ODRDEK EDIZIONI
COLLANA ROSSA - CULTURE SUL MARGINE COLLANA BLU - STORIA E POLITICA COLLANA VERDE - STORIA ORALE FUORILINEA COLLANA GIALLA - LA MACCINA DA PROSA AZIMUTH IDEK IDEOLOGIA E CONOSCENZA PHOTOS
HOME PINOCCHIO CATALOGO-02
   
CATALOGO
LIBRERIE
CULTURE SUL MARGINE
STORIA ORALE
IDEK
STORIA E POLITICA
AZIMUT
LA MACCHINA DA PROSA
PHOTOS
IDEOLOGIA E CONOSCENZA
GIANO
 
 
 

Felice Accame


ANTOLOGIA CRITICA

DEL SISTEMA DELLE STELLE

pp. 203 Euro 16,00

<< ordina il libro

Il “sistema delle stelle” non è altro che l’insieme di tutti coloro – uomini di scienza e di religione, santi e in odor di santità, capipopolo e artisti vari, attori e cantanti, campioni dello sport e intrattenitori televisivi – nei confronti dei quali è in atto la pratica diffusa dell’indulgenza. Possono ingannare, rubacchiare, scopiazzare, svillaneggiare, dichiarare orride scemenze e, soprattutto, autocontraddirsi, senza che nessuno abbia niente a che ridire o, meglio, senza che venga loro comminata fra capo e collo una sanzione sociale appena percepibile. Si tratta, insomma, di figure sociali che, con il consenso entusiastico delle loro vittime dànno il loro cospicuo contributo alle disparità delle relazioni umane e, alla finfine, alle disgrazie del mondo. Questa antologia, non potendo risarcire nessuno, si limita a denunciare il sistema delle indulgenze.

