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Filippo Benfante e Piero Brunello
LETTERE DALLA CURVA SUD
Venezia 1998 - 2000

pp.186 € 9,32

 

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John Foot, Calcio. 1898-2006. Storia dello sport che ha fatto l'Italia (trad. it. Rizzoli, Milano 2007) di questo libro dice:

«il libro sul calcio più interessante uscito negli ultimi anni in Italia, e forse proprio per questo completamente ignorato».

 

Questo libro è frutto di una “osservazione partecipata” allo stadio Penzo di Venezia, con sciarpa arancioneroverde. Gli autori seguono con divertimento le partite in Curva sud, dove la maggior parte dei tifosi preferisce i nomi “VeneziaMestre” e “Unione” a quello ufficiale “Venezia”, esprimendo così anche un modo di pensare i luoghi dove vivono.
A parte questo aspetto, il tifo organizzato del Penzo non è molto diverso da quello che si può trovare in altri stadi; tuttavia, ha alcune caratteristiche che mettono gli autori a loro agio: in Curva sud non si espongono simboli nazifascisti e si adottano pratiche antirazziste. Infine, conta anche la fortuna di non aver mai assistito a scontri violenti tra tifosi o con la polizia. Negli ultimi anni, la scelta antirazzista ha ridefinito accordi e alleanze (“gemellaggi”) tra i vari gruppi di tifosi. Le discussioni su questo punto stanno modificando il rapporto tra politica e “mondo ultras”, che pure continua a rivendicare la sua totale autonomia, regolandosi secondo un codice di comportamento e una “mentalità” propri, e che si definisce perciò “apolitico”. Altri aspetti sono oggetto di confronto interno: dalla necessità di differenziare le forme del tifo antirazzista da quelle comuni anche a tifoserie razziste, al rapporto con il maschilismo, con la violenza e con le forze dell’ordine. Sono discussioni affini a quelle in corso in altri settori della società.
Per questo, secondo gli autori, è “buona abitudine diffidare del fanatismo, ma si può considerare con la giusta serietà e con rispetto il modo che le persone scelgono per passare il tempo libero”.

 

Filippo Benfante (1973), sta completando un dottorato in Storia presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze.
Piero Brunello (1948) è docente di Storia sociale all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

 

