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* Un msg tempestivo mi augura: “Buon 2005. A chiudere bene il 2004 ci ha pensato un muratore mantovano”. Personalmente, non farei mai nulla di simbolico contro il Cavaliere. Non posso quindi plaudire all’escalation dei lanci a piazza Navona e dintorni, dalle monetine a Craxi ai cavalletti a Berlusconi. Noto soltanto che la personalizzazione del potere (bagni di folla, baci ai bambini) comporta svantaggi anche per chi la persegue.
G.C.D, 31 dicembre 2004

* Il 25, verso le 19,30, passo davanti a un televisore sintonizzato su Rai 1 e leggo in sovraimpressione la seguente domanda comminata a tre comari, concorrenti in un programma di quiz: “Secondo l’astrologia, quale sarà il segno più fortunato al gioco durante le feste natalizie?”.
Ignoro che programma fosse, ma mi hanno assicurato che il conduttore, demente e/o complice, sia tale Amadeus.
Inutile girarci intorno. Per difenderci da tanti ciarlatani, occorrerà insegnare l’astrologia nelle università. Se già non lo si sta facendo.
G.G.D. 27 dicembre 2004

* Rispondendo a Marco Bellocchio (intervistato da Aldo Cazzullo, "Io, contro il cattolicesimo oscurantista", in "Corriere della Sera" del 28 dicembre 2004), Giorgio Montefoschi afferma perentoriamente una sciocchezza pericolosa e, nel cercare giustificazioni, ne dice una davvero grossa, fin divertente, se - sia detto con più amarezza possibile - non fosse una pietosa bugìa, buona a scopi retorici.
Montefoschi, allora, contesta a Bellocchio che "la crisi del freudismo e del marxismo" abbia "lasciato campo libero al ritorno al cattolicesimo", perché, a suo papale parere, "le religioni non vanno e vengono: sono". E perché "sono" ? Perché "rispondono a quelle domande irrazionali", di cui Bellocchio parlerebbe, che "la sinistra ha distrutto". Con il che, da una parte, si fa giustizia di ogni punto di vista evoluzionistico (ciò che "è" non "diventa", né è mai diventato), e, dall'altra, si rinfocola un'idea della sinistra quantomeno ottimistica: rispettabile, capace, un'attila culturale - insomma, come piace a Berlusconi e alla compagnia teatrale di cui fa parte.
(Cfr. "Corriere della Sera", 29 dicembre 2004) (F. A.)

*
[M.C., nell’impossibilità di leggere i giornali italiani, invia un allarmato msg chiedendo di essere informato sulle “riflessioni della Fallaci su questa immane tragedia che ha colpito il Pianeta nella sua parte povera”] Si può azzardare il tenore di tali riflessioni: “Ben gli sta”.
31.12.2004

*
Dei servi non ci si deve mai fidare. Anche perché, chi servo non è, ci mette poco a procurarsi una livrea, e a fingere di esserlo per il tempo strettamente necessario, il tempo di entrare in una mensa.
C.D.B. 21.12.2004

* Notizie dalla Tribù delle scimmie I -
Un’altra moda ci attraversa, quella della sciarpa aggiustata a nodo scorsoio. Tutti ormai girano così, avvocati e studenti, idraulici e giudici, pizza boys e sciampiste, e lo faranno fino a maggio. Prendono una sciarpa, ne fanno un doppino, e nell’occhiello così ottenuto fanno passare le due estremità appaiate facendole poi discendere sul davanti.
L’unica ipotesi che si può fare riguardo a questa ulteriore conformizzazione è che costoro si offrono al potere che li volesse sospendere facendosi carico di gran parte delle procedure.
C.D.B. 21.12.2004

* NON L’HO LETTO E NON MI PIACE, Apocalisse di Oriana Fallaci, ultimo titolo di una trilogia – come peraltro non ho letto gli altri due. È assolutamente necessario sciogliere questo paradosso e riconoscere la sua carica di verità salvifica. Altrimenti si cade nell’insano, quello sì, paradosso argomentato da E. Galli Della Loggia (Corriere della sera, “I sussiegosi odiatori di Oriana”, 22 dicembre 2004) che, dopo aver fatto balenare che, effettivamente, la megera è una “reazionaria sguaiata”, le sue “opinioni sono, forse, in parte o del tutto sbagliate”, “presentate e argomentate in modo spesso sommario e asseverativo”, suscitano “derisorio disprezzo”, invita ad approfondire il Fallaci-pensiero onde capire “perché allora esse (opinioni) hanno tanto successo presso il pubblico”. La “fallacia” dell’argomentazione sta nell’imporre un progressus in infinitum che comporta la lettura integrale dell’Opera omnia di Bruno Vespa, Alba Parietti, Maurizio Costanzo, Emilio Fede, ecc. con la conseguenza che non si potrebbe più leggere altro o rileggersi, che so?, Musil o Giordano Bruno.
Furbo eh!
G.C.D. 21.12.2004

[Sullo stesso tema ci giunge]
* “Mobilisierung der menschlichen Dummheit”; “Appell an den immeren Schweinhund im Menschen”.
Questi sono, in tedesco, i fondamenti del Fallaci-pensiero che Galli della loggia invita a riscoprire e a non demonizzare.
(Una libera traduzione è “Mobilitare la stupidità umana” e “Appello alla sempiterna animalità suina degli uomini”. La formulazione di queste indicazioni programmatiche è attribuita al dimenticato e non abbastanza riscoperto Joseph Goebbels).
Karl Löwe 23.12.2004

* Ho votato per Guarini. Non ho capito per quale loggia.
G.C.D. 23.12.2004

* Per fare una “guerra di civiltà” bisogna avere civiltà. Ma per avere civiltà bisogna non fare la guerra.
* L’unica guerra di “civiltà”, a dar retta al linguaggio, sarebbe una guerra “civile”.
*Il capo della banda | invece della benda | s’è messo la bandana: | è così che li abbindola?
* Che emozione! Ah, s’io fossi poeta, potrei esprimerla… Ma siccome uso la poesia per dire altro, sarà meglio che mi dia una calmata.
*“Pena di morte per i kamikaze!”
F. M. 15 dicembre 2004

* Di taluno si dice che scrive sempre lo stesso romanzo, o dipinge lo stesso quadro. E si parla dei grandi. Non suonerà irriguardoso, allora, se dico che Claudio Magris, Nostro Signore del Giusto Mezzo, ha ripubblicato sul “Corriere” del 13 dicembre 2004, lo stesso articolo, per l’ennesima volta: “Cosa spetta a Dio e a Cesare”. Il tempo passa, noi siamo qui smarriti dai processi, ma lui, biblico e salomonico, nietzcheano moderato, nichilista giudioso, sta lì a dirci che non è successo niente dai tempi di Dante e del suo Monarchia, o meglio, che non sarebbe successo niente se soltanto non si fosse smarrito il senso dell’equilibrio, se qualcuno non avesse esagerato con la sua prepotenza, o se tal’altro non avesse ecceduto con la libertà (presa o concessa, non importa); se insomma ci fossimo conformati alla teoria dei “due Soli”. Dello Stato non possiamo fare a meno, e su questo non ci piove, ma nemmeno della Chiesa, perbacco. Perché noi siamo ragione, ma anche fede, perché la fede comincia dove finisce la ragione, che peraltro inizia proprio lì dove finisce la fede. E più si contano i disastri, le morti e le guerre, più Magris si compiace della propria lungimiranza. A noi non resta che pentirci della nostra tragica e proterva dabbenaggine.
Un estremista di centro. Assolutamente edificante.
p.s.- “Cerchiobottismo” è parola orrenda e da riprovare, quasi quanto l’attitudine che designa.
G.C.D. 14 dicembre 2004.

* L’oratore più “destro” è quello che, invece di pensare a esporre un discorso convincente, impedisce agli altri di farne uno.
*“Nelle mani son io d’un cavaliere!” (Zerlina nel Don Giovanni di Mozart)
* 25.000 contro 3.000: 60 morti contro 1.500. Il bilancio sbilanciato della presa di Falluja.
*“Si vince al centro!”. Sulla base di questo criterio perché non vincere direttamente a destra?
* Giovani campioni: dovevano esplodere e sono scoppiati.
F. M. 13 dicembre 2004

*Sono andato a trovare gli amici di Odradek, al loro stand alla Fiera della piccola e media editoria a Roma, e ho fatto un’esperienza unica e irripetibile.
Per terra, sulla moquette, qualcuno aveva abbandonato alla pubblica fede una mazzetta di copie de “Il riformista”, il quotidiano vicino a D’Alema, che avevo notato, sulle rassegne stampa televisive, per i suoi titoli stralunati e disassati. Ne ho presa una copia, e l’ho sfogliato.
Un’esperienza unica e irripetibile.
8 dicembre 2004, (G.C. D.)

*Milano, via Mac Mahon, il generale, di recentissima apertura, scritte in arabo e colori della bandiera arcobaleno: "Macelleria della Pace". Detto tutto.
24 novembre 2004 (F.A.)

*Della serie:
L’America è un grande paese!