# # #


Biagi santino e il sistema delle stelle (1)
di Alfredo Ronci

da:www.paradisodegliorchi.com

La morte di Biagi ha giustamente riempito le pagine dei giornali. Onore e merito ad un giornalista – e partigiano, di questi tempi conviene sempre sottolinearlo - che ha sempre svolto con dignità e passione il proprio lavoro. Ma nei peana massmediologici – pur di quelli che erano direttamente responsabili del suo allontanamento dalla tv – si avverte la stantia predisposizione, come pratica diffusa ed incontestabile, del supino ed acritico assenso. Come a dire: è morto il migliore. Personalmente non ho mai amato Biagi, pur rispettandone la statura professionale, proprio perché non amo la deferenza a tutti i costi ed aprioristica e non amo i pensatori moderati. Curiosamente ho sempre avuto un certo rispetto invece per le intelligenze “superiori” che, proprio perché superiori spesso elaborano concetti borderline al limite della mia sopportazione. Potrebbe sembrare una contraddizione in termini, ma non lo è e consiglierei anche a chi mi legge di non cincischiare sulle trite argomentazioni che vogliono le peggiori dittature (e quindi dittatori, o viceversa) ammantati di indiscutibile fascino.
Premetto ciò, e la morte di Enzo Biagi mi dà un la non del tutto parziale, perché recentemente ho letto due libri di autori di intelligenza superiore, ma spesso talmente presupponenti da rasentare l’intolleranza: il saggio pop di Franco Bolelli Cartesio non balla (Garzanti), assolutamente inprescindibile per capire dove va il mondo oggi e Antologia critica del sistema delle stelle di Felice Accame di cui vado a discettare.
E’ una selezione - che lo stesso autore ha curato, scelto ed adattato – di testi scritti per una trasmissione radiofonica che dal 1985 Accame conduceva con Carlo Oliva dai microfoni di Radio Popolare di Milano.
Della serie (e come diceva spesso mia madre): il più pulito c’ha la rogna. Come dice il titolo, sfrucugliamento analitico delle persone famose che godono di un privilegio ben radicato nella storia della cultura umana. Artisti, sportivi e amministratori del sapere hanno origine da atteggiamenti e pratiche di ordine mistico e religioso. Come ogni forma di potere istituzionalizzato. (Dall’introduzione).
Se ne salvasse uno dal frantoio intellettuale dell’Accame! A Jung da del nazista (si evince con inconfutabile chiarezza che Jung si è prestato al nazismo ed alla sua propaganda, e che era antisemita, ma come dimostra Andrew Samuels – in uno splendido saggio intitolato Nazionalsocialismo, psicologia e psicologia analitica -, che “le stesse idee di nazione e di diversità nazionale formano un’interfaccia tra fenomeno hitleriano e la psicologia analitica di Jung (pag.8).
Intendiamoci, Accame riprende tesi di altri per poi argomentare le proprie. Così come fa per Einstein, accusandolo (accusa presa in prestito) di aver “rubato” l’idea della teoria della relatività a Farkas e Janos Bolyai (padre e figlio, ambedue matematici) ma per propinarci poi quella della “famosa” linguaccia , divenuta ormai immagine eloquente di protesta, come emblema di presa per il culo universale (considerando il furto!).
Esilaranti i suoi appunti sui presunti miracoli di san Carlo Borromeo tra cui quello che l’avrebbe visto ridonare il sollievo ad una fanciulla succhiandole la mammella dolorante. Sulla fica socialmente rilevante della Carlucci (la deputata, non la presentatrice), sul “noumeno” kantiano che sembrerebbe (idea anch’essa riportata) prodotto di un’astinenza sessuale o sul Sant’Ambrogio “horror” che beveva, vino rosso durante i rituali religiosi affinché non si provi poi disgusto del “sangue che cola”.
Qualcuno, come ho detto all’inizio, potrebbe trovare alcune “trovate” al limite della decenza: in realtà la provocazione (sempre che ci sia) assume il ruolo di filtro e quel che esce dalla triturazione sistematica dei luoghi comuni e del comune sentire, che è quello che da forza al “sistema delle stelle”, è un concentrato delle sovrastrutture ideologiche e politiche.
A conferma di ciò che dico cito un passo dell’Accame su Eco: Come buona parte degli scritti di Eco, la ritengo più l’espressione giocosa di una borghesia intellettuale che il risultato di una critica radicale del sistema culturale e della sua filosofia (pag.156). Infatti se si insiste su rapporti gerarchici in cui da una parte sta la mediocrità (ricordate il saggio di Eco sulla fenomenologia di Mike Bongiorno?) e dall’altra chi la segnala, si ribadiscono solo altre gerarchie secondo i propri punti di vista.
Lo smascheramento di Accame invece fa tabula rasa delle convenzioni per scagliarsi contro la pratica diffusa dell’indulgenza, quella pratica cioè che favorisce alcune figure sociali e sul consenso entusiastico delle “vittime” che da forza e contributo a questa attività e quindi alle disparità delle relazioni umane.
Tornando all’inizio. Spesso le morti scatenano l’entusiasmo della gente e la riflessione pacata dei poveri cristi. Ricordo l’accidioso appunto di Zeffirelli contro un critico musicale del Corsera che aveva avuto l’ardire di confessare che l’ultimo Pavarotti tutt’era meno che un cantante come si deve. Apriti cielo.
Vorrei che qualcuno con un po’ di coraggio, in questo momento, potesse reclamare un’immagine di Biagi meno santino, meno appartenuto al “sistema delle stelle”. E anche più umanamente intollerante. Perché è stato anche questo.

