 giugno 1980, quando, da solo 
                            e senza scorta, aspetta l’autobus a una fermata.
 Un’ultima considerazione, che ritengo molto 
                            importante. Ho apprezzato molto questo libro, per 
                            la sua serietà e completezza, tuttavia voglio 
                            prendere qualche distanza dalla prefazione dell’Editore. 
                            Non come magistrato ma come cittadino. Credo che nella 
                            prefazione manchi la capacità di dire che la 
                            morte di Verbano non trasforma la militanza nel suo 
                            mondo in qualcosa in cui sia possibile identificarsi: 
                            un impegno all’interno di un gruppo dell’Autonomia 
                            che come area contribuiva, in quegli anni, a innescare 
                            una violenza degenerata in ‘guerra privata’, 
                            incapace di avviare una vera trasformazione politica 
                            e umana della città e che ha provocato in quegli 
                            anni la morte, nella sola Roma, di decine di giovani.
 Claudio Del Bello. 
                            Per prima cosa, rivendico fino in fondo la prefazione, 
                            ricordando che in quegli anni l’antifascismo 
                            ebbe una ripresa violenta e sanguinosa, ma in larghissima 
                            misura provocata. Di più. Ricordiamoci che 
                            l’antifascismo, più o meno militante, 
                            fu aggredito da due retoriche diverse, spesso collegate 
                            e dagli esiti paradossali: quella degli opposti estremismi 
                            e quella del superamento dell’antifascismo.
 La prima retorica, ricorrente sui giornali della borghesia, 
                            tende a parificare fascisti e antifascisti quando 
                            lo scontro diventa violento. È un dispositivo 
                            mediatico e istituzionale che, come si vede ormai 
                            sempre più sfacciatamente, arriva fino a parificare 
                            partigiani e repubblichini, addirittura con disegni 
                            di legge.
 La seconda retorica si mostra come via d’uscita 
                            offerta dai fascisti: unità contro il sistema. 
                            E il libro documenta come fossero stati proprio i 
                            Nar a offrire una tregua per combattere insieme il 
                            Sistema. I ‘rossi-neri’, appunto. Ossia 
                            quell’area di provocazione che dice: né 
                            rossi né neri solo liberi pensieri. Esiste 
                            anche una corrente della sinistra, propriamente negriana, 
                            che afferma che è ora di smetterla con questo 
                            discorso su fascismo e antifascismo, perché 
                            i problemi sono altri, e il nemico è comune.
 Il libro di Lazzaretti, tra le altre cose, getta in 
                            qualche modo luce anche su questo momento di turbolenza, 
                            che io non credo sia naturale, nativo. Non sono un 
                            dietrologo, anzi, ma in questo caso sono costretto 
                            a dire che dietro questi ricorrenti tentativi di mettere 
                            insieme rossi e neri c’è lo zampino di 
                            qualcuno; c’è un’intelligenza – 
                            per non chiamarla intelligence – che viene da 
                            lontano, dall’interno della storia delle stragi 
                            di Stato, con lo scopo di creare confusione e occasione 
                            di infiltrazione. Ancora oggi. Su facebook, per esempio, 
                            esistono diversi profili e pagine che grossomodo fanno 
                            capo alla rivista Indipendenza, che ha un Nistri – 
                            il fratello di Roberto Nistri – tra i suoi fondatori. 
                            Su quel sito si trova l’antologia, che continuamente 
                            si rinnova, delle lotte contro il sistema ecc., e 
                            soprattutto la ricerca di una mitologia comune: dagli 
                            Arditi del popolo a Bobby Sands. Non è qualcosa 
                            che appartiene alla storia di Roma, che invece ha 
                            sempre avuto un antifascismo militante molto radicale 
                            ed esclusivo. Durante la Resistenza sono morte migliaia 
                            di persone in nove mesi, cosa che non è accaduta 
                            in nessun altra città italiana e in nessuna 
                            altra capitale europea. Successivamente, a cominciare 
                            dai primi anni Settanta, si è innescato uno 
                            scontro durissimo con un alto numero di morti, dal 
                            momento che non c’è stata alcuna forma 
                            di centralizzazione e la lotta politica è degenerata, 
                            fino ad arrivare a personaggi come Egidio Giuliani 
                            che forniva le armi sia ai gruppi di destra che a 
                            quelli di sinistra.