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Questa è una delle – in media dieci – pubblicità che arrivano sul mio indirizzo di e-mail della Sapienza; tutte dagli Usa. Altre riguardano: “original replicas” di tutti i modelli di Rolex; vari altri metodi di elongazione penile; lotterie di vari paesi; offerte di prestiti a tassi stracciati; tutti i tipi di software; “Top drugs best prices! No prescription required” tra le quali: Viagra, Valium, Xanax, Cialis, Vicodin, ecc; insomma “meds for allergy, asthma, sleeping disorder, obesity, pain relief, sexual health, anxiety relief and more thano 600 meds”; ma anche, invasivamente, e quindi minatoriamente, programmi per filtrare messaggi indesiderati (spam). Come arrivano fino a me? Così:

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German 20 Million Email Address $200 US
France 38 Million Email Address $180 US
India 12 Million Email Address $180 US
CENTRAL & SOUTH AMERICAN AREA 40 Million Email Address $220 US
MIDDLE EAST & AFRICA 45 million Email Address $220 US
SOUTH EAST AREA 32 million Email Address $220 US

Ora si sa da chi viene la spazzatura (Spam, si dice!). Con 2-3 mila dollari si può importunare un miliardo di persone. Con 150 $, 80 milioni di cinesi. Che però, se s’incazzano, esponenziali come sono…
26 novembre 2004 (G.C.D.)


*Esiste fior di letteratura dedicata all'irrobustimento dei muscoli glutei e ogni atleta che si rispetti ne sa approfittare.
Lo testimonia anche un episodio recente che riguarda due "medaglie d’oro" – lancio del disco e lancio del martello – alle Olimpiadi di Atene. I segugi dell'antidoping li hanno denunciati per aver fatto uso di un "kit" comprendente pene finto (cinque colori – come i cinque cerchi), cerotto per attaccarselo al pube, tubicino di collegamento a serbatoio-vescica da inserirsi nel vano anale, urina in polvere da diluirsi, prima dell’uso, in acqua. Se l'erano cavata con centotrenta euro e - testi e testicoli alla mano - con un breve periodo di allenamento alla meccanica necessaria per azionare il marchingegno. Concettualmente è un bel passo avanti sull'escussione darwiniana delle possibilità: niente più scambi di mobilia - di piscianti, di pipì, di provette -, ma scambi di un presunto immobile.
Novembre 2004 (F. A.)

*Si può dare del “maiale” a un macellaio, oppure del “macellaio” a un maiale.
C’è per lo meno un caso in cui non si dia scelta?
5 novembre 04, GCD

*Sogni, speranze, percezioni e percepirsi, dilatazioni della coscienza, …
Si parla di droghe? No, di politica, all’indomani delle elezioni presidenziali negli Usa.
E ora, nel trambusto di coloro che si affannano per recare soccorso al vincitore, s’alza il coro: “Facciamolo anche qui!”.
5 novembre 04, GCD


*
"... A sostenere che la guerra è stata fatta per portare in Iraq la democrazia sono rimasti solo quelli che stanno sul libro paga della Cia o del Mossad... Quando la guerra scoppiò (...) spiegavano che il petrolio non c'entrava per niente, che gli Stati Uniti del petrolio mediorientale non sapevano che farsene, che avevano riserve più convenienti in Alaska, in Venezuela, in Niger, in Libia. Ora è abbastanza chiaro che le cose non stanno esattamente così ..."
Giorgio Bocca sull'ultimo numero del "Venerdi" (inserto settimanale de La Repubblica)
Segnalato da A. M. 2 novembre

*Ieri sera, alla libreria Odradek di Milano, era in corso un dibattito, come tutti i venerdì. Ad un dato momento entrano due giovani. Sono in ritardo. Capita. Entrano e si siedono. Ma hanno lasciato aperta la porta. Può capitare.
Quel che è difficile immaginare che capiti è che un passante, accorgendosi della porta aperta, si affretti a richiuderla. Per poi proseguire nel suo cammino. E' capitato. Mi piace pensare che si sia trattato di una tempestiva misura di igiene sociale. Che pensieri e parole ivi dibattentesi rimanessero al loro posto - che non contaminassero l'aria pura dei gas di scarico delle auto disciplinatamente incolonnate, che non disturbassero la quiete di chi torna a casa, dove, se Dio vuole, non c'è più nulla di cui dibattere.
23 ottobre 2004 (F.A.)


*
[con riferimento alle rivelazioni dello storico Claudio Gatti – cfr. Il Sole-24ore di domenica 10 ottobre 2004: “Le cimici di Enrico. Così la Cia spiava Berlinguer – riguardanti i microfoni nascosti dai servizi segreti statunitensi nella casa di Tonino Tatò, segretario di Enrico Berlinguer, e attivi per diversi anni]
Plaudo protesta (che sicuramente ci sarà stata, e che altrettanto sicuramente sarà stata vibratissima; ignoro allo stato se il ministro Frattini abbia convocato l’ambasciatore americano alla Farnesina, e richiamato quello italiano da Washington, per consultazioni) che Presidente repubblica italiano ha presentato al governo degli Usa una volta venuto a conoscenza che un segretario di un partito costituzionale italiano è stato per anni spiato ad opera dei servizi segreti di quel paese. O non toccava a Storace, in qualità di Governatore del Lazio? Ovvero, all’Amministratore del condominio di casa Tatò?
G.C.D.


* Corriere della sera, sabato 9 ottobre 2004, p. 56 (edizione romana)
Titolo: “La protesta dei ricercatori punisce gli studenti”
Lettera di una lettrice:

“Cara Maria Latella,
mio nipote si è iscritto quest'anno alla Sapienza: doveva cominciare le lezioni in questa settimana, ma c'è sciopero dei ricercatori e così le lezioni sono state rinviate di una settimana. La figlia di un'altra mia sorella, invece, si era iscritta presso una università privata: le lezioni sono iniziate regolarmente, cominciano alle 8,30 e proseguono per l'intera giornata. Un ragazzo è abbandonato a se stesso, l'altra ha già tutti i testi e tra qualche mese comincerà a dare gli esami. Se il buon giorno si vede dal mattino, i ricercatori universitari stanno dando una mano a perpetuare il divario tra chi può (pagarsi studi universitari privati) e chi non può.”

Risposta della Latella

“Le proteste dei ricercatori hanno paralizzato le università italiane ancor prima che l'anno accademico iniziasse e giustamente, sul “Corriere della Sera” di ieri, il professor Domenico De Masi ne ha parlato definendole “proteste inutili”. Aggiungo: estremamente dannose. In un Paese che ha un bassissimo tasso di laureati, rispetto alle altre nazioni europee, dove l'abbandono al primo o al secondo anno di università è diffusissimo, dove in alcune facoltà l'impegno dei docenti è notevole, mentre altrove anche i cosiddetti baroni non si fanno mai vedere, in un contesto così miserevole, insomma, lo sciopero “selvaggio” dà la misura di quanti e quali danni si siano prodotti sul corpo insegnante dell'università italiana. Perché qui non si tratta di lasciare a piedi per un giorno i pendolari (evento peraltro ricco di problematiche). Si tratta di far perdere il regolare inizio delle lezioni a studenti che già, nel corso dell'anno, dovranno lottare con esami rinviati, lezioni superaffollate, docenti – lo ripeto – a volte distratti. Si dirà: ma i ricercatori devono far sentire la loro voce. Sicuro, ma devono anche tener presente che il loro lavoro alimenta la fucina di formazione del Paese. Nelle università, dalla Germania all'lndia e alla Cina, quest'obiettivo non viene mai perso di vista. Per dirla con Domenico De Masi, “farla pagare ad altre vittime (gli studenti), e non ai carnefici (gli ultimi governi)” è un segno di vistosa miopia. Quando le università statali d'ltalia avranno perso prestigio e studenti, che cosa resterà del futuro professionale di questi ricercatori?
mlatella @rcs.it

Nessun commento, per carità. Occorre però ricordare che la Latella è autrice di un libro-intervista sulla/alla consorte del cavalier S. Berlusconi, intitolato “Dimensione Veronica”. Della serie: “le interviste in ginocchio”. Chi volesse leggere un recensione puntuale di questo libro vada sul sito www.ilturco.org, in cui Maria Turchetto raccoglie i suoi interventi sul Vernacoliere.
(G.C. Dekodra)

*«Gli uomini della Destra erano aristocratici e grandi proprietari terrieri. Essi facevano politica al solo scopo di servire lo Stato e non per elevarsi socialmente o arricchirsi; inoltre amministravano le finanze statali con la stessa attenzione con cui curavano i propri patrimoni.
Gli uomini della Sinistra, invece, sono professionisti, imprenditori e avvocati disposti a fare carriera in qualunque modo, talvolta sacrificando perfino il bene della nazione ai propri interessi.
La grande differenza tra i governi della Destra e quelli della Sinistra consiste soprattutto nella diversità del loro atteggiamento morale e politico.»
Bellesini Federica, I nuovi sentieri della Storia. Il Novecento, capitolo 2, paragrafo 1 “La Sinistra storica al potere”, Istit. Geogr. De Agostini, 2003, Novara.
(Segnalato da A.M.)

Violence brings one from being right to being wrong.
Money brings one from being wrong to being right.
La violenza fa passare dalla ragione al torto.
I soldi fanno passare dal torto alla ragione.
20 settembre
(letto su di un muro, da A. M.)

*PICCOLO MANUALE DELLA MUTAZIONE (II)
(segue, per il n.1, vedi sotto, 18 febbraio)
2. Passaggio all’azione e ritorno. I nostri genitori si fondarono sul mattone, ma a noi apparivano fissati lì. Perciò passammo all’azione. L’azione fluttuava nell’aria, andava su e giù come un’altalena, e – quasi senza esistere – procurava enormi rendite. L’azione si gonfiava, iridescente, come un bella bolla di sapone. Ma l’azione, purtroppo, non era come una bolla di sapone. L’azione era una bolla di sapone. Sicché scoppiò. Fu così che tornammo al solito, solido, mattone. La prossima fase sarà costituita dal darcelo nella testa.

