| La 
                    ricostruzione storica che proponiamo ha un oggetto fin troppo 
                    noto. Ma spesso indagato più con gli strumenti della 
                    pura cronaca che non con quelli della storiografia. Troppa 
                    vicinanza agli eventi, troppo coinvolgimento emotivo di “osservatori” 
                    necessariamente non neutrali, ma partecipi di uno scontro 
                    che ha segnato a suo modo un’epoca della nostra storia 
                    nel “secolo breve”.Con questo libro, invece, ci sembra che finalmente la storiografia 
                    sia in grado di iniziare ad appropriarsi di un oggetto che 
                    – se non altro per l’ormai consistente distanza 
                    temporale – merita di appartenerle. Fuori dalle dietrologie, 
                    dalle personalizzazioni, dalle riduzioni più o meno 
                    interessate.
 L’autore, del resto, nonostante la sua giovane età, 
                    vanta una produzione scientifica di tutto rispetto. Tra le 
                    sue opere più recenti spiccano ben due testi fondamentali 
                    per la comprensione del dissenso 
                    sovietico (è docente di Storia dell’Europa 
                    orientale a Cosenza).
 Sono innumerevoli i passaggi che sfatano la vulgata corrente. 
                    Ci limitiamo qui a segnalare il ruolo di Giuliano Naria, la 
                    ricostruzione della dinamica di via Fani, nonché della 
                    “fase discendente” delle Br – per la prima 
                    volta indagata nelle sue svolte fondamentali, con attribuzione 
                    originale di ruoli e responsabilità ad ogni protagonista.
  IV 
                    di copertina Fonti 
                    e documenti. Il lavoro dello storico ha uno statuto consolidato, 
                    di rado applicato al più dirompente fenomeno politico 
                    che abbia attraversato l’Italia della seconda metà 
                    del Novecento. È quel che accade quando le ragioni 
                    del conflitto sociale e ideale sono così forti da ostacolare 
                    l’indagine scientifica. Con la storia delle Brigate 
                    Rosse questa difficoltà si è manifestata per 
                    almeno trent’anni, lasciando spazio, accanto a ricostruzioni 
                    scientificamente solide, a una letteratura per lo più 
                    di stampo giornalistico.Marco Clementi, ne La pazzia di Aldo Moro, si era 
                    concentrato, con gli strumenti del suo mestiere, su un singolo 
                    punto di quel percorso, non a caso lo snodo principale. E 
                    con una severità metodologica esemplare. Ora si misura 
                    col fenomeno nel suo insieme e per tutta la sua durata effettiva, 
                    mettendone in risalto la coincidenza temporale pressoché 
                    perfetta con la parabola del movimento operaio italiano negli 
                    anni ’70. E restituisce tutta la complessità 
                    di un’esperienza «nata all’interno delle 
                    grandi fabbriche del Nord», e giunta, all’apice 
                    della sua esistenza, a toccare «il cuore dello stato».
 Fonti e documenti. In un paese profondamente cambiato e turbato, 
                    scosso nelle sue certezze anche culturali, ridotto a vivere 
                    in una empiria senza princìpi, l’equilibrio nella 
                    ricostruzione storica di una materia così controversa 
                    costituisce un significativo passo avanti. Di quelli che solo 
                    la ragione vigile riesce a realizzare e di cui si ha molto 
                    bisogno.
 | 
              
                | http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=/documenti_globnet/corsera/2007/12/co_9_071213035.xml
 
 La 
                    recensione di Giovanni Bianconi 
                    sul Corriere della sera  
                    Corriere della Sera, 13 dicembre, 2007Br, una storia finita con Ruffilli
 «Con l' omicidio del senatore dc si concluse il progetto 
                    terroristico. Il tentativo della Lioce di riavviarlo non ha 
                    alcuna consistenza»
 «Per Marco Clementi la parabola delle Brigate rosse 
                    si ferma al 1988»
 « Il libro Parte dai tempi di Renato Curcio, la «Storia 
                    delle Brigate rosse» scritta da Marco Clementi per Odradek 
                    (p. 410, € 25)»
 Clementi insegna storia dell' Europa orientale all' Università 
                    di Calabria e ha scritto una «Storia del dissenso sovietico»
 Hanno impiegato undici anni per organizzarsi e decidere di 
                    firmare un delitto politico con la stella a cinque punte e 
                    la vecchia sigla brigatista. Era il 1999, e gli epigoni di 
                    Renato Curcio e Mario Moretti uccisero Massimo D' Antona. 