# # #

«E a proposito di insensatezze, contraddizioni, assurdità, vi segnalo un altro libro decisamente "dirottato". Si intitola Antologia critica del sistema delle stelle (Odradek, 16,00 euro) e lo firma un acuto e imprevedibile Felice Accame, docente di Teoria della comunicazione e presidente della Società di cultura metodologica-operativa. Accame è un cacciatore di pregiudizi e bestialità culturali. Non ha tabù e tanto meno idoli. Anzi si diverte come un pazzo a smontare tutte le certezze intellettuali di cui andiamo fieri. In un capitolo si occupa per esempio di Piero Chiara che aveva messo a confronto due traduzioni di Benito Cereno, il racconto di Melville, sostenendo "la fedeltà e la precisione sono a scapito del risultato poetico". Accame ammette che non avesse affatto capito quale fosse fedele e quale poetica finché non si era accorto che la prima traduzione era di Cesare Pavese, il quale, eletto nella storia della letteratura, aveva anche conquistato il merito di fare "traduzioni poetiche". Mentre l'altra era di Ruggero Bianchi al quale al massimo si poteva riconoscere di farle "fedeli". Accame osserva: "A mio avviso, Chiara è scorretto. Nessuno chiede ad una traduzione di avere una carattere piuttosto indeterminato e mai esplicitato come la poeticità, mentre tutti, innanzitutto, chiediamo che una traduzione sia corretta nei limiti in cui può esserlo". Il libro è tutto così: imprevedibile e perfino irritante. Ma soprattutto imprevedibile, per esempio quanto combina il filosofo Ludwig Wittgentstein con le perversità della trasmissione televisiva Affari tuoi di Bonolis. O quando mette in relazione i film L'Esorciccio e Ultimo tango a Zagarolo con la curiosa scelta della Chiesa di mandare l'esorcista Milingo proprio a Zagarolo.»

© Valeria Palumbo In RottaNOrdOvest del 10 marzo 2006 www.rottanordovest.com

# # #

Andrea Garbuglia, Riflessioni su:
FELICE ACCAME, ANTOLOGIA CRITICA DEL SISTEMA DELLE STELLE