3. Fame. “C’è fame di certezze”, ha detto uno speaker. Questo è certo. Nessuno vuole più le nostre precarie incertezze (infatti la produzione ne sta progressivamente calando: e noi stessi siamo prossimi a cambiare mestiere, cadendo affatto la domanda). Ma poi la “fame di certezze” sembra non trovare neppure sufficiente soddisfazione. Nessuno le appare abbastanza “certo”. Dunque la “fame di certezze” non ne ha mai a sufficienza, il che equivale a dire che resta sempre dubbiosa. L’unica cosa certa è che c’è certamente fame.

4. Forzati del traffico. Sòno, dunque sono.

5. Il Signor Winter e il Signor Ziffel. – Dove scapperemo? Non c’è più nemmeno l’Artico, che si è mezzo sciolto… – Anche il nostro umorismo è superato: succedono cose molto più spiritose. Presidenti operai, guerre umanitarie, soldati pacificatori. C’è rimasto il razzismo, ma neppure lui è più quello di una volta: ha condannato la “soluzione finale”… – Però possiamo dire di essere stati degli anticipatori. Avevamo già capito che il capitalismo non è mai stato altro che un paradosso.

6. Quanti telespettatori sanno che il Grande Fratello non è che un sosia di Stalin, con la qualifica invertita, Piccolo Padre_Grande Fratello? (Dal che si vede quanto è facile scadere nel quiz…).25 settembre 2004
(F.M.)

*(In risposta alla lettera aperta allo snugsI – vedi sotto - riceviamo e volentieri pubblichiamo)
Caro signor G.C.D.,
pur non essendo membro dello snugsI, mi reputo però uno sportivo (non metto mai cravatta, ma solo polo) e come tale mi permetto di rispondere indignato alla requisitoria anti-olimpionica da lei ospitata nel sito, scritta con argomenti speciosi da persona gretta e malevola, forse un pacifista, ma certamente non un pacificatore. Lo ammetto, lo sport ha qualcosa a che vedere con la guerra, né lo si scopre da oggi: c’è uno che vince e almeno un altro che perde. Va bene, ogni tanto c’è anche qualcuno che muore, ma pazienza. Tuttavia, come la guerra, lo sport è per sua stessa natura mondiale. Non può chiudersi nei confini, senza provare almeno il desiderio di infliggere sconfitta a stranieri con loro inferiorità manifesta. E però come non accorgersi che al giorno d’oggi, proprio considerate queste premesse, lo sport sta facendo un grande sforzo di emancipazione e sta dando a tutti una grande lezione di apertura? Proprio il desiderio di prevalere, infatti, ha portato a una larga presenza di “neri” in ogni club e persino inclusi nelle squadre delle nostre medesime nazionali! Il tifoso, fondamentalmente portato a approfondire il solco razziale noi/loro, non si dimostra un prodigio di tolleranza quando incita atleti che, sotto le maglie del suo locale campanile, poniamo, meneghino e bossista, costituiscono una variopinta ganga di immigrati extracomunitari? Oppure cosa dire di quegli sbandieramenti tricolori per i successi di un pilota innegabilmente germanico? La sua antipatica origine transalpina non viene calcolata, evidentemente, e svapora nell’aria per il magico effetto di quella cisalpina delle lamiere! Insomma, altro che nazionalismo, andiamo: diciamola tutta, quello che conta, per lo sportivo, è esultare le più volte possibili, né guarda per il sottile, lui. E qui, mi si darà ragione: esultare fa bene, espelle i grassi, tonifica i muscoli, distende i nervi, purifica l’alito e, soprattutto, gratifica il cuore e racconsola l’anima sulla benignità della sorte e sulla posizione centrale dell’uomo nell’universo. Forse, dimostra pure l’esistenza di dio… O no?
Distinti saluti, Adamo Lapalla, detto “Bistecchino”
25 settembre

*Lettera aperta al segretario dello snugsI (sindacato nazionale unitario giornalisti sportivi Italiani), improbabile ma verosimile corporazione trasversale di massa espressa da un paese che vanta (?) quattro quotidiani sportivi.

Egregio,
in vacanza in sudtirolo, ho avuto la fortuna di seguire le Olimpiadi 2004 grazie ad Eurosport e poi girellando tra i vari canali tedeschi ed austriaci; ma ogni tanto capitavo su Rai due, che all’evento dedicava una lunga trasmissione-partouze, interrotta dal tg2 (quello in quota an) e dalla pubblicità. È sull’evidente differenza tra le televisioni e i giornalisti sportivi delle due aree – linguistiche, culturali, etiche e, soprattutto, estetiche – che vorrei soffermarmi, significandola.
Confesso di non essere pronto a disquisire sullo “specifico televisivo”, mi è però saltato agli occhi l’inversione totale, lo scambio figura/sfondo operato dai giornalisti italiani che Ella autorevolmente rappresenta: non la gara ma un pubblico raccogliticcio di lobbisti, facce note – suppongo – ognuna delle quali autorizzata a dire la sua, inframmezzata alle lunghe interviste ai, peraltro sconosciuti, presidenti delle federazioni olimpiche nazionali, trattati untuosamente come capi-corrente, come proconsoli, come capi mandamento e che si mandavano messaggi in codice, “avvertimenti”.
Si è finalmente compreso che, se la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi, lo sport è la prosecuzione della guerra con i mezzi mediatici ad opera – per lo meno qui da noi – di corrispondenti con l’elmetto dalle tribune, contradaioli vocianti riciclati, narcisisti compiaciuti del proprio ombelico, chiacchieroni spudorati, incuranti di essere spesso smentiti dalle immagini – epica la telecronaca di un tal Bisteccone che dava un “nostro” equipaggio, ormai quinto, come concorrente a una medaglia.
Il tifo nazionalistico stride con la mondializzazione. Nell’immane raccolta di merci sportive, ciascuno può scegliere secondo circostanze, gusti e inclinazioni. Io che ho sempre tifato per il Brasile, io che sono costretto a dichiararmi tifoso dell’a.s. Roma soltanto perché nessuno pensi che sono della s.s. Lazio, vorrei tanto tifare per la Dynamo, per la Lokomotiv, per il Partizan o per il Botafogo!
Come me, quote crescenti del pubblico televisivo s’infastidiscono per le vostre telecronache infarcite da “l’arbitro ci ha danneggiato”, “il vento ci era contro”, “i giudici hanno favorito sfacciatamente gli avversari che, peraltro, erano tutti dopati”…
Le televisioni di lingua tedesca trasmettono in Europa per un pubblico multietnico e, anche per questo, fanno soltanto informazione; le televisioni italiane fanno propaganda di guerra.
Con profonda disistima.
G.C.D.

*C'è stato un tempo in cui "denaro" e "sicurezza" costituivano la coppia di risorse materiali e ideologiche per eccellenza della borghesia operosa. Con il denaro ci si comprava la sicurezza e, nella sicurezza (che non te lo portassero via i poveri, soprattutto - perché Stato e altri Ricchi sono sempre in una sorta di agguato implicitamente pattuito) si produceva altro denaro. Leggo, ora, quel che dice il Responsabile della Sicurezza Interna degli Stati Uniti d'America: "dopo l'11 settembre", l'anno non lo si dice per farne un archetipo, "alle frontiere con il Messico e il Canada i controlli erano così severi che avevamo significativamente ostacolato il commercio (...) il flusso dei commerci è tale che un'interruzione di 4-6 ore manda all'aria il sistema". La soluzione ? Quel che vien definito "un equilibrio fra sicurezza e interazione commerciale". E qui financo il più stolido rappresentante della borghesia capitalista capisce che le sue cose non girano per il verso giusto. Che da coppia correlativa, denaro e sicurezza, si è trasformata in un'alternativa. O l'uno o l'altra. E che la prossima certezza cui è indirizzato è né l'uno né l'altra.
(Cfr. Ridge: confini sicuri, economia più libera, in "Domenicale del Sole 24 Ore", 19 settembre 2004)
(F. A.)

*[Quandoquidem dormitat F.A.!
Tutto preso dalla relazione SOLDI-SICUREZZA, ha mancato di cogliere quella SOLDI-LIBERTA’. Non si è infatti accorto che lo stesso inserto domenicale si apriva con un titolo su sette colonne: MEGLIO LIBERI CHE RICCHI, dedicato a von Hayek. Una disgiuntiva imperfetta che il bardo di Treviri avrebbe prevedibilmente chiosato: “Liberi di morire di fame”. Ma il titolo è stato probabilmente accolto con scongiuri anche dai lettori elettivi del giornale di Confindustria. Insomma, una topica.]
(C.D.B)

*La libertà di porre rapporti è massima. Poi, se mai, tocca alla comunità implicata stabilire se si è trattato di un guizzo di estrema intelligenza, di uno sparo nel mucchio o, più semplicemente, di sciocchezza. Similmente, sul piano linguistico, la metafora gode di ampia libertà. Ma, come ben sanno gli storici della scienza, mentre alcune metafore costituiscono un indubbio progresso, altre costituiscono ostacoli insormontabili. Peggio che non azzeccarla, la metafora, è comunque il non riuscirla a reggere neppure, non dico fino in fondo, ma neppure il tempo della stessa rete correlazionale in cui la metafora nasce.
L'on. Fini, per esempio, dice che "la Costituzione non si può fare a fettine", perché "non è un salame". Già qui, il confronto - a prescindere dal suo risultato negativo - suscita qualche dubbio: essendo un corpo di principi, il tagliare, o il dividere, dovrebbe riguardarlo forzatamente. E' il salame, se mai, che, invece che a fettine, potrebbe essere mangiato a rosicchiamento accanito. Ma il dramma semantico esplode nel titolo che il giornale ha voluto dare a questa coraggiosa dichiarazione: "Fini: La Costituzione non è un salame, no a corsie privilegiate per alcune parti". Con il che l'ennesima autostrada si mangia anche il salame rimasto.
("Corriere della Sera", 13 settembre 2004)
(F. A.)