 Non c’è differenza tra rossi e neri, 
                            tenta suadente il fascista. Non c’è differenza, 
                            fanno eco i giornali dei benpensanti: gli opposti 
                            estremismi. Si potrebbe anche concordare se il discorso 
                            si riferisse a bande giovanili in lotta per il controllo 
                            del territorio, o per diversa fede calcistica. Purtroppo 
                            a questo schema semplice non può essere ridotto 
                            quel periodo, questo episodio. Una parificazione – 
                            gli opposti estremismi – che è arrivata 
                            fino al cuore dell’elemento fondativo della 
                            Costituzione e della Repubblica. Lo stesso Stato tende 
                            a essere equidistante riguardo a princìpi e 
                            valori fondativi. L’elemento che maggiormente 
                            tengo a sottolineare nella nota editoriale è 
                            che in ogni caso, senza voler giustificare la sua 
                            attività, Valerio Verbano è stato un 
                            compagno notevole, degno di essere ricordato con un’opera 
                            come questo libro, che ritengo di poter definire scientifico, 
                            soprattutto dopo le valutazioni del dottor Salvini. 
                            Verbano, poi, era un compagno medio quadratico, faceva 
                            quello che facevano gli altri, solo con più 
                            intelligenza; dopo i mesi passati in carcere – 
                            perché lo trovano mentre confeziona delle bottiglie 
                            incendiarie – è sicuramente più 
                            maturo e dai microfoni di Radio Onda Rossa prende 
                            posizione contro questo scontro indiscriminato.
 Queste le ragioni politiche della scelta di pubblicare 
                            questo libro, ma ne esistono anche altre – e 
                            credo che un editore debba sempre giustificare le 
                            sue scelte editoriali.
 Lazzaretti è un archivista, come sottolineato 
                            dal giudice Salvini, e sulla base del suo lavoro la 
                            Rai ha prodotto due ottimi documentari: uno su Valerio 
                            Verbano – lo si può trovare anche su 
                            YouTube – l’altro sul giudice Mario Amato. 
                            “La storia salvata dagli archivisti”, 
                            così ho iniziato la mia nota editoriale. E 
                            penso che occorra ricominciare proprio dagli archivisti, 
                            perché da un po’ di tempo molti storici 
                            sono intrigati dalla narrazione, dal plot, dal format, 
                            dalla fiction. Mi metto nei panni di un giovane storico 
                            che si laurea all’università: ha davanti 
                            a sé vent’anni bui, perché deve 
                            lavorare a raccogliere, sulla base certo di un’ipotesi, 
                            di un’idea, la totalità dei documenti. 
                            Si dice ‘un brillante matematico di ventitre 
                            anni’ ma nessuno dirà mai ‘un brillante 
                            storico di venticinque anni’. Quindi se il giovane 
                            storico è sedotto dall’idea del successo 
                            non mi sento di condannarlo, ma lo tengo in sospetto.
 Questo libro non ha un’introduzione né 
                            una conclusione. Lazzaretti non cerca di sedurre il 
                            lettore o di instradarlo. Questo libro è un 
                            processo indiziario – tra virgolette, ovviamente. 
                            Una via di mezzo tra la ricerca del giudice e quella 
                            dello storico, o forse, addirittura, anche la Storia 
                            dovrebbe essere un processo indiziario. Come editore 
                            non ho spinto l’Autore perché arrivasse 
                            a una conclusione, a far balenare davanti agli occhi 
                            del lettore dei nomi, perché credo che il punto 
                            non sia trovare l’assassino – un editore 
                            non ha la veste né la forza per stilare mandati 
                            di cattura, non ha il luogo in cui detenere e interrogare 
                            gli eventuali accusati – ma l’accertamento 
                            di che cosa è accaduto.
 Lo storico e il giudice sono contigui, certamente 
                            hanno a che fare con carte e documenti, hanno l’onere 
                            di dover concludere, prima o poi, la loro vicenda, 
                            collegando prove, fatti, testimonianze in modo logico; 
                            mettendo insieme induzione e deduzione per arrivare 
                            a una formulazione. In realtà, la possibilità 
                            del giudice è molto ridotta, perché 
                            la morte del reo estingue il reato. Pensiamo alle 
                            tremende stragi nazifasciste: se il colpevole viene 
                            a morire, il giudice si ferma. Lo storico, al contrario, 
                            può occuparsi di qualsiasi evento. Quando il 
                            giudice si ferma, tocca allo storico continuare, se 
                            non con le stesse procedure, con la stessa logica. 