Voglio iniziare con una notizia apparsa proprio in questi giorni. Sembra che la Chiesa Anglicana sia in crisi per il calo delle vocazioni (solo quattromila nell’ultimo anno). La preoccupante situazione ha spinto un pastore, tanto zelante quanto perspicace (o forse semplicemente appassionato dei libri del Prof. Felice Accame!), ad inventare una singolare campagna pubblicitaria, mostrata sui telegiornali della RAI, nella quale la vita consacrata viene paragonata a quella, solo apparentemente più allettante (ma credo che questo dipenda dai punti di vista), dei calciatori. Mi sembra di ricordare che nel manifesto pubblicitario la faccia di un calciatore e quella di un sacerdote, viste di profilo mentre si fissano negli occhi, sono divise da un pallone che campeggia al centro, il tutto su uno sfondo quasi interamente bianco. Purtroppo non ho la più pallida idea di quale sia il testo verbale che accompagna quest’immagine, ma sarebbe decisamente interessante studiarlo. Chi sa se questo esplicito tentativo di costruire la realtà, per altro solo apparentemente diversa da quella proposta nella campagna pubblicitaria, riuscirà a creare una nuova categoria, quella dei sacerdoti che sognavano di diventare Beckham (e magari di sposarne la moglie), salvando in corner (sic!) la Chiesa di Sua Maestà?
Il libro Antologia critica del sistema delle stelle è denso di esempi che lasciano intravedere come questi meccanismi di costruzione della realtà siano attuati dal potere a diversi livelli, meccanismi che passano praticamente sempre inosservati.
Da qualche hanno mi sto occupando dei problemi che legano le teorie della conoscenza alla testologia semiotica, e credo che, se fosse stato pubblicato prima che scrivessi la mia tesi dottorale (La Comunicazione Multimediale e la Musica, Università di Macerata 2005), avrei trovato in questo lavoro una fonte praticamente inesauribile di spunti per parlare di quella che Arbib e Hesse chiamano La costruzione della realtà (ed. it. il Mulino, Bologna 1992), ma soprattutto avrei trovato la risposta ad un inquietudine che mi ha accompagnato nei lunghi mesi passati a studiare questi argomenti: "Il pensiero autoritario si affida sempre a qualcosa che trascenda la persona e la comunità di cui questa persona fa parte. Per continuare a comandare, meglio dire che le cose stanno così e cosà, piuttosto che ammettere che il farcele così o cosà dipende anche da noi." [p. 35] Sicuramente avrei usato questo passo come citazione d’apertura… e il mio lavoro avrebbe trovato ancora più problemi ad essere pubblicato.
In più di un’occasione Accame riflette sul gioco televisivo Affari tuoi e, interrogandosi sull’opportunità di collocarlo nella categoria dei giochi, ne smaschera la bieca ideologia che lo sorregge e che viene da esso propagandata. Ma penso che ci si potrebbe spingere ancora oltre. Paolo Bonolis non perde occasione per sbandierare la sua fervente religiosità (credo sia un devoto di Padre Pio), e se si studia il meccanismo che sta alla base di Affari tuoi non si può negare che esso sia pervaso da un profondo senso religioso, anzi direi evangelico. Infatti, il gioco dei pacchi, che già nel titolo fa ricadere interamente la buona o la cattiva sorte sulle scelte dei concorrenti, che però non sanno mai quali sono le due alternative della scelta, proprio come capitò ad Adamo ed Eva, segue pedissequamente la parabola dei talenti (Mt 25, 14-30). La ricordo brevemente. Un signore prima di partire per un lungo viaggio chiama a sé i suoi servi e, conoscendoli molto bene, distribuisce loro i suoi beni, avendo cura di rispettare le capacità individuali. Quindi c’è a chi toccano cinque talenti, a chi due e a chi uno solo. Già qui ci si potrebbe chiedere se ogni persona sappia o non sappia quanti talenti vengono dati agli altri, cosa che sicuramente non sarebbe stata di poco conto per chi ne riceve uno. Ma tralasciamo quest’aspetto. Durante il periodo della sua assenza, i primi due servi investono i talenti in loro possesso facendoli raddoppiare, mentre il terzo, per paura di perdere il talento affidatogli, lo nasconde in una buca. Al suo ritorno il padrone si congratula con i primi due servi mentre si adira con il terzo, finendo per togliergli quell’unico talento, che viene dato, guarda caso, a chi ne ha già dieci (ma perché non a quello che ne ha quattro, dotato di eguali capacità?). Morale della storia: a chi ha sarà dato a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. La somiglianza con il gioco dei pacchi è sconcertante! Anche qui abbiamo un padrone, il Dio che sta al di là della cornetta e che, onnisciente per definizione, non PREVEDE ma SA