                    Tre anni dopo ci hanno riprovato, con l'omicidio di Marco 
                    Biagi nel 2002. Ma non è bastato. Nella Storia delle 
                    Brigate rosse che il professor Marco Clementi ha appena mandato 
                    in libreria con l' editore Odradek - molto approfondita e 
                    dal taglio quasi «scientifico», intenzionalmente 
                    privo di valutazioni morali - quelle drammatiche gesta compaiono 
                    solo di sfuggita. Relegate in una nota di cinque righe, a 
                    pagina 342, comprensiva dei nomi di assassini e assassinati. 
                    Non certo per dimenticanza, bensì come conseguenza 
                    della tesi di fondo: la parabola del gruppo che più 
                    di ogni altro ha segnato la storia del terrorismo in Italia 
                    s' è chiusa definitivamente nel 1988, quando i militanti 
                    che avevano sparato gli ultimi proiettili sul senatore democristiano 
                    Roberto Ruffilli furono arrestati, e quelli già carcerati 
                    dichiararono la fine della guerra perduta con lo Stato. Ammissione 
                    per molti versi tardiva, poiché già da qualche 
                    anno le azioni e i lutti brigatisti apparivano colpi di coda 
                    decisamente «fuori contesto». Secondo Clementi, 
                    che in passato ha studiato la fase più incisiva dell' 
                    attacco sferrato dalle Br con La pazzia di Aldo Moro, il percorso 
                    del maggiore partito armato italiano «coincide perfettamente 
                    con l' ascesa e la caduta dei movimenti: dal "biennio 
                    rosso" 1968-69 alla sconfitta dei "35 giorni" 
                    alla Fiat, nel 1980». Dopo di allora, «il rovesciamento 
                    del clima sociale degli anni Ottanta mise a nudo le debolezze 
                    del "progetto politico" brigatista, facendone rapidamente 
                    invecchiare il linguaggio». I morti che le Br hanno 
                    continuato a seminare fino al delitto Ruffilli «erano 
                    la rappresentazione di una conclamata solitudine politica, 
                    e non più la sanguinosa capacità di incidere 
                    sugli equilibri generali del Paese, come era invece avvenuto 
                    nel corso degli anni Settanta». Logico quindi che gli 
                    epigoni comparsi nel ' 99 siano collocati fuori dalla storia 
                    e dalla Storia delle Br, nonostante in carcere qualcuno ne 
                    abbia rivendicato gli omicidi e i killer di D' Antona e Biagi 
                    (arrestati nel 2003) continuino a lanciare proclami di guerra. 
                    «Il gruppo formatosi intorno a Nadia Desdemona Lioce 
                    - si legge nella nota che li riguarda - tentò di riaprire 
                    la logica della lotta armata percorrendo una via già 
                    abbandonata alla fine degli anni Ottanta dalle Br-Pcc storiche, 
                    ossia colpendo due uomini impegnati nella riforma del mondo 
                    del lavoro». Tentativo evidentemente fallito, per lo 
                    storico; col sottinteso che quel fenomeno ha rappresentato, 
                    e forse potrà rappresentare in futuro, solo un problema 
                    di polizia. Al contrario delle Br originarie, che invece, 
                    com' è spiegato nel volume, ricco di riferimenti a 
                    18 anni di aggrovigliati e truculenti documenti brigatisti, 
                    cambiarono il corso degli eventi nel dopoguerra italiano. 
                    Il sequestro e l' omicidio di Moro rappresentano il punto 
                    più significativo dei mutamenti di rotta imposti dalla 
                    «politica armata» delle Br, che rimasero spiazzate 
                    dall' irremovibile fermezza dello Stato: i partiti «spostarono 
                    il piano dello scontro, e le Br furono messe di fronte a un' 
                    equazione che non furono in grado di risolvere». Dopo 
                    l' uccisione del presidente democristiano ci fu il massimo 
                    storico di adesioni al progetto brigatista, e nel 1979 il 
                    maggior numero di attentati, ma già dal 1980 cominciò 
                    la parabola discendente. Alla crisi dovuta ai «pentiti» 
                    e alla controffensiva «militare» dello Stato si 
                    aggiunse quella politica, con la «marcia dei quarantamila» 
                    alla Fiat, che sancì la sconfitta della lotta operaia 
                    e molte altre conseguenze. Tra le quali, secondo Clementi, 
                    l' incapacità delle Br di analizzare e cogliere l' 
                    autentico significato di quell' evento. Le divisioni che dall' 
                    81 in poi hanno attraversato le «vecchie» Brigate 
                    rosse hanno portato alla fine della storia, all' interno della 
                    quale si può ritrovare anche una piccola «rivelazione». 