                            La Storia, anche temporalmente, comincia quando finisce 
                            il potere, l’applicabilità, della giustizia. 
                            Il modo di scrivere e di applicare le leggi può 
                            variare, e di conseguenza può variare il lavoro 
                            del giudice, ma credo che molto meno possa variare 
                            il modo di fare lo storico. Per entrambe le professioni 
                            è importante la questione della contestualizzazione, 
                            a cui non si può sottrarre né il giudice 
                            né lo storico, e che si traduce nella completezza 
                            e nella totalità dei fatti, in un lavoro di 
                            classificazione dei dati e degli eventi per argomentare, 
                            concludere e soprattutto sottoporre a verifica. Un 
                            lavoro da scienziato, e per questa ragione definisco 
                            scientifico questo libro, perché non si occupa 
                            solo dell’omicidio di Valerio Verbano ma anche 
                            di tutto quello che ruota attorno.
 * 
                            magistrato, giudice delle indagini preliminari nel 
                            Tribunale di Milano fino al 2010, oggi Gip a Cremona; 
                            si è occupato di diverse inchieste relative 
                            all’eversione politica di sinistra e di destra 
                            (Brigate rosse, Prima linea, Nar) e dell’inchiesta 
                            sulla strage di Piazza Fontana** editore, dal 1975 al 2009 ha insegnato Storia della 
                            filosofia moderna e Filosofia della scienza nella 
                            facoltà di Filosofia dell’Università 
                            La Sapienza di Roma
 Sullo 
                            stesso tema, si veda anche: Guerra 
                            civile: parificazione e rovescismo, revisione e rimozione 
                            sul blog 
                            di Odradek. |    
 Istruzioni 
                      per l'uso Valerio 
                      Lazzaretti 
                      è un tecnico della ricerca. Sa come si maneggiano 
                      le fonti e i documenti.La Rai ha mandato in onda due documentari, uno su Valerio 
                      Verbano e uno sul giudice Amato, tutti e due sulla base 
                      delle ricerche di Lazzaretti.
 Non 
                      a caso, allora, la Nota editoriale che abbiamo 
                      posto all'inizio del libro comincia con «La Storia 
                      salvata dagli archivisti». Ecco, il lavoro di un archivista, 
                      di un tecnico dei documenti, anticipa, aiuta e può 
                      surrogare sia il lavoro degli storici che quello dei magistrati.Ma storici e magistrati molto spesso operano a partire da 
                      un'ipotesi, la plasmano, la torcono, la forzano più 
                      o meno. Lazzaretti parte dalla totalità dei documenti, 
                      li valuta, li incrocia e sa dove andare a cercare quelli 
                      che la ricerca dovesse individuare come necessari.
 Non è solo Lazzaretti a fare ricerca documentale. 
                      Quando abbiamo scritto «La Storia salvata dagli archivisti» 
                      pensavamo anche a Vladimiro Satta. Fa l'Archivista al Senato, 
                      e ha scritto due libri sulla vicenda Moro, dopo aver digerito 
                      circa un milione e mezzo di pagine. Ebbene, dopo i suoi 
                      libri i dietrologi, gli scrittori di misteri, i confezionatori 
                      di storie mirabolanti - di docufiction, come si 
                      chiamano adesso, - si sono dati una calmata.
 Questo per dire che, quando si lavora con i documenti, con 
                      tutti i documenti, dopo trent'anni, parlare di mistero è 
                      come se non si volesse progredire, come se si volesse rimanere 
                      a raccontare la stessa storia, come se si volesse mantenere 
                      una ferita ancora aperta. Lazzaretti ha fatto un'inchiesta. 
                      Ha ricercato, approfondito, analizzato, incrociato, verificato 
                      e offerto tutti gli elementi - dopo averne scartato molti 
                      altri - per tirare le conclusioni...
 I nomi degli assassini? Ha poco senso sottolineare certi 
                      nomi, quei nomi che il lettore non fa fatica a isolare e 
                      a individuare. Ha molto senso invece riproporre un metodo, 
                      una disposizione molto comunista, che poi era quella di 
                      Valerio Verbano. La disposizione a guardare criticamente, 
                      a cogliere, ad annotare. A costruirsi un quadro della realtà. 