*
La loro battagliaChi sa che il procedimento scientifico si caratterizza per la ripetibilità di principio dell’oggetto in analisi, per l’assumere una sola incognita alla volta e per il rapporto diretto di chi analizza con l’oggetto analizzato, e chi sa che il procedimento magico si caratterizza per l’assunzione di più incognite alla volta (con il loro carico di metafore irriducibili e di negazioni), di solito, non si confonde e non straparla pericolosamente. Chi, poi, sa anche che la filosofia – tutta la filosofia – deriva sempre e comunque dalle contraddizione del raddoppio conoscitivo, sa anche che scienza e magia dalle conseguenze di questa contraddizione non sono immuni.
Chi, invece, si accontenta di definizioni da bigliettino di Bacio Perugina – come quella per cui la filosofia sarebbe “amore della saggezza” e “scienza della verità” – va incontro a un mucchio di guai (facendo andare verso il medesimo mucchio di guai anche chi gli va dietro).
E’ il triste caso di Massimo Donà, docente all’Università “Vita-Salute” San Raffaele di Milano, che pubblica Magia e filosofia (Bompiani, Milano 2004). Anche per lui magia e filosofia sarebbero “due aspetti di una stessa ricerca”, ma solo per lui (e per chi la pensa come lui) questi aspetti avrebbero anche un senso.
Fatto è che, secondo Donà, “la spiegazione scientifica, nel suo voler ricondurre ogni realtà a ragioni chiare ed evidenti (…) non sa rendere ragione del radicale ‘mistero’ invincibilmente, arcanamente testimoniato dall’esperienza”. Il mondo sarebbe “avvolto da un alone di mistero” e “il grembo del ‘non spiegato’” sarebbe “ancora gravido di fenomeni; e molte sono le domande che continuano a non trovare risposta” (pag. 6). Un esempio ? Pronto e fumante: “Perché tutto quanto accade può accadere proprio come di fatto accade e con tale regolarità ?”. Se non è un “miracolo” questo, esclama Donà. Anzi: “il fatto stesso che le cose esistano così come esistono” è “il più grande di tutti i miracoli” (pag. 7).
“Filosofi, scienziati, artisti” si sono rapportati al mistero dell’”inizio assoluto”, “quasi sempre da maghi e alchimisti, anche quando non ne hanno avuto piena consapevolezza” (pag. 7). La filosofia, pertanto, “si completa, per così dire, nella magia. Se quella si applica alla conoscenza della realtà, questa si avvale di tale conoscenza per vivere in armonia con la realtà” (pag. 7). “Entrambe sono sempre state – là dove siano state colte nella loro verità – due tratti di un medesimo orizzonte” (pag. 9).
Con le dovute distinzioni, s’intende, perché ci sarebbe una “magia filosofica” (quella buona) e una “magia nera” (quella cattiva) (pag. 50). Va da sé che la buona sia anche quella “vera” – la “bianca”, quella che “si basa sui veri principi della natura” (pag. 94) – e che questa non sia “opposta ma parallela alla filosofia (pag. 79) – una filosofia accomodante che riconosca i “limiti costitutivi dell’umana ragione” nonché la “necessità di un salto extrarazionale; necessità che la ragione stessa” (e qui si passa all’imperativo) “deve avvertire”(pag. 174). L’urgenza è chiara: il vero mago naturale mira al fulgore di una verità che tutti può rendere ‘amici’” – e di quanto bisogno ce ne sarebbe ai nostri tribolati giorni lo dovremmo saper benissimo (pag. 117).
Abbandonandosi ai filosofemi più vieti (l’inizio assoluto, la verità, il vero, la realtà e tutto l’armamentario categoriale dell’imbonitore), in un crescendo di mefitiche essenze di cattolicesimo reazionario e di nazifascismo, si passa così, sveltamente peraltro, dall’antico Egitto ad Heidegger e a Julius Evola, soffermandosi un po’ qui ed un po’ là – soprattutto dove sono stati dati i numeri migliori.
Nella convinzione dell’”ineludibilità di un approccio magico all’esistenza” (pag. 27), forti di note metafore irriducibili come quelle della “inconoscibilità” e della “ineffabilità”, si buttano lì alla sperindio affermazioni storiche curiose, come quella su Platone, che avrebbe innestato nella propria dottrina una buona dose di magia “forse in omaggio al maestro”, ovvero a Socrate (pag. 52), o come quella che, a partire dalla strana constatazione che, in Grecia, scienza e filosofia “non bastavano più”, e, dunque, “qualcosa doveva accadere”, guarda caso, “una nuova potenza ordinatrice stava in verità invadendo il mondo dalla Palestina” (pag. 69). E, nella fretta di avvalorare il principio che “Il mistero è verità di ogni cosa” (pag. 169), si somministra una delle diete filosofiche più acritiche che mi sia capitato di leggere nel menu della cultura contemporanea. Parlando di Marsilio Ficino, per esempio, e di una sua ricetta per evitare la “putrefazione dell’umore” – una ricetta a base di oro, incenso e mirra (come se i Re Magi avessero assunto la direzione delle ASL) -, si annota prontamente che “le virtù curative dell’oro sono state prese in considerazione anche da una medicina molto più moderna” (pag. 105). Proseguendo sul tema, per fare un altro esempio, si accredita Ficino di essere riuscito a cogliere “uno degli aspetti più rilevanti della dimensione magica, la cui legittimità è stata solo da poco riconosciuta dalla scienza medica ufficiale, sotto la spinta di una prospettiva a indirizzo omeopatico” (pag. 106). Sembrerebbe, in fin dei conti, che Donà non abbia alcunché da eccepire né ad un Cornelio Agrippa, che voleva guarire l’infiammazione all’occhio destro tramite l’occhio altrettanto destro di una rana appeso in un panno bianco al collo del malato, né ad un Paracelso allorché afferma esser “doppia” ogni “singola” cosa (pag. 124). Gli va bene tutto, insomma. Perfino l’”idealismo magico” di Evola cui, in un improvviso rigurgito di sensibilità relazionale, sembra timidamente rimproverare una magia che “appare lontana nei suoi scopi e nelle sue implicite conseguenze” da quella che dovremmo considerare “‘vera’ magia” (pag. 203).
(F.A.)
P.s.: Nel 1934, l’editore Bompiani pubblicò Mein Kampf di Adolf Hitler. Ora, quasi, ci risiamo.

*Per la serie “com’è ridotto il pensiero di sinistra”. Due affermazioni di Fernanda Pivano in un’intervista (“Con Hemingway neanche un bacio Il mio vero amore è stato De André”, a firma di Aldo Cazzullo, in “Corriere della Sera”, 11 luglio 2004). La prima è una ricetta per la felicità carpita a Marlene Dietrich – “far l’amore cinque volte al giorno, non necessariamente con il marito” – cui segue che, tuttavia, “le più felici sono le puttane. Nessun uomo le tradirà, né le abbandonerà mai”. La seconda sta nell’ennesima elencazione degli “amici giovani” che può vantare. Fra questi, Walter Veltroni, “uno che i Kennedy li ha capiti davvero”. Sembrano frasi da commedia all’italiana degli anni Sessanta, fatte pronunciare al borghese di turno per denunciarne (facendo però sorridere) tutta la tronfia superficialità e una porzioncina del meschino qualunquismo che lo contraddistingueva.
(F.A.) luglio 2004

*Il formato di un quadro
Spesso si sente dire che la scelta di un formato – relativo ad un’opera d’arte – sia libera, che si tratti di mera convenzione e che, dunque, l’artista “rivoluzionario” farebbe fin bene a “sformare i formati”, abbandonando le figure geometriche più “tradizionali” per operare in “spazi nuovi”.
E’ uno di quegli argomenti che assomiglia a quelli che giustificano le lettere dell’alfabeto che somigliano ad animali o ad oggetti d’uso nella vita quotidiana.
Un formato non viene dal nulla e il fatto che certi formati siano, per l’appunto, diventati “tradizionali” non è affatto per semplice convenzionalità. Non si tratta di fatti gratuiti e arbitrari. Non si tratta di cose che “sono andate così, ma avrebbero potuto tranquillamente andare cosà”.
Il formato di un’opera d’arte – nella consapevolezza o nell’inconsapevolezza dell’artista – è il risultato di un adattamento e questo adattamento è un risultato evolutivo.
L’adattamento in questione concerne chi percepisce e i rapporti spaziali in cui è inserito ciò che percepisce.
L’opera d’arte nasce in un ambiente e, spesso, è destinata ad un ambiente. Questi ambienti consistono di distanze. Una, fondamentale, è quella fra chi percepisce e l’opera. Poi, c’è quella fra l’opera e ciò che ne costituisce lo sfondo. Poi, ancora, ci sono quelle fra opera e sfondo e quanto d’altro produce il volume dell’ambiente medesimo – pareti, pavimenti, soffitti, vuoti e pieni.
Questi ambienti sono costituiti da forme e queste forme sono il risultato di alcune costanti antropologiche. Per esempio, l’angolarità della nostra cultura, contrapponibile alla circolarità della cultura zulu.