                    Ora che è morto, gli ex brigatisti che all' epoca furono 
                    suoi compagni non hanno più remore ad ammettere che 
                    Giuliano Naria - l' extraparlamentare arrestato nel 1976, 
                    il quale scelse di difendersi negando gli addebiti - fece 
                    effettivamente parte delle Br. Clementi lo sottolinea e attribuisce 
                    a questo particolare un' importanza «fondamentale per 
                    la storia della colonna genovese delle Br e dello stesso Naria». 
                    Che fu accusato anche di triplice omicidio e poi prosciolto, 
                    dopo un lungo periodo di carcerazione preventiva. In favore 
                    dell' innocenza di Naria si mobilitò a suo tempo, tra 
                    molte polemiche, una nutrita schiera di militanti e intellettuali.
 Giovanni Bianconi
 ************ ############# ************ Teorie 
                    del complotto L'eclisse del Grande Vecchio
 di Raffaele Liucci
 Le Br non nacquero a tavolino in qualche scantinato della 
                    Cia, o del Kgb o del Sid, ma a Milano, nel 1970, in uno specifico 
                    contesto operaio. La loro parabola coincide con l'ascesa e 
                    la caduta dei movimenti: dal "biennio rosso" del 
                    '68-'69 alla. sconfitta alla Fiat, nel 1980, dopo i «35 
                    giorni». È questa la tesi dei recenti volumi 
                    di Marco Clementi (Storia delle Brigate Rosse, Odradek) 
                    e Andrea Saccoman (Sentieri rossi nella metropoli, 
                    Cuem), i primi studi complessivi sulle Br condotti da storici 
                    di mestiere. Uno sfondo da tener presente, per orientarsi 
                    nel labirinto del sequestro Moro. La bibliografla è 
                    sconfinata, ma i testi utili davvero pochi. Giovanni Bianconi 
                    ha tracciato un'avvincente ricostruzione giornalistica (Eseguendo 
                    la sentenza. Roma, 1978. Dietro le quinte del sequestro Moro, 
                    Einaudi). Manlio Castronuovo ha compilato una rassegna dei 
                    principali snodi interpretativi (Vuoto a perdere, 
                    Besa). Agostino Giovagnoli ha indagato l'impatto dei «55giomi» 
                    sui principali partiti (Il caso Moro. Una tragedja repubblicana, 
                    il Mulino). Miguel Gotor ha curato per Einaudi l'edizione 
                    critica delle Lettere dalla prigione, che ci riportano 
                    tutti in quella angusta cella da dove uscì «forse 
                    il più importante epistolario del Novecento italiano». 
                    Impossibile, poi, non fare i conti con i monumentali studi 
                    di Vladimiro Satta, autentiche pietre millari deIla ricerca 
                    storica (Odissea nel caso Moro, Edup; Il caso 
                    Moro e i suoi falsi misteri, Rubbettino). Secondo Satta, 
                    ormai sappiamo tutto. Gli unici protagonisti dena vicenda 
                    furono i brigatisti. L'indubbio successo militare (ma non 
                    politico) del loro attacco fu dovuto all'effetto sorpresa 
                    e all'impreparazione degli apparati repressivi di fronte a 
                    una tale, inaudita emergenza. Insomma, non ci fu alcun "grande 
                    vecchio" a gestire nell'ombra il sequestro: «Il 
                    caso Moro è di per sé una storia tragica e per 
                    esprimere quella grandezza che è insita nelle tragedie 
                    non c'è davvero bisogno di montature». Un'interpretazione 
                    che si contrappone a quella di Sergio Flamigni (La tela 
                    del ragno, Kaos), il quale ha viceversa insistito sui 
                    poteri occulti interessati a pilotare le Br, sino al tragico 
                    epilogo. Forse non tutto è così chiaro, forse 
                    ci furono trattative mai venute alla luce (soprattutto per 
                    recuperare le carte del prigioniero), forse la sera del 9 
                    maggio '78 molti nemici di Moro e del "compromesso storico" 
                    non versarono troppe lacrime per il suo assassinio. Però, 
                    documenti alla mano, è difficile non concordare, in 
                    linea di massima, con la pacata lettura di Satta. Come mai, 
                    allora, la straordinaria fortuna trasversale arrisa alla dietrologia 
                    più cervellotica e talvolta esilarante? Forse anche 
                    questo è un sintomo del deficit di laicità che 
                    affligge il nostro Paese, sempre in bilico tra Peppone e don 
                    Camillo. Le "grandi narrazioni" sono senz'altro 
                    più fascinose e seducenti dei fatti illuminati dalla 
                    loro cruda nudità. E così la verità non 
                    è quasi mai all'altezza delle nostre aspettative.