Introduzione di Filippo Benfante

Per anni i forestieri hanno considerato questa prateria desolata, spoglia e monotona, una terra più nuda di qualunque altra o quasi, ma io so che non sono qui per esplorare la vacuità nel cuore dell’America: io sono qui, nel bel mezzo delle Flint Hills del Kansas, in cerca di ciò che c’è, in cerca della terra e di ciò che la plasma, sono qui perché nutro sospetti e oscuri presentimenti di minacce che incombono su tutta l’America: e spero che le dimensioni ridotte di questa contea mi consentano di vederci più chiaro.
W. Least Heat-Moon, Prateria,
Einaudi, Torino 1994, p. 13
1. Seguiamo una squadra che tutti i mezzi di informazione chiamano “Venezia”. Guardiamo le partite allo stadio Penzo di Venezia, in piedi, nel settore “Curva sud”, dove la maggioranza degli spettatori e tutti i nostri vicini di posto tifano chiamando la squadra “VeneziaMestre” o “Unione”.
Piero, assieme al figlio Giovanni, va a tutte le partite in casa e a qualcuna in trasferta. Io mi unisco a loro quando posso: dal settembre 1998 seguo i campionati a distanza, perché vivo a Firenze. Non appena mi sono trasferito, ho cominciato a chiedere notizie di quanto mi perdevo al Penzo. Approfittando della comodità della posta elettronica, Piero ha preso l’abitudine di mandarmi le cronache delle sue domeniche allo stadio. Il resoconto della partita è sempre accompagnato da altro: i preparativi, il viaggio, i compagni di strada, i vicini di posto, l’atmosfera della curva, il modo di tifare, i cori e gli slogan ascoltati, i colori esibiti. Di solito le discussioni proseguono tutta la settimana. Anche altre persone hanno chiesto di ricevere le nostre note, e a volte hanno replicato con i loro commenti. Così si è creato un epistolario dove, alla corrispondenza continua tra me e Piero, si sono aggiunti i saltuari messaggi di una decina di persone.
In questo libro raccontiamo le esperienze vissute tra il 1998 e il 2000, il periodo in cui l’Unione ha giocato i suoi primi due campionati di serie A.2. Le nostre discussioni su calcio, sport e tifosi erano iniziate nel 1997, quando – sulla base della frequentazione e dei ricordi miei e di alcuni amici – avevo cercato di spiegare che molti vanno allo stadio Penzo non solo per guardare una partita, ma anche per manifestare opinioni e sentimenti verso i luoghi in cui vivono1.
Piero ha cominciato ad andare in curva l’anno dopo, in cerca di un modo per passare del tempo con Giovanni, e coinvolto dall’entusiasmo per i risultati che avrebbero portato alla promozione del VeneziaMestre in serie A alla fine del campionato 1997/98.
L’estate seguente, le riunioni con gli amici per vedere le partite dei mondiali ci hanno mostrato come si parli di calcio, perlomeno tra maschi, per discutere anche di molti altri aspetti delle nostre vite. Del resto, per fare un esempio, Luciano Bianciardi ha raccontato i cambiamenti della società italiana durante il miracolo economico partendo da un campo di calcio. “Come si misura la bravura di un prete, di un pubblicitario, di un PRM?”: per avere successo nel lavoro culturale, nella politica, nelle nuove professioni “di tipo terziario e quartario” si deve sollevare polvere “come certe ali al gioco del calcio, in serie C, che ai margini del campo, vicino alla bandierina, dribblano se medesimi sei, sette volte, e mandano in visibilio il pubblico sprovveduto. Il gol non viene, ma intanto l’ala ha svolto, come suol dirsi, larga mole di lavoro”. Poi bisogna saper marcare, a uomo e a zona: scegliere un settore e farlo sembrare importante anche se non conta nulla, stare incollati al proprio direttore e anticiparlo in ogni occasione, per riuscire a fare carriera2.3. Al Penzo abbiamo constatato che gli spettatori non sono un accessorio del terreno di gioco, e che la curva è un luogo che funziona con regole autonome. Poco alla volta si è cominciato a notare i soliti volti e i meccanismi ripetitivi, per farne parte e comprenderli allo stesso tempo, a censire colori, parole e idee: come frequentare ogni giorno un luogo di lavoro oppure un ospedale o una qualsiasi altra comunità caratterizzata da abitudini, orari, fisionomie, architetture.
Le persone che si incontrano in una curva – almeno nella “sud” del Penzo – sono le stesse che si possono incontrare altrove. In uno stadio non accadono più “episodi spiacevoli” (o “deplorevoli”, “esecrabili”, e così via) che nella società che produce stadi di questo genere. Tra l’altro, per il fatto di pagare un biglietto o un abbonamento, la maggioranza dei tifosi è consapevole di far parte di un ramo dell’“economia di mercato” e si regola di conseguenza. È buona abitudine diffidare del fanatismo, ma si può considerare con la giusta serietà e con rispetto il modo che le persone scelgono per passare il tempo libero.
Il settore dove ci mettiamo per guardare la partita è irriverente nei confronti della storia, del nome e dei colori di questa squadra, che vengono scelti e sostenuti a dispetto di quanto viene ripetuto nelle cronache di giornali e televisioni. Questo è solo uno degli aspetti del “fai da te” eseguito dai tifosi della Curva sud con colori, simboli, storia, slogan, musiche, attinti da un repertorio piuttosto vario, anche se alla lunga ripetitivo. La rielaborazione di un materiale di questo genere è tipica del tifo organizzato, soprattutto quello degli ultras. Il risultato che si manifesta durante le partite al Penzo è affine al nostro modo di sentire. Siamo a nostro agio in una curva dove: non compaiono croci celtiche o altra simbologia nazista, a Piero capita di vecchi compagni di militanza politica, e i capi ultras hanno deciso di proporre un tifo antirazzista.
Ci siamo accorti di poter pensare a un piccolo mondo partendo da uno stadio. Come ha osservato Alessandro Dal Lago, “proprio dalle voci rituali della domenica sale un certo messaggio sulla qualità dei nostri giorni feriali”3. Il mondo che vediamo coincide grosso modo con la provincia di Venezia, comprese le propaggini verso Treviso e Padova, con qualche puntata occasionale verso ovest, a Vicenza e Verona, quando ci sono i derby.4. Il libro è scandito in capitoli che corrispondono ad altrettante partite, secondo uno schema già usato da Nick Hornby per il suo Febbre a 90’4. Alcuni dei nostri capitoli sono completati da una scheda bibliografica.