La giustapponibilità dell’opera d’arte rispetto ad altre opere d’arte di tecnica produttiva consimile, poi, vincola ulteriormente il formato. Voglio dire che, nel “comporre” una parete, valgono presumibilmente regole. Per esempio, in ordine alle proporzioni fra ciò che viene giustapposto.

Già tenendo presente tutto ciò ci si rende conto, dunque, di quanto la scelta del formato sia politica (come, peraltro, la scelta di un carattere tipografico o di uno stile impaginativo).
(F.A.)


*Certi destini di parole preoccupano più di altri. Il calciatore F. C., per esempio, intervistato circa un compagno di squadra, dichiara: "a parte qualche episodio umano, dal punto di vista sportivo M. M. ha sempre dimostrato il suo valore" ("Gazzetta dello Sport", 28 aprile 2004). Già, in questi anni, siamo stati subissati di "errori umani" di fronte ai quali avremmo dovuto tirare un respiro di sollievo; ora veniamo indotti a pensare che noi si possa assumere punti di vista da cui l'umano sfugge, va "a parte", fra una parentesi husserliana. Quel che un tempo era roba da filosofi, oggi è da calciatori.
(F.A.)


*
Le Variazioni di cronaca di un poeta vagabondo che Ernesto Ragazzoni pubblica in “Arte e vita” (II, 9, settembre 1921) – ora in Parole che ridono che Cesare Bermani ha curato per Odradek – ricordano, in “un anno già parecchio lontano”, a Torino, i due amici Giovanni Vacca e Giovanni Vailati nonché l’improvviso loro interesse per la lingua cinese. E’ un interesse contagioso, almeno secondo quanto riferisce Giovanni Ragazzoni in un’intervista registrata da Bermani il 30 settembre del 1983, perché – entro certi limiti – ne fu vittima anche Ernesto. Vale la pena di una glossa sull’”anno lontano” e su alcune vicende che, più o meno a partire da lì, si svolsero poi altrove.
Giovanni Vacca (1872-1953) e Giovanni Vailati (1863-1909) furono entrambi allievi di Giuseppe Peano (1858-1932). Dall’epistolario (cfr. G. Vailati, Epistolario, Einaudi, Torino 1971) apprendiamo che il primo racconta al secondo di aver ricevuto “un magnifico libro di un Smith, Chinese Proverbs” stampato a Shanghai nel 1902 e, nell’occasione, si riferisce a precedenti discussioni fra loro sul “modo di pensare dei cinesi”. La lettera è senza data, ma è stata collocata facilmente nell’agosto del 1905. Due anni dopo, Vailati riceverà la prima lettera di Vacca da Pechino, datata 1 e 2 settembre 1907 – una lettera che inizia con una domanda senza risposta che non sarebbe dispiaciuta a Ragazzoni: “perché si dice sinologo ed invece grecista ?”.
Nel 1958, Luigi Einaudi scrisse un ricordo di Giovanni Vailati che l’editore utilizzò più tardi come prefazione all’edizione dell’Epistolario. Orbene, in questo scritto si parla di Vacca e si fa derivare la sua passione per la Cina da una frequentazione accidentale della “sezione missionaria della Esposizione di Torino” e l’interpretazione, sinceramente, mi pare perlomeno riduttiva. Vacca studiò a fondo Leibniz – che ebbe interessi precisi sia per la Cina che per tutte le problematiche connesse alla lingua universale – e Peano elaborò un’interlingua e nuovi formalismi matematici. Ce n’è a sufficienza per fare due più due. Vacca insegnerà Lingua e Letteratura Cinese, prima a Firenze e poi a Roma. Nel quarto e ultimo numero della rivista “Analysis”, edito nel 1946, comparve una recensione non firmata (ma, a quanto sembra, da attribuirsi a Giuseppe Attolico nonostante i miei sospetti si siano appuntati su Silvio Ceccato) del “Quaderno di sintesi n.1”, intitolato Origini della scienza. Se si dà retta al recensore – che gliele canta chiare –, in questo volume Vacca sosterrebbe la tesi che lo sviluppo della scienza non avrebbe avuto luogo in Cina a causa della scarsa capacità di “attenzione” del cinese. Anche questa strampalatissima tesi, tuttavia – presumibilmente –, non sarebbe dispiaciuta ad Ernesto.
(F.A.)


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Il Direttorio del Colpo di Stato dell'Arco Costituzionale ha finalmente sradicato un vecchio preconcetto della democrazia. Alle prossime Elezioni Europee, infatti, sono esentati alla raccolta delle firme di presentazione quei partiti o gruppi politici che "abbiano presentato liste per l'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale con le quali si sia collegato, pur sotto un diverso contrassegno, un candidato risultato eletto in un collegio uninominale". L'apparato retorico di regime ha provveduto a classificare l'evento alla voce "maggiore flessibilità". Ovviamente, trattasi di "maggiore flessibilità" concettuale, relativa al concetto di "rappresentanza politica": partiti e singoli sono dove sono per una sorta di Volontà Primordiale Immutabile. Su quali "Alleati", questa volta, potremo contare?
10 marzo (F.A.)


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Dalla metafora del conoscere è scaturita la filosofia e l'intero corredo giustificatorio di chi comanda per farsi ubbidire. Le metafore, dunque, sono pericolose. Io distinguo fra quelle riducibili e quelle irriducibili senza, prima o poi, pervenire alla contraddizione. In "Piccione ti voglio parlare" di Giovanni Di Muoio (Libero di scrivere, Genova 2003) trovo qualcuno che dice: "Voglio ingoiarlo fino alla radice del suo significato, il tuo nome". E rimango perplesso, fra Saussure, Lacan e altro - anzi, tutt'altro. Ma siccome, qua e là nel contesto, compare pure "prendi in bocca il mio nome", "dolcesalato addio senza domande", "guidarti la testa", far "colare" il tempo e di "goccia goccia (...)ingoiando ogni significato che non mi comprenda", l'ambiguità della metafora sembra svanire. Mi faccio forza e provo a dire che trattasi di metafora riducibilissima. (F.A.)

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L'intellettuale, prima o poi, trova sempre un altro intellettuale che lo difenda.Torniamo sul Moravia razzista e politico "indifferente" che scrive a Mussolini per salvaguardarsi. Passano pochi giorni dalla pubblicazione delle lettere che Ruth Ben-Ghiat (Il Sole 24 Ore della domenica, 22 febbraio 2004) ci spiega come "interpretare" la vicenda. Né "sostenitore", né bisognoso di quattrino, Moravia avrebbe "trattato" con la dittatura in cerca di uno "spazio protettivo" che gli consentisse non solo di "scrivere", ma - guarda un po' - anche di "ottenere il plauso della critica". Il suo "panico" derivava dalla minaccia di "vedere annullata (...) la propria identità di scrittore". Vengono i brividi: poveretto, pensa, poteva perdere l'identità di scrittore e perfino il plauso della critica. Ma per fortuna (e per abilità) ce l'ha fatta. L'idea di un artista che potesse obiettare qualcosa al fascismo sacrificando il successo non è neppure presa in considerazione.
23 febbraio( F.A.)

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PICCOLO MANUALE DELLA MUTAZIONE
1. Quattro regole d’oro per il teleoratore “destro”. La prima regola per il teleoratore è di parlare il più forte e il più a lungo possibile. La seconda regola è di parlare sulla voce dell’avversario, in modo che si interrompa per dire “mi lasci finire, io non l’ho interrotta” e così perda il filo e lo slancio argomentativi. La terza regola è di negare l’evidenza. Ma la principale è la quarta. È detta la regola dell’anticipo: si tratta di addebitare immediatamente all’avversario il proprio maggiore difetto – se si è dogmatici gli si dia del dogmatico, se si è corrotti gli si dia del corrotto, se si è bugiardi gli si dia del bugiardo. Il vantaggio dell’anticipo è evidente: infatti, l’avversario non potrà più adoperare un’accusa già utilizzata, pena l’apparire scontato o inteso alla ripicca, in definitiva infantile (ritorcere un’accusa è infatti tipico dei bambini: cretino!, cretino te!, copione!). Se per un caso strano la quarta regola non dovesse funzionare, il teleoratore ripieghi “destramente” sulle precedenti tre.
18 febbraio (F.M.)

*Ormai se si parla di calcio è d'obbligo raschiare il barile dei Massimi Sistemi. E' così che, nel giorno in cui l'allenatore Cavasin viene cacciato e sostituito da Mondonico (allenatore che viene definito "proletario, sempre provinciale, 'pane e salame', magari non eccitante, ma sicuramente di buonsenso" - vi si noti le citazioni implicite da Pascal a Beretta via Marx), nel saggio d'apertura che Stefano Prizio, in www.fiorentina.it, dedica all'evento ("Forza Mondonico"!!!) ci si scontra con un problema non da poco.
Dopo aver dato la notizia, in sede di commento Prizio si augura e spera - che serenità e tranquillità siano donate a tutto l'"ambiente" e così via metaforizzando la stretta necessità che la Fiorentina vinca e vada in serie A -, non negandosi che "l'alternativa è l'ennesimo oblìo, la reiterata sofferenza quasi ontologica nella natura viola".
D'accordo. C'è un po' del Colore viola di Spielberg - film di strazi razziali, di lacrime amare e di storici orrori -, ma c'è anche l'intera storia della filosofia. Con una minima estensione, un passettino in più che male non può farle. L'ente, da cui l'ontologico in questione, era l'appezzamento di terreno, il coltivabile, poi metaforizzato nell'Essere, nella Cosa, nell'in sé posto dietro al come me lo faccio. Di ontologie della natura, pertanto, ce ne sono a bizzeffe; meno di ontologie viola. Ma che una sofferenza potesse essere ontologica a tanti - da Platone ad Anselmo d'Aosta - era sfuggito.
13 febbraio (F.A.)