                      Per giungere a conclusioni, per giungere alla verità.
 Ormai, dopo vent'anni di postmodernismo si ha quasi vergogna 
                      a pronunciare questa parola. «La verità non 
                      esiste», dicono. Tutto è narrazione, anche 
                      la scienza è narrazione. Il mondo è l'insieme 
                      delle narrazioni. Su Youtube si può rivedere 
                      il documentario di La storia siamo noi, dedicato 
                      a Valerio Verbano. Anche i fascisti intervistati fanno la 
                      loro narrazione, se la raccontano. Ogni narrazione ha la 
                      sua dignità - ci viene continuamente detto. A questo 
                      punto, anche quella dei fascisti?
 Alcuni giornalisti hanno raggiunto la notorietà proprio 
                      offrendo dignità ai fascisti. Parificando, e rendendo 
                      simmetrica la più conclamata delle asimmetrie. E 
                      ultimamente qualcuno ha pure detto: né rossi, 
                      né neri, solo liberi pensieri... Altri continuano 
                      a invitare ad unirsi tutti contro il Sistema.
 Il libro di Lazzaretti NON è una narrazione. È 
                      avvincente, appassionante, ma non civetta con la letteratura. 
                      Uno si ritrova con la mappa e le stratificazioni di classi, 
                      ceti, e pure psicologie - quelle dei fascisti, sicuramente 
                      abiette - che animavano Roma tra i settanta e gli ottanta. 
                      Il quadro è nitido, non ci sono lacune. La verità 
                      può essere raggiunta.
 Molti 
                      vogliono conoscere, allora, le risultanze, le conclusioni 
                      del lavoro di Lazzaretti durato e costato sei anni. Come 
                      editore, dico: leggetevi il libro, in modo che a un lavoro 
                      durato sei anni, e molta fatica all'autore, corrisponda 
                      il lavoro del lettore, se si vuole la fatica del lettore 
                      - perché leggere è fatica ed esercizio di 
                      responsabilità, mentre leggere fiction è 
                      come guardare uno schermo; è un passatempo che quasi 
                      mai comporta esercizio critico.
 L'autore ha faticato, ora tocca al lettore di faticare, 
                      leggere, capire, incrociare dati, dedurre. Provare a leggerlo 
                      come se fosse un libro giallo. La metafora del 
                      libro giallo serve a dire: non aspettatevi che vi si dicano 
                      i nomi degli assassini. Di solito non lo si fa, anzi, proprio 
                      chi ha il libro in mano prega che non gli si dica come va 
                      a finire. D'altra parte autore ed editore non hanno la veste 
                      per stilare mandati di cattura, né la forza per farli 
                      eseguire, né il luogo in cui detenere gli arrestati 
                      e interrogarli. C'è chi lo fa istituzionalmente.
 Per questo ha poco senso sottolineare certi nomi, quei nomi 
                      che non si fa molta fatica a isolare e a individuare. Mentre 
                      ha molto senso riproporre un metodo, una disposizione molto 
                      comunista, che poi era quella di Valerio Verbano. La disposizione 
                      a guardare criticamente, a cogliere, ad annotare, a organizzarsi.
 Odradek 
                       
                        | 
                            Echi 
                              di stampa Giovanni 
                              Bianconi, 
                              Corriere della sera, 19 febbraio 2011, 
                              clicca 
                              Andrea Di Consoli, 
                              Il Riformista, 23 febbraio 2011 clicca 
                               Radio 
                              Onda d'Urto intervista Valerio Lazzaretti 
                              clicca Giacomo 
                              Russo Spena 
                              su Micromega on line clicca Notevoli 
                              le recensioni 
                              di: Opinionista 
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                              suo blog clicca Alexik 
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                              Anobii clicca 
                                 Colpito 
                              a morte in uno scontro di lineaSaverio Ferrari 
                              da "il manifesto" del 16 aprile 2011
 Valerio 
                              Verbano. Ucciso da chi, come, 
                              perché di Valerio Lazzaretti, un 
                              testo, per diverse ragioni, assai prezioso.
