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C. Bermani - S. Corvisieri - C. Del Bello - A. Portelli
GUERRA CIVILE E STATO
Per una revisione da sinistra

In appendice, Per una mappa bibliografica dei revisionismi storiografici

pp.100 € 6,20

 

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Il revisionismo storico assume significati decisamente negativi quando si configura come revisionismo negazionista. Questo filone del revisionismo se ha avuto poca considerazione sul piano storiografico, ne ha avuto molto in quello politico di aree apertamente reazionarie e filonaziste.
Un altro revisionismo, certamente non paragonabile a quello negazionista e meritevole di maggiori attenzioni su un piano storiografico, è quello che si è sviluppato in Italia grazie al faticoso lavoro di ricerca dello storico Renzo De Felice. Se pur criticabile su un piano eminentemente metodologico, i lavori di De Felice hanno contribuito a riaprire il dibattito interpretativo sui "fascismi" di questo secolo.
Già a partire dall'Intervista sul fascismo rilasciata nel 1975 allo storico M.A.Ledeen e pubblicata da Laterza, R. De Felice rendeva pubblici i presupposti "ideali" del suo lavoro storiografico. Per De Felice la storia del fascismo andava fatta in altro modo. E andava fatta dagli storici che non avevano vissuto il fascismo. Cioè dalla generazione postfascista di studiosi che non potevano rimanere "condizionati totalmente dalle passioni del tempo".
Questa sensibilità e determinazione defeliciana di rinnovare la ricerca storiografica su una parte consistente e importante della storia italiana, si è però prestata ad altri condizionamenti.
La ricostruzione che De Felice fa del modo in cui Mussolini governò l'ordine politico, sociale ed economico e l'attenzione spasmodica che la sua ricerca mostra di avere nei confronti dei singoli personaggi e le loro psicologie, offre materiali sufficienti per un uso pubblico, quindi politico, della storia italiana alla destra italiana. Solo che questa destra, al momento identificabile più con le scorribande dei vari Gramazio in parlamento, non è stata in grado di usare pubblicamente e fino in fondo la costruzione ideale e i riferimenti culturali "alti" che le offriva su un piatto d'argento il revisionismo di De Felice. Ma nonostante l'assenza storica della destra italiana agli appuntamenti che "contano", la storiografia di De Felice ha lasciato comunque un segno nella cultura italiana. Soprattutto quando ha contribuito a smantellare il paradigma antifascista e i luoghi comuni che si sono generati intorno al ventennio e alla lotta di liberazione.
Tutti aspetti questi alimentati spesso da una storiografia istituzionale che ha proiettato una visione edulcorata, ottusamente istituzionalizzata dell'antifascismo. La storiografia ufficiale, quella di "partito" in primo luogo, ha prosperato sulla stipulazione <<gli italiani furono tutti antifascisti>>, negando sistematicamente i caratteri di guerra civile presenti nella lotta partigiana e sottacendo gli elementi di continuità dello stato. La Resistenza e la lotta partigiana sono state imbalsamate, volutamente tenute sotto spirito perché scomode in tante loro vicende e storie interne (come tutte le guerre civili). Basti pensare alla resistenza di popolo a Roma sulla quale per cinquanta anni non si è scritto e detto niente perché la presenza di personaggi scomodi, di sottoproletari analfabeti, di antifascisti delle borgate romane oggettivamente figure rozze e ruvide (come il Gobbo del Quarticciolo, per esempio), avrebbero "sporcato", magari "infangato", l'immagine pulita che si voleva attribuire alla lotta resistenziale che si riferiva al CLN.
La storiografia antifascista, o meglio sarebbe dire la storiografia che ha fatto dell'antifascismo e della lotta partigiana un "monumento", ha facilitato l'opera revisionistica e il collasso della percezione nazionale della lotta antifascista. E' ormai necessaria, più che una revisione da sinistra, una riscrittura - è questo l'appello lanciato da Bermani, Corvisieri e Portelli - che si cimenti con la storia nazionale ed europea senza pregiudizi e incrostazioni ideologiche; che sappia rimettere in campo le idealità della Resistenza senza cadere nella celebrazione e nella commemorazione, ritessendo i tanti fili della memoria, anche quelli più ruvidi e urticanti, guardando più al terzo millennio che al secolo che se ne va. D'altronde come scriveva Marc Bloch: il passato è per definizione un dato non modificabile, ma la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e si perfeziona incessantemente. Gli interventi che trovate pubblicati in questo libro vogliono, in questa prospettiva, segnare l'inizio di una nuova ricerca storiografica proponendosi nello stesso tempo come strumenti di dibattito politico.
 
 
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