* Con il primo maggio prossimo venturo, l'Europa si allarga, o se preferite si allunga la lista dei paesi aderenti. Solo per amatori, "le politiche regionali europee, di conseguenza, si concentreranno ad est, proprio nei paesi dell'allargamento". E lungo i corridoi Trans-Europei, patria d'adozione per camionisti globali prossimi venturi, marciano le carovane di Natashe, verso la dilatazione anch'esse. Noi paesi gia' dentro marciamo sì, ma a tappe forzate verso la costituzione europea. La' fuori, invece, tutto è un "permesso!" Si allarghi chi puo', evidentemente: loro può.

*
Quasi da amuleto, valgano le parole (mai abbastanza ermetiche, e ancorche' metaforiche) di Denis de Rougemont:
La prima vocazione dell'Europa “è quella di unire i suoi popoli secondo il loro vero genio, quello della diversità, e nelle condizioni del XX secolo, quelle della comunità, in modo da aprire al mondo la via che esso cerca, la via delle libertà organizzate. Ma è anche quella di rianimare il suo potere d'invenzione per difendere e illustrare i diritti e i doveri della persona umana, di cui, malgrado tutte le infedeltà, l'Europa resta agli occhi del mondo la grande testimone.”(Messaggio agli europei, Vita o morte dell'Europa, 1948)
(5 febbraio 2004)
(F.P.)

* Sull’ultimo numero di Hortus musicus (il 18), Felice Accame (qui, F.A.) ci spiega che esistono metafore buone e metafore cattive. La tesina di uno studente mi ricorda che esistono le metafore vive e quelle morte; cioè le metafore correnti in epoche passate, oppure relative a mestieri emarginati, o anche quelle mute, correnti in altre lingue. Insomma, le metafore in e quelle out. Così, quando si usano le metafore, bisogna stare molto attenti, perché nelle metafore si annida la causa dell’ideologia, sostiene Accame, o l’effetto, aggiungo io.
D’altra parte ormai lo sappiamo che ci governano con metafore estreme, come quella del presidente-operaio. O quella del lifting.
Però, nello stesso tempo, proclamano la fine delle ideologie. E allora, come la mettiamo?

*
La filosofia stessa, dopo la ventata di postmodernismo si arrende, dichiara che il pensiero è debole, proprio come la carne, si dichiara incapace di arrivare diritta al designato. Certo, il pensiero astratto sembrava ai più progredire senza referenti reali, sebbene al designato arrivava costruendo un percorso.
Penso ad Hegel, che scansa il linguaggio tecnico e specialistico, e costruisce un mondo con il linguaggio ordinario, e senza metafore.
La filosofia, ultimamente – dopo l’avvento del postmodernismo – è diventata scrittura, mera scrittura di genere senza saperlo. Sostiene, la filosofia dell’ultim’ora, che le grandi narrazioni sono finite. E quindi ne produce di piccole, insignificanti. Raccontini. E non disdegna le metafore. Anzi, spesso e volentieri vi indulge; e così tutto finisce per “stare per” altro, in un rimando continuo, senza fine.

*
Ma forse, in forza della sua debolezza, la filosofia dell’ultim’ora riscoprirà la fatica della scrittura, e del concetto. E che le metafore sono scorciatoie accidentate, e piene di pericoli. A meno che non si faccia letteratura, che in questo momento, devo ammetterlo, rischia di diventare la forma più responsabile, più onesta, di filosofia. Proprio perché è adusa all’uso della metafora. Sa come maneggiarla. E mi riferisco a Lunetta. A questi ventotto racconti che Odradek ha pubblicato in Soltanto insonnia e in Cani abbandonati.
Prosa politica, prosa civile che utilizza il racconto come strumento appuntito e tagliente per costruire metafore che poi si scopre essere tessere di un mosaico sapiente. Forse Lunetta crede di essere indignato e spietato. Ma no.
Siamo tutti cani abbandonati, non ci resta che riunirci in branco.
Non ci resta che l’insonnia, e la notte è lunga.
(Dalla presentazione presso la libreria Odradek di Cani abbandonati, 28 gennaio 04)
(C.d.B.)

* Un giorno Ruth Mack Brunswick fa notare a Freud che Jofi, la sua cagnolina, stava sognando. "L'ho detto io che le dànno troppo da mangiare", rispose prontamente l'autore dell'Interpretazione dei sogni.
Nemo profeta in patria.
(F.A.)

* Occhiella dal domenicale del "Sole 24 Ore": "la neutralità dei capitali non può più essere sostenuta dopo l'11 settembre". Non avendoci messo l'anno, la notizia non offende l'intelligenza di nessuno.
(F.A.)

* In una lettera del 1936, Cesare Pavese dice di se stesso, scrivendo a Mussolini, che "in avvenire ogni suo passo sarà calcolato a difendere quell'ordine e interesse nazionale, di cui Vostra Eccellenza è superbo assertore".
Alberto Moravia, nel 1938, invece, gli scrive garantendogli di essere figlio di una madre "di sangue puro e di religione cattolica".
Norberto Bobbio, nel 1935, gli scrive parlandogli della propria "coscienza di fascista" e della propria dedizione a studi filosofici dai quali ha potuto attingere "i fondamenti teorici per la fermezza delle mie convinzioni politiche e per la maturità delle mie convinzioni fasciste". Già che c'è, gli dice che ha la tessera del partito.
Da tempo, i benpensanti culturali hanno elaborato un argomento per proteggersi da questo tipo di documentazione: non vorrai mica giudicare la storia del fascismo e dell'antifascismo (!) guardando dal "buco della serratura". Come se la ristrettezza della visione, nel caso, potesse testimoniare della falsità di ciò che, comunque, si vede e non della sua parzialità. Parzialità che, se ampliata chissà dove porterebbe: per esempio a chiedersi se non si tratti di viltà personali, quanto di viltà professionali - insite nell'intellettuale di successo, per il tipo di sapere che lo rende tale.
(F.A.)

* La palma della tautologia tocca alla maestra di Massimo Ammaniti. Lui era mancino e lei, assecondando i canoni morali d'epoca, reprimeva. La sinistra è il Male. "Lo sai", gli diceva, "lo sai cos'è la prima cosa che toccano i bambini appena nati? Il pistolino. Te lo sei toccato con la mano sbagliata e sei diventato sinistro".
(25 gennaio 2004)
(F.A.)

* Il giornale sportivo del lunedì - per quelle antiche ragioni che vogliono lo sport connesso alla virilità e per quelle forse più antiche che vogliono la virilità connessa alla prostituzione - offre dovizia di annunci "economici". Da due emerge qualcosa di nuovo: "Mi sono appena trasferita, mi sento estremamente sola. Sono carina." e "25enne piccola, tenera, sola e soprattutto trasferita in questa grande città" (neretto mio).Seguono i numeri telefonici. Fra le aggettivazioni del sessualmente appetibile entra, dunque, il "trasferito". Come se là qualcosa obstasse, mentre qui non obsta più. Vedi alla voce: movimenti di liberazione (residuati ideologici nel 2004).
("La Gazzetta dello Sport", 26 gennaio 2004)
(F.A.)

* Capoluoghi del sapere esoterico. In testa c'è Verona con 11 chiromanti che han messo l'annuncio sul giornale sportivo del lunedì - per quelle antiche ragioni che vogliono lo sport connesso al sacrificio (quello sulla tavola del macellaio, non quello del sudore-presto-integrato) -, seguono Milano e Brescia con 8, Piacenza con 5, Bergamo con 4, Desenzano e Novara con 3, Varese con 2 e Pavia con 1. Uno che sta a Sondrio dovrà mettersi in viaggio. Si autoconfigura una regione del Nord tutta nuova - per confini, usi e dialetti. Nella scelta dei rapporti, come al solito, siamo liberissimi. Numero di abitanti, densità, chiese, apparecchi televisivi pro capite, investitori in obbligazioni Parmalat, movimenti di estrema destra, abbonati all'edizione italiana del Scientific American. Et cetera.
("La Gazzetta dello Sport", 26 gennaio 2004)
(F.A.)

# L'editore Odradek, poco fa, bofonchiava il suo stupore. Non si capacitava che un giovane rampollo di famiglia magnatizia, con responsabilità strategica, addirittura del brand, la sera, dopo una giornata di duro lavoro, non sia solito immergersi nella lettura, chessò, della Rivoluzione industriale del Toynbee al fine di rivivere emozioni intensissime, provando, se non turbamenti per l’afrore carnale che emanano i corpi degli sfruttati, per l’ambivalenza delle moltitudini nell’orgia del lavoro salariato - Justine chi? - certamente un vibrante ed erotico sentimento di partecipazione all'umano e sociale patire quello sfruttamento che tanto ha ridondato - proprio così si esprimeva l'editore - ad alcune famiglie, come la sua. Ugualmente accorata è la pagina stralciata dal diario di F.A., che riproduco. Lo Zibalmaster.