Nel 1999 Roberto Ferrucci ha raccolto le sue cronache dal Penzo in un volume, dopo avere seguito la stagione 1998/1999 come inviato del quotidiano “la Nuova Venezia”5. Ferrucci ha usato il nome ufficiale “Venezia” e ha visto le partite seduto in tribuna stampa. Noi abbiamo sempre seguito le partite in Curva sud. I nostri vicini non sono mai stati ospiti illustri o amministratori pubblici o grandi giocatori; non abbiamo mai parlato con calciatori e celebrità locali, ma solo con altri tifosi come noi. La lingua più usata è stata il dialetto, oppure un misto di italiano e dialetto. Abbiamo preferito riportare in italiano le nostre conversazioni, i discorsi che abbiamo ascoltato e le espressioni tipiche di queste zone, alcune delle quali sono riportate nel “frasario” nell’ultima parte del libro.
Rielaborando le lettere che sono alla base di questo libro, ci siamo accorti di quanta monotonia c’è nel rito dello stadio: l’ambiente, i gol, i gesti propiziatori e le scene di esultanza sono momenti irripetibili e allo stesso tempo tutti uguali; anche le cronache e i resoconti attingono a un catalogo standard di espressioni, immagini e luoghi comuni. In queste pagine non resta quasi più nulla di quanto è successo in campo, se non il lampo di gioia che può dare un gol di tacco, il divertimento e il sollievo che offre una curva antirazzista, il piacere di ritrovare degli amici per una domenica all’aria aperta. Tutto questo è stato importante almeno quanto i fremiti per il destino della nostra squadra, per la “salvezza” e la “promozione”.5. Ho scritto queste pagine pensando agli amici. Alcuni sono presenti nel libro; altri non li vedo quasi più, a meno di un incontro casuale al Penzo, ma non sono stati meno importanti. Per questo, ringrazio Alessandro, che è venuto a trovarmi con un pallone sotto il braccio nella primavera del 1982; Matteo, per le tante partite nei giardini di Bibione; Alberto, Davide e Massimiliano, i miei primi compagni di curva; Luca per le discussioni su politica e Curva sud.Letture
Paul Ginsborg ha scritto nel suo studio L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato, Einaudi, Torino 1998, p. 216: “Da un certo punto di vista, il calcio è il gioco ideale per una nazione come l’Italia in cui la famiglia riveste un ruolo così centrale, in quanto collega quasi senza sforzo l’infanzia e l’età adulta, sia nella stessa persona (che nel guardare la partita di serie A ricorda i propri giochi di bambino o di ragazzo), sia in ambito famigliare, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra padre e figlio maschio”.
Tra le molte pagine dedicate alla passione per il calcio che ho letto in questi anni, quelle che preferisco sono state scritte da Luigi Meneghello; valga per tutti il “Per dove pari tu, questo è il problema”, con cui si apre il capitolo XII di Libera nos a Malo (che conosco nell’edizione Mondadori, Milano 19863).
Meneghello mostra come sia facile incorrere nei luoghi comuni delle cronache sportive, e offre alcuni consigli per evitarli nel suo Maredè, maredè…, Rizzoli, Milano 1991, in particolare alle pp. 18, 114-115, 161-162, 190, 199-201.
Dal 2000, Pippo Russo raccoglie esempi del peggiore stile letterario adottato dalla stampa sportiva italiana in una rubrica del quotidiano “Il manifesto”. Russo riesce a far vedere che lo sport è uno dei possibili luoghi della militanza politica, ma non offre nessun suggerimento “positivo” su come migliorare il modo di raccontarlo.
Per una rassegna bibliografica di studi sociologici sullo sport, utile per chi voglia avere indicazioni tanto sui classici che sulle ultime ricerche, si può vedere dello stesso P. Russo, L’analisi sociologica dello sport, “Rassegna italiana di sociologia”, a. XLI, n. 2 (aprile-giugno 2000), pp. 303-313. Anche se meno aggiornata, resta utile la bibliografia in “Ossimori. Periodico di antropologia e scienze umane”, I, 1 (1992), pp. 27-31, a chiusura di una discussione sul tema Il calcio: una prospettiva antropologica con interventi di F. Dei, P. Apolito, G. Dore, P. De Sanctis, V. Cannada-Bartoli, V. Esposito, P. Clemente (pp. 7-26).
Quando continuo a domandarmi se non ho esagerato con il calcio, leggo una risposta di Luigi Meneghello (in Che fate, quel giovane?, Moretti&Vitali, Bergamo 1997, p. 27) a proposito di ragazze e motociclette, che
“a quanto pare sono state viste come frivolezze e banalità edonistiche della mia vita di allora e forse (non ho ben capito) della mia scrittura di oggi; cose colpevolmente private, poco serie. Un po’ sarà colpa mia, se davvero non ho saputo far sentire più fortemente che c’è invece di mezzo un tratto profondo e serio, e niente affatto privato, del nostro dopoguerra, la corrente di vitalità in cui l’Italia pareva immersa, una specie di tardo risarcimento degli anni ingoiati dalla guerra, la voglia e il piacere di mettersi a vivere.
[…]
Quando sento formulare critiche di questa specie, su questa faccenda delle moto e delle ragazze, io mi dispero! Le ragazze, le moto, di cui ero “così ben provvisto”, erano parte di un mondo di cose serie, seriamente amate, e sono trattate nel libro con profondo rispetto e con la stessa passione della poesia o della politica. La bicilindrica e Ugo La Malfa… moto, poeti, ragazze, idee nuove, sono nello stesso campo di magica attrazione […]”.

1 Cfr. F. Benfante, Tifosi, “Altrochemestre”, 5, 1997, pp. 43-46.
2 L. Bianciardi, La vita agra, Bompiani, Milano 1995, pp. 108-113.
3 A. Dal Lago, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, il Mulino, Bologna 1990, p. 168; questa posizione è ribadita più volte nel corso del libro, si veda in part. pp. 11-13.
4 Cfr. N. Hornby, Febbre a 90’, Guanda, Parma 1997.
5 Cfr. R. Ferrucci, Giocando a pallone sull’acqua. Venezia e il Venezia in serie A, Marsilio, Venezia 1999.

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