 Raffaele 
                    Liucci da DOMENICA, supplemento domenicale 
                    de Il Sole-24 Ore del 2 marzo 2008
   ************ ############# ************  Recensione 
                    in ANNALE Sissco IX/2008, p. 220, di Emmanuel 
                    Betta  Docente 
                    di Storia dell'Europa orientale all'Università della 
                    Calabria, Clementi si è già occupato di terrorismo 
                    e brigate rosse (La pazzia di Aldo Moro, Roma, Odradek, 2001; 
                    Milano, Rizzoli 2006), nonché dei movimenti politici 
                    e del dissenso nell'Est europeo. Qui ricostruisce quella che 
                    configura come una storia del passato, considerata conclusa 
                    come il momento storico cui apparteneva, quel periodo che 
                    va dall'esplosione del biennio'68-69, alla marcia dei 40.000 
                    del 1980: la stagione del movimento operaio e insieme quella 
                    delle BR quali protagoniste della vita politica italiana. 
                    Per Clementi non appartengono a questa vicenda storica i responsabili 
                    degli omicidi di Massimo d'Antona e Marco Biagi. Su di essi 
                    poche righe (nota 51 a p. 342) dove si legge che un gruppo 
                    guidato da Nadia Desdemona Lioce negli anni '90 ha cercato 
                    di riaprire «la logica della lotta armata in Italia 
                    percorrendo una via già abbandonata alla fine degli 
                    anni ottanta dalle Brigate rosse storiche» (p. 342); 
                    queste ultime avevano concluso la loro storia nel 1988 con 
                    l'assassinio di Roberto Ruffilli. Un taglio interpretativo 
                    netto e per molti versi discutibile, in primis perché 
                    adottando un approccio che guarda solo al piano politico-istituzionale 
                    e alle dinamiche ad esso legate, che risultano l'unico spazio 
                    nel quale vengono cercati i motivi e i caratteri dell'agire 
                    brigatista, l'a. rinuncia a problematizzare quegli stessi 
                    caratteri politico-culturali nei loro assunti come nelle loro 
                    articolazioni. Così, per esempio, per quanto usate, 
                    le memorie dei brigatisti non sono impiegate come fonti per 
                    discutere e fornire spessore alle affermazioni teoriche o 
                    politiche, ma fungono principalmente da corredo fattuale e 
                    veritativo alle ricostruzioni effettuate. Clementi afferma 
                    fin da subito la piena cittadinanza delle BR non solo all'interno 
                    del movimento operaio, ma più in generale all'interno 
                    dei movimenti antagonisti e rivoluzionari. In questo senso 
                    le ascrive senza esitazioni a un'unica genealogia operaista 
                    e di fabbrica, escludendo nettamente ogni altra filiazione 
                    politico-culturale, a partire da quella movimentista. Una 
                    lettura forte, densa di implicazioni e molto discussa, che 
                    sta al centro dei conflitti di memoria che ruotano attorno 
                    all'interpretazione della vicenda storica del terrorismo italiano. 
                    All'interpretazione corrisponde lo stesso impianto del testo: 
                    una fitta esposizione degli eventi in prospettiva rigorosamente 
                    cronologica, intrecciata ampiamente alla lettura e discussione 
                    dei documenti dell' organizzazione armata e divisa in tre 
                    parti: l'organizzazione, dai prodromi del '68-69 al processo 
                    torinese al nucleo storico delle BR del 1978; l'offensiva, 
                    clal1977 all' omicidio di Vittorio Bachelet e alla creazione 
                    della colonna napoletana nel 1980; la sconfitta, dalla rottura 
                    dell'unità brigatista nel 1980 con la nascita della 
                    colonna «Walter Alasia» alla fine, segnata dall'omicidio 
                    Ruffilli. Pur privilegiando un'analisi per linee interne a 
                    discapito della contestualizzazione, questo volume rappresenta 
                    una densa e dettagliata ricostruzione, e benché non 
                    introduca fonti nuove o novità interpretative costituisce 
                    indubbiamente un punto di partenza utile per inquadrare la 
                    vicenda storica delle BR.
 Emmanuel 
                    Betta |