* Dal mio Diario, in data 11 ottobre 2005:
«Se, un giorno, dovessi essere ritrovato incosciente, zeppo di cocaina, nel letto di un transessuale, sarei molto grato a chi mi vuol bene se mi evitasse una visita di solidarietà di Pannella.
Se, poi, le mie condizioni fisiche dovessero venir a costituire una risorsa ideologica per il pubblico dominio, gradirei che chi mi vuol bene, a mia lode, trovasse qualcosa di meglio da dire rispetto al vantare il mio "coraggio" nello scegliere "i calciatori, i quadri e le donne". Calciatori e quadri ho l'impressione che mi siano fuori portata e, in quanto alle donne, ritenendole io esseri umani come me, non credo che possa essermi ascritto a lode il fatto di considerarle alla stessa stregua dei primi. Dato, poi, il letto del transessuale di cui sopra, sull'argomento, soprassederei. Eviterei, anche, di descrivere con affetto quei meccanismi di formazione cui - come si può dire - per eredità di famiglia, ho dovuto sottostare: la vela e lo sci, importanti per il fisico e il carattere, le partite di calcio della Juventus, le ascese alle cime attorno al Sestrière con le pelli di foca, le orecchie congelate, piedi e mani intirizziti. Possibile, mi chiedo, che, nel voler a tutti i costi trovare qualcosa di buono in me, nessuno dei tanti giornalisti che, con la mia famiglia, manteniamo da anni, possibile che non abbia trovato un'espressione sensata o, almeno, credibile ?». F. A.

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Ripubblichiamo qui questo articolo di Felice Accame, apparso sui Working papers della Società Metodologico-operativa, perché mostra quanto la sociologia possa essere molto più vicina all'astrologia che non, poniamo, all'antropologia culturale. Il reperimento e la definizione dei caratteri dei gruppi creativi ricorda il lavoro dell'astrologo, impegnato a distinguere un Acquario da un Capricorno.

Lo Zibalmaster

 

* Il business della creatività collettiva
L’emozione e la regola di Domenico De Masi (Rizzoli, Milano 2005, nuova versione edizione Laterza, Roma-Bari 1989) è un saggio tutto dedicato all’individuazione dei caratteri che contraddistinguerebbero la creatività collettiva – ovvero quella creatività che si manifesterebbe in piccoli gruppi, conventicole varie, équipe, squadre, insiemi, cupole, logge e altri risultati dell’umano trafficare consorziato –, ai fini, evidentemente, di carpirne i segreti per poi rivenderli al miglior offerente, ovvero a chi, di denaro provvisto, abbocchi. È curioso che il libro stesso rappresenti un bel caso di creatività nell’inconsapevolezza – o, almeno, in una consapevolezza che ci si guarda bene dal dichiarare – dell’autore. Infatti, il libro è a firma di Domenico De Masi, ma gli autori – neppure citati nell’indice –, oltre al De Masi (ci mancherebbe), sono Maria Rita Palumbo, Paolo Gentile, Patrizia Cinti, Susanna Lupi, Emma Gori, Massimo Meniconi, Dunia Pepe, Fabrizio Caristi, Roberto Palermo, Giancarlo Buzzanca, Gilda Morelli, Gabriella Natoli, Giovanna Spagnuolo.
Ma, ciò non ostante, inizia male e prosegue peggio. Inizia male nel tentativo di assegnare specificità a processi creativi del primo Novecento, affermando, tra l’altro, che “Freud affrancava la psicologia dalla filosofia” (citando L’interpretazione dei sogni del 1899) e che “Ernest Mach districava la filosofia dal positivismo” (e si cita Conoscenza ed errore del 1905). Due affermazioni, queste, entrambe molto opinabili, se entrambe non patentemente insensate – perché né la psicologia di Freud stesso, né quella non di Freud, dopo Freud, in nulla può dirsi affrancata dalla filosofia, che, tuttora, peraltro, la informa.
Prosegue peggio, perché De Masi non si accontenta della teoria – anzi, alla teoria non guarda proprio in alcun modo, visto e considerato che mai si degna di definire l’oggetto della sua ricerca –, ma cerca, diciamo così, nei casi della vita una conferma di alcune sue generalizzazioni. E questi casi, pur scelti ad hoc – senza un criterio che lo vincoli –, utilizzati sulla base di analisi altrui, neppur sempre risultano perfettamente adatti allo scopo. Incappando, per giunta, in vari incidenti di percorso.
Ma procediamo con un minimo di ordine. Fra i caratteri dei gruppi creativi ci sarebbe:
1. la frequente e pacifica convivenza, nella medesima équipe, di personalità maniaco-depressive con personalità dotate di grande equilibrio;
2. la ricerca frequente di un ambiente fisico accogliente, bello, dignitoso, funzionale;
3. la flessibilità degli orari, ma anche la capacità di sincronismo e di puntualità;
4. l’interdisciplinarità e la forte complementarità culturale di tutti i membri;
5. la destrezza nel concentrare le energie di ciascuno sull’obiettivo comune;
6. la capacità di cogliere tempestivamente le occasioni;
7. la capacità di calibrare la dimensione del gruppo in base al compito;
8. la capacità di reperire le risorse;
9. la capacità di contemperare la natura affettiva con quella professionale in modo da consentire un facile interscambio di ruoli e funzioni;
10. la preminenza del leader-fondatore (pag. 17).
Ci si aspetterebbe, pertanto, che dopo una tale dichiarazione, non dico tutti i casi accuratamente scartati, ma almeno tutti i casi accuratamente selezionati per dimostrarne la fondatezza palesassero l’emergere di questi caratteri. Ci se lo aspetterebbe invano.
Perfino nel raccontare le vicende di Michael Thonet e delle sue celebri sedie i conti vengon fatti tornare a calci nel sedere. Thonet, infatti, “non si adeguò alla domanda ma la creò e l’indirizzò”. Anche se non si sa ancora quale, “colse tempestivamente l’occasione”, allora. Ma – e qui la spiegazione si fa di un’ingenuità disarmante – “ciò fu possibile anche perché la borghesia, principale fruitrice dei suoi prodotti, non aveva ancora stabilito i simboli, l’estetica, il gusto che avrebbero dovuto caratterizzarla” (pag. 28) – come se, ad un certo momento, una classe sociale si comportasse come chiunque di noi che, prima di uscire di casa, decide che cravatta annodarsi al collo,
Tutti i suoi grandi innovatori – suoi, dico, del De Masi – avrebbero avuto il “culto della forma e dell’estetica” (pag. 81) e sono pronto a crederlo a condizione, tuttavia, di non proseguire nella lettura del suo libro. Faccio due esempi.
Giovan Battista Guccia, il fondatore del Circolo Matematico di Palermo, “da Luigi Cremona (fratello del pittore Tranquillo) mutuò elevate preoccupazioni estetiche”. In che consistevano ? Il De Masi, in proposito, si fa laconico. Perché consistevano sia nel fatto che Guccia commissionò ad Ernesto Basile, “grande architetto”, il disegno del simbolo del circolo, della medaglia “Guccia” e dei mobili della biblioteca, sia nel fatto che intrattenne una lunga e profonda amicizia con la moglie di Wagner (pag. 81). Altro di estetico non ho reperito. Dov’è, qui, la capacità di contemperare la natura affettiva con quella professionale in modo da consentire un facile interscambio di ruoli e funzioni ? E Guccia, da fine matematico qual era, fu anche in grado di essere “puntuale” e, al contempo, “flessibile” negli orari suoi e degli amici suoi ?
Secondo esempio. Tra le “caratteristiche organizzative” di Louis Pasteur, “la decima” sarebbe “l’attenzione data all’estetica, nelle grandi come nelle piccole cose: dalla progettazione, benché tradizionale, dell’edificio che doveva ospitare l’Istituto (e che gli architetti realizzarono senza richiedere alcun compenso economico), alla messa a punto della vetreria di laboratorio” (pag. 110). Con l’onere del “benché tradizionale”, è tutto qui ? Sembrerebbe pochino.
Andiamo avanti. Fra gli esempi di creatività collettiva ci finiscono anche il Circolo di Vienna, nonostante che – è De Masi stesso ad ammetterlo – i “problemi epistemologici” rimasero tali perché le “soluzioni” non furono “mai trovate” (pag. 205), e la nota coppia costituita da Watson e Crick. È una partnership, d’accordo, ma nulla vieta che uno sia maniaco-depressivo e l’altro molto equilibrato, che cerchino entrambi di stare in begli ambienti, che uno arrivi sempre in ritardo e l’altro sempre puntuale, che passino da una disciplina all’altra con estrema facilità e che mentre uno ha la serratura l’altro ha la chiave, che mirino tenacemente allo stesso risultato, che sappiano cogliere le occasioni, che abbiano preferito rimanere in due per dividersi l’eventuale bottino, che abbiano saputo dove andare a scopiazzare qualcosa che gli potesse tornare utile e che abbiano saputo miscelare sagacemente affetto e professionalità scambiandosi spesso di posto (uno sopra, l’altro sotto e viceversa). Che vi sia stata, invece, la preminenza della leadership dell’uno sull’altro, ahimé, è proprio quanto appena concesso che non l’ammette. De Masi cita la visita di Watson e Crick da Chargaff (che lo “impressionarono moltissimo per la loro totale ignoranza” – non ho mai incontrato due persone così ignoranti”, ebbe a dire), ma si guarda bene dal dire perché ci sono andati. Basterebbe informarsi: ci sono andati, perché Chargaff aveva già pubblicato tre articoli in cui parlava del dna come di un nastro di Moebius – alla faccia della loro creatività ed alla faccia della “graziosità” urbi et orbi del modello del dna cui alfine pervennero (pag. 320-321).
Andiamo ancora avanti e giungiamo al colmo. Fra i casi di gruppi creativi c’è finito Los Alamos, leggi progetto Manhattan, leggi bomba atomica.
A parte il fatto che è quanto meno inesatto affermare che Fermi scappò dall’Italia “approfittando del viaggio a Stoccolma per ricevere il premio Nobel” (pag. 329), perché, in realtà, accettò l’offerta della Columbia University e si trasferì in Usa – dove arrivò con la moglie Laura, a New York, il 2 gennaio del 1939 – con una regolare aspettativa concessa dal Ministero dell’Educazione Nazionale e che è quantomeno imbarazzante collocare a Los Alamos, a costruire la bomba atomica, persone come Franco Rasetti (che smise perfino di occuparsi di fisica pur di non contribuirvi in alcun modo), Paul Dirac (che rifiutò di unirsi al progetto Manhattan) e Edoardo Amaldi (che rimase in Italia, fondando, poi, nel 1945, il Centro di Studio per la fisica nucleare dell’Università di Roma). A parte ciò, resta il fatto che, fra le “modalità informali” realizzate a Los Alamos – “modalità” che, evidentemente, avrebbero contribuito al successo dell’iniziativa –, De Masi annovera:
1. uno stile di leadership partecipativo;
2. l’alta cooperazione e partecipazione ai processi decisionali;
3. il clima di lavoro stimolante, flessibile e affiatato;
4. il potere all’interno della comunità scientifica attribuito non gerarchicamente, ma per autorevolezza professionale e personale (pag. 350).
Non so se queste cose possano essere impunemente raccontate ai grandi e solvibili consumatori di fandonie sulla creatività, ma, di certo, sarebbe meglio che venissero risparmiate in un libro con pretese scientificizzanti o in un’aula universitaria. Sarebbe fin divertente sperimentare il confronto tra questo paradigma ideale e la cronaca puntigliosa e scientificamente corretta che Richard Rhodes fa dello stesso evento ne L’invenzione della bomba atomica (Rizzoli, Milano 2005, prima edizione 1990 – lo stesso editore, si noti, che non ha certo scrupoli nel pubblicare, più o meno contemporaneamente, due testi che dicono una cosa e il suo contrario). Si constaterebbe, così, come a Los Alamos si mise in scena l’ovvia lotta tra militari, politici e “borghesi”, o tra i militari stessi, senza parlare delle lotte intestine fra scienziati – da cui allontanamenti, sostituzioni e stati depressivi variamente rintuzzati. Si constaterebbe che sull’idilliaco “clima di lavoro stimolante” pesava non poco la trama inesausta dei servizi segreti – che vedendo comunisti dappertutto hanno chiesto perfino l’arresto di Bohr, pedinavano l’ex comunista Oppenheimer (la cui amante ci rimette la pelle), ma non si sono accorti della spia sovietica che c’era davvero. Si constaterebbe il sorgere di tutte quelle patologie che caratterizzano le attività collettive svolte nel nome della segretezza. Si constaterebbe che ai protagonisti non era consigliabile coltivare “elevate preoccupazioni estetiche”, perché il posto, a detta di tutti – non solo di quelli che se ne andarono, ma anche di quelli che, obtorto collo, restarono – faceva letteralmente schifo, mentre i turni di lavoro saranno anche stati “flessibili” ma, di certo, erano massacranti. Per finire in gloria, un esempio più sbagliato di questo era difficile da trovare. Felice Accame
P.s.: nella nutritissima bibliografia, fa capolino anche il nome di Silvio Ceccato. Lo si cita per il capitolo sulla creatività in Cibernetica per tutti (Feltrinelli, Milano 1979, vol. 1). Deve trattarsi di un caso di bibliografia creativa.