 Valerio Verbano, diciannovenne militante dell'Autonomia 
                              operaia, fu assassinato a Roma il 22 febbraio 1980 
                              da un commando di tre fascisti armati di pistola 
                              e incappucciati, che irruppero alle 12.30 del mattino 
                              nella sua abitazione, in via Monte Bianco, al quartiere 
                              Montesacro. Legarono e imbavagliarono i genitori 
                              e attesero che rientrasse dal liceo. Alle 13.40, 
                              dopo una furibonda colluttazione all'ingresso dell'appartamento, 
                              Valerio Verbano fu colpito da un proiettile calibro 
                              38 esploso alle sue spalle. Morirà alle 14.05 
                              al pronto soccorso del policlinico Umberto I. I 
                              suoi aguzzini non furono mai scoperti nonostante 
                              una rivendicazione a firma «Nar, Comandi Thor, 
                              Balder, Tir» e una telefonata all'agenzia 
                              Ansa, la sera stessa, con particolari al momento 
                              non ancora conosciuti.
 La galassia neofascista
 L'autore di quest'ultimo libro, un archivista impegnatosi 
                              inizialmente a raccogliere materiale per un documentario 
                              Rai, ha qui condotto una vera e propria controinchiesta. 
                              Una sorta di «processo indiziario» che 
                              ha visto la luce poco prima che filtrasse, a febbraio, 
                              la notizia dell'apertura di nuove indagini da parte 
                              della Procura di Roma. Grazie alle testimonianze 
                              di alcuni ex militanti di destra e ai moderni programmi 
                              di grafica informatica si sarebbe, infatti, riusciti 
                              finalmente a ricostruire alcuni volti. D'altro canto, 
                              la madre di Verbano, che aprì la porta agli 
                              attentatori, descrisse l'identikit di uno di loro 
                              prima che si calasse il passamontagna, mentre un 
                              vicino di casa li incrociò sul portone mentre 
                              fuggivano. Si è ancora in attesa, invece, 
                              degli esiti circa il possibile rinvenimento di tracce 
                              biologiche sui reperti scampati nel maggio 1989 
                              alla frettolosa distruzione ordinata dal giudice 
                              istruttore Claudio D'Angelo. In casa Verbano gli 
                              assassini persero un bottone e abbandonarono diversi 
                              oggetti: un rotolo di carta gommata, un berretto, 
                              un passamontagna, un guinzaglio, un paio di occhiali 
                              da sole e una pistola 7.65 con silenziatore artigianale. 
                              Ed è in particolare su quel silenziatore 
                              e sul nastro adesivo che l'avvolgeva, emerso miracolosamente 
                              da un polveroso anfratto dell'ufficio corpi di reato 
                              del Tribunale di Roma, che si sta cercando di individuare 
                              chi potesse averlo maneggiato. Ultimamente è 
                              anche ricomparso dagli archivi dei carabinieri il 
                              voluminoso dossier che fu sequestrato a Valerio 
                              Verbano, dopo un suo arresto, avvenuto tre mesi 
                              prima l'omicidio: 379 fogli dati per spariti, scritti 
                              quasi tutti a mano, con notizie su centinaia di 
                              estremisti di destra, sui militanti che gravitavano 
                              nella lotta armata e sui finanziamenti che ricevevano.
 Sul futuro delle indagini non possiamo dire nulla. 
                              Diverse le ipotesi in campo: forse un omicidio non 
                              preventivato, sfuggito di mano, in origine un tentativo 
                              di «interrogatorio» per scoprire gli 
                              informatori di Valerio, o una vendetta, magari legata 
                              alla morte di Stefano Cecchetti, un giovane colpito 
                              a pistolettate nel gennaio 1979 davanti a un bar 
                              del quartiere Talenti frequentato da elementi di 
                              destra. Lo stesso Valerio condannò l'episodio 
                              intervenendo in diretta a Radio Onda Rossa.
 In questo quadro il libro di Lazzaretti non si limita 
                              a ripercorre le vecchie inchieste, a formulare ricostruzioni 
                              o a scavare circa i possibili moventi. Si addentra 
                              in profondità nel contesto neofascista romano 
                              dell'epoca, fra il 1977 e il 1982, analizzando figure, 
                              gruppi e «linee politiche» spesso differenti 
                              se non in contrasto fra loro. Un'analisi accurata 
                              che per alcuni versi getta una luce nuova su talune 
                              dinamiche che caratterizzarono il terrorismo nero 
                              nella capitale.