tutto: sa cosa c’è nei pacchi, ma soprattutto sa con chi sta giocando. Sa se il concorrente è un pensionato, una casalinga, un imprenditore, se è sposato, se ha figli e via dicendo. Lo sa prima di noi, perché presumibilmente chi ha organizzato i provini si è premurato di acquisire più informazioni possibili; lo sa ancora prima che sia il concorrente stesso a dircelo, rispondendo alle domande incalzanti del conduttore. Lo sa, e in base a questo può giocare (qui si che ha senso parlare di "gioco", come ha senso parlare di "gioco" nella farsa che inscena il gatto prima di mangiarsi il topo). Il gioco inizia, quindi, con una situazione di sostanziale disparità: quella data dalle differenti fortune economiche dei concorrenti (sublime metafora della vita!). Anche questo Dio della cornetta, Signore e Padrone, dà dei talenti, e li distribuisce in base alle capacità dei suoi servi: a qualcuno offre diecimila euro, a qualcun altro cinquantamila, a qualcun altro ancora duecentocinquantamila. Il contenuto del pacco è praticamente irrilevante al fine del gioco, o meglio è irrilevante fino a che non si arriva all’ultima alternativa. Sta al concorrente mettere o non mettere a frutto i talenti/"euri" offerti. Se sceglie di giocare, di non accettare l’offerta, a prescindere da quale sarà il risultato, verrà lodato; nel caso contrario gli rimarrà sempre almeno un dubbio: "forse giocando sarei riuscito a strappare un’offerta maggiore!" È logico che a rischiare sono sempre e solo le persone che hanno già di loro o, per dirla con la parabola, i servi che hanno più "capacità". Se un semplice operaio traduce la "misera" offerta di ventimila euro in termini di stipendio difficilmente rischierà per tentare di vincerne centomila, se tra le alternative c’è anche quella di andare a casa con uno scopettone da bagno! Mi sembra di ricordare anche a me il caso citato da Accame di quel concorrente che rinunciò a duecentocinquantamila euro e ne vinse cinquecentomila, ma credo anche di non sbagliare nel dire che il signore in questione era il proprietario di un ristorante che mascherò la sua scelta coraggiosa con intenzioni caritatevoli, per altro mai portate a termine. Dunque, a chi ha sarà dato. E a chi non ha… beh a chi non ha, cioè a chi ha effettivamente bisogno di quei soldi che accetta, perché, per quanto pochi, possono risolvergli in parte una situazione più o meno precaria,… a chi non ha sarà tolto anche quello che ha, prima con una serie di mortificazione per il suo poco coraggio, che rimane un dato di fatto, a prescindere da cosa sia effettivamente contenuto dal pacco in suo possesso (come se il coraggio non dipendesse da una situazione pregressa!), e poi con la beffa di vedere nel suo pacco una cifra maggiore di quella accettata. In questo caso, il conduttore dà man forte al padrone e bolla il concorrente/servo come malvagio e infingardo, che non si fida del padrone che miete e raccoglie anche là dove non ha seminato (bontà sua!).
Un’espressione che mi ha colpito particolarmente è quella che definisce la pratica psicoanalitica un "colonialismo della mente e della memoria". Condivido in pieno questa definizione, ma penso anche che oggi il vero colonialismo della mente e della memoria sia quello attuato dalla televisione. Faccio un esempio. Qualche anno fa m’è capitato di entusiasmarmi nel cantare canzoni di vecchi cartoni animati e di telefilm americani insieme a ragazzi provenienti da tutt’Europa (in particolare: inglesi, tedeschi, svedesi, spagnoli). Dopo i primi minuti di euforia dettata dalla scoperta di avere una memoria comune, e dall’instaurazione di un primo contato con persone che fino a qualche momento prima neppure conoscevo (quando si dice che il bere ha una funzione sociale!) mi sono reso conto della gravità della situazione: non c’eravamo mai visti eppure "mamma televisione", per quanto discreta possa essere stata negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, aveva provveduto a farci avere, a nostra insaputa, un background comune. Ma questo background va molto più in là del semplice "aver visto la stessa cosa"… e l’entusiasmo lo dimostra. Il background fornitoci dalla televisione ci coinvolgeva emotivamente, simbolicamente, direi ontologicamente. Mi spiego. Se da una parte alla base dell’apprendimento c’è l’imitazione (e il doppio, dato che, come sottolinea Jakobson nei suoi Essais de linguistique générale, le prime parole apprese sono mama e papa, formate, appunto, dal raddoppiamento della stessa sillaba), dall’altra l’imitazione non è mai neutra: imitando i miei genitori non apprendo solo come ci si muove e come si parla, ma investo quanto da me appreso, anche le cose più banali e funzionali (come ad esempio il camminare), di un valore simbolico, di cui sono solo in parte cosciente. Infatti, il bambino non imita chiunque, ma sceglie per una ragione o per l’altra i soggetti da imitare. Il risultato finale sarà quella sorta di patchwork – unico, personale, irripetibile – che chiamiamo soggettività. Ora, è sicuramente vero che ogni processo di apprendimento è diverso dagli altri e che due soggetti, posti nella medesima esperienza, elaborano una conoscenza almeno parzialmente diversa, ma è altrettanto vero che l’euforia provata nel cantare canzoni di cartoni animati (situazione che a ripensarci desta non poca vergogna e imbarazzo!) derivava in gran parte dall’aver investito la conoscenza prodotta in quelle esperienze, comuni ma distanti, di un valore simbolico (uso qui il termine ‘simbolo’ nell’accezione di Carlo Tullio-Altan, Soggetto, simbolo e valore, Feltrinelli, Milano 1992). Guardando quei cartoni animati avevamo tutti appreso qualcosa, ci eravamo identificati, immedesimati, con quei personaggi, il nostro patchwork si è costruito anche sulla base di queste identificazioni, e ora quelle canzoni che stavamo cantando erano il mezzo attraverso il quale riattivavamo le connessioni neuronali instaurate grazie a quell’esperienza conoscitiva, esperienza che aveva contribuito a farci crescere insegnandoci parole nuove, modi di agire e di pensare, facendoci sognare il nostro futuro, il tutto condito con una buona dose di auto-valorizzazione.
Credo molto nella ricerca che ha per oggetto l’operare del mentale, a prescindere da qualsiasi tipo di specificazione il ‘mentale’ possa assumere. Lana (lo scimpanzé che parlava tramite una tastiera), Hans (il cavallo che sapeva contare), Papere (la collie di Accame) e Briciola (la gatta che da qualche tempo ha scelto di dormire in camera mia) fanno delle operazioni mentali, che sono sicuramente diverse dalle mie ma ciò non toglie che sia possibile individuare una base comune, e postulare una superiorità o un’inferiorità in presenza di una differenza è, come sempre, solo un pretesto per esercitare un potere, che molto spesso si conclude con la soppressione fisica o con uno dei suoi surrogati. Racconto un piccolo aneddoto personale. Mia madre crede a tutto quello che dico. Se, ad esempio, le dico che oggi pomeriggio io e Cristina (la mia ragazza) andremo in macchina a prendere un caffè a Rimini, lei si agita subito e inizia a chiedermi che bisogno c’è di fare tutta quella strada, a dire che c’è molto trafficate e che succedono tanti incidenti… anche se sa benissimo che non è mio solito fare una cosa di questo genere, che non mi piace particolarmente Rimini, specialmente quando si avvicina l’estate, e che bevo solo tè. La cosa si ripete puntualmente ad ogni mio scherzo! Briciola ama fare quello che sa di non dover fare: salire sui letti e farsi le unghie sulle coperte, dormire sulla mia sedia, saltare sul tavolo e giocare con penne e matite. Ama farlo perché sa che poi mi arrabbio e iniziamo una finta battaglia che lei sicuramente considera un gioco molto divertente. Per distrarla dalle marachelle che fa quotidianamente avevo trovato l’espediente più scontato: fingere che le sto per dare qualcosa da mangiare, chiamandola con le parole e con il tono di voce che uso quando le riempio la ciotola di crocchette. Le prime volte l’espediente ha funzionato, anche se lei nel seguirmi era un po’ titubante: evidentemente c’era qualcosa di strano, che ha trovato riscontro nel non ricevere nulla da mangiare. Poi ha capito e adesso posso tranquillamente sgolarmi, tanto lei continua imperterrita a fare quello che sta facendo! Probabilmente riesce a percepire dal tono della mia voce che sto bluffando; forse, sapendo di mentire, uso un tono che si differenzia impercettibilmente da quello appropriato e lei riesce a capirlo, meglio di una macchina della verità. Ho fatto anche la controprova: mentre stava facendo qualche danno l’ho chiamata per darle effettivamente qualcosa da mangiare e, neanche a dirlo, lei mi ha seguito con il solito entusiasmo. Mia madre sa dove si trova Rimini, sa cosa significa prendere un caffè e sa che bevo solo tè ma crede a tutto quello che le dico. Briciola non ha la più pallida idea di cosa stia ad indicare il termine "crocchette", pur mangiandole tutti i giorni, ma sa benissimo quando sto mentendo. Morale della favola… mai giocare a poker con i gatti!

Andrea Garbuglia, maggio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Felice Accame anche Dire e condire
INFO CONTATTI MAPPA
Odradek Edizioni srl - Via san Quintino 35 - Tel e Fax. 0670451413