 Conflitti interni
 I Nar, apparsi per la prima volta il 23 dicembre 
                              1977, rappresentarono un'etichetta, una sorta di 
                              logo, dietro al quale operarono più gruppi 
                              armati con ipotesi diverse: chi puntava ad alzare 
                              il livello dello scontro nei confronti di polizia 
                              e magistratura, a imitazione delle Brigate rosse, 
                              e chi pensava di continuare a colpire gli avversari 
                              storici di sinistra. Lo studio non superficiale 
                              dei comunicati diffusi all'epoca dai Nar, in particolare 
                              dopo l'assassinio il 23 giugno 1980 del giudice 
                              Mario Amato, permette di cogliere questi contrasti, 
                              a volte frontali, ma anche individuare le diverse 
                              aree che componevano l'arcipelago di estrema destra. 
                              Da un lato il gruppo di Valerio Fioravanti, Gilberto 
                              Cavallini e Francesca Mambro, propenso ormai a ingaggiare 
                              una lotta frontale contro lo Stato, e dall'altro 
                              le strutture clandestine di Avanguardia nazionale 
                              e Terza Posizione. Da qui anche la scelta dei primi 
                              di ritenere chiusa l'esperienza dei Nar per connotarsi 
                              attraverso nuove sigle come i Goad, i Gruppi organizzati 
                              per l'azione diretta, mentre andavano proliferando 
                              altri gruppetti inclini principalmente a colpire 
                              a sinistra. Su questo versante anche la rivista 
                              Quex, animata da alcuni detenuti di destra (Mario 
                              Tuti, Edgardo Bonazzi, Angelo Izzo, Francesco De 
                              Min e altri), con Fabrizio Zani, tra i fondatori 
                              di Ordine nero, a far da terminale all'esterno, 
                              tesa, tra l'altro, a ispirare e orientare le azioni 
                              armate che venivano condotte. In un editoriale del 
                              marzo 1980 comparve anche una spiegazione dell'omicidio 
                              di Valerio Verbano, accostato ai giovani che sparavano 
                              «nei bar 'di destra' a casaccio» per 
                              «uccidere i ragazzini di 16 anni». Un'evidente 
                              falsità che ricalcava il movente già 
                              apparso nella rivendicazione telefonica.
 Il quadro di attentati e violenze che emerge da 
                              questa ricostruzione comprova, anche statisticamente, 
                              come gli agguati fascisti fossero di gran lunga 
                              superiori alle ritorsioni di sinistra. Un dato storico. 
                              Come il fatto che per i fascisti «i processi 
                              andavano abbastanza bene, con piccole condanne e 
                              terminavano in brevi periodi», come ebbe a 
                              dichiarare Cristiano Fioravanti, un tempo nei Nar. 
                              In quegli anni non furono certamente casuali le 
                              disattenzioni della magistratura. Anche nel caso 
                              Verbano.
 
 
 |    PRESENTAZIONI 
                    diVALERIO VERBANO. Ucciso da chi, come, perché
 con Valerio Lazzaretti
 *a MILANO Barona
 Giovedì 21 aprile, ore 21:30 con Valerio di Horus Project, 
                    allo ZAM Zona Autonoma Milano, alla Barona, via Olgiati 12
 * a TARANTO
 Venerdì 22 aprile, ore 20, Comitato di quartiere Città 
                    Vecchia,
 *a 
                     MOLFETTASabato 23 aprile 2011 ore 20:00
 Centro sociale Le Macerie Baracche Ribelli
 
 *a MILANO GIOVEDì 
                    5 MAGGIO, alle ore 18
 Guido Salvini presenta Valerio 
                    Verbano - Ucciso da chi, come e perché alla Libreria 
                    Odradek, Via Principe Eugenio 28.
 *a ROMA Mercoledì 
                    18 MAGGIO, alle ore 17
 Davide Conti presenta Valerio 
                    Verbano - Ucciso da chi, come e perché alla Facoltà 
                    di lettere e filosofia, Università Roma Tre, via Ostiense 
                    234
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                | Odradek 
                  Edizioni srl - Via san Quintino 35 - Tel e Fax. 067045 1413 |  |   
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