F.A., ottobre 2005

* Il mattino dei preti (e delle suore)

A quanto pare Roberta De Monticelli, della categoria Cacciari-Severino, annuncia al mondo che alcuni filosofi che l’hanno preceduta – da Platone a Protagora, da Hume e Berkeley a Kant, da Lichtenberg a Schopenhauer – si sono sbagliati, perché, a ben guardare (è il caso di dirlo) le pretese dello scetticismo sono vanificate dalla percezione visiva. Se la vedo, pofferbacco, se la vedo è lì, poche balle. Se, poi, proprio fossi in cerca di ridondanze, me la tocco (e magari me la usmo), dubbi non ne possono rimanere. Il realismo ha vinto. La storia della caverna ? Ombre, quali ombre ? Platone, evidentemente, aveva tempo da perdere. E, soprattutto, aggiungo io, non aveva un impiego al Sant’Uffizio.
In risposta al suo saggio, scrive al “Sole 24 ore” domenicale Pietro Casadei, lettore sensato, da Cesena, e dice: “Richard Popkin si sarà rivoltato nella tomba nell’apprendere che per superare l’ipotesi del sogno di Platone, il genio maligno di Cartesio o il fenomenismo di Berkeley ‘dobbiamo guardare meglio’ (e qui, immagino, cita la De Monticelli) ‘guardare ancora, perché (le cose visibili) “significhino” infine quello che “sono””. E lei, impavida, mentre il giornale titola L’evidenza salta agli occhi, gli risponde.
“Il criterio di verità”, vede, gli dice, “non è l’impossibile confronto che suggerisce lei” – e con lui la storia tutta della filosofia -, no, “qualcosa è reale se la mia percezione non finisce mai di rilevare nuovi dettagli, dato che io non l’interrompo; se non mi rifiuta mai l’informazione che vi cerco. La realtà è una fonte infinita di informazione (….) E’ ciò che non è mai del tutto presente. E’ ciò che infinitamente trascende il poco di essa che in ogni presente è dato, appare”. E, prontamente – facendo finta di dimenticare quel che accade in ogni tribunale allorché si tratti di registrare una testimonianza, aggiunge che “questo non succede né alle immagini né ai ricordi”.
Ora, questa concezione della Realtà a metà strada tra le Pagine Gialle e l’Opera Aperta, non è grave soltanto in ragione della sua inconsistenza metodologica – perché “realtà” e “percezione” continuano a stare su fronti opposti e perché nulla è “informazione” di per sé –, ma piuttosto per il retroterra ideologico che rappresenta. Realisti nonostante tutto, con quel pizzico di magìa che, nel menu new age, non guasta mai; Pauwels e Bergier, pià gianninpinottati, e in salsa clericale. Non ci vuole un’aquila, infatti, per capire che tutto questo penoso definire in negativo (“non finisce mai”, “infinitamente”, “trascende”) serve un cattolicesimo padrone che, senza preoccuparsi del ridicolo, somministra dalle cattedre del suo potere epistemologie per subornati.
F. A., 19 settembre 2005

* L’osso della storia tra i denti dei filosofi
La filosofia può tanto. Può perfino far dimenticare la storia allo storico e fargli scoprire “oggi (…) l’esistenza di uomini disposti a farsi uccidere per uccidere”. Sai la novità.
Ma, d’altronde, ai convegni bisogna pur dir qualcosa. E’ così che all’invito dell’Università San Raffaele di Milano, Ernesto Galli della Loggia – con il carro di tespi di Cacciari, De Monticelli e Severino – non si nega e dice la sua su “La Filosofia di fronte alla Storia: ripensando l’11 settembre” (maiuscole e omissione dell’anno tutte loro).
La tesi è adatta al soffio vitale dell’Università San Raffaele Annessi e Connessi: l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle (altri obiettivi e altre vittime sono ormai ontologicamente sussunte nelle Torri) è un “evento rivelazione” e, in quanto tale, un evento “filosofico”. Cosa sia un evento filosofico non lo sapremo mai, ma Galli della Loggia ci prova lo stesso: secondo lui, è “un evento carico di significati che per essere intesi devono essere ricondotti a categorie interpretative, a paradigmi che vanno ben oltre l’evento medesimo, ma che attengono a una visione complessiva del processo storico e non solo”. Si noti: qualsiasi evento – anche il fatto che ora stanno cadendo alcune goccioline dal mio soffitto – è “carico di significati” e qualsiasi evento, per essere compreso, va “ricondotto a categorie interpretative” (la signorina del piano di sopra ha dimenticato aperto il rubinetto dell’acqua della vasca da bagno ?) che “vanno ben oltre l’evento medesimo” (è già accaduto l’anno scorso – la signorina in questione è distratta – perché ? – vuole forse attirare la mia attenzione ? – ora ce l’ha – ha litigato con il fidanzato ?) e “attengono a una visione complessiva del processo storico” (non è la prima volta, dicevamo – che sia una tendenza ? Che ci sia qualcosa di comune ad altre signorine della medesima età e condizione sociale ? E via rivangando a piacere). Ma quando ci aggiunge “e non solo”, allora sì, scatta la differenza. Poffarbacco, sarà pur un evento “filosofico” – quantomeno “filosofico” –, quell’evento che, per essere compreso – alla faccia dello storico –, implica punti di riferimento addirittura “fuori” della storia umana.
Fattosi piccino e modesto in quanto storico, allora, Galli della Loggia fa astutamente da apripista al carro di tespi asserendo che “l’attacco di New York” (sinonimo di “attentato alle Torri Gemelle”, sinonimo di “La tragedia delle Twin Towers”, sinonimo de “l’attentato dell’11 settembre”, e via ricategorizzando) “sembra precisamente” (stupendo ossimoro che da solo vale una cattedra) “rimettere all’ordine del giorno la filosofia della storia”. Disciplina che definisce prontamente come il “tentativo concettuale e forse anche euristico di essere all’altezza dell’unificazione della storia”, o come la disciplina che “muove per l’appunto dall’idea che sia possibile rintracciare un senso unitario del percorso storico”. Perché, si constati, nella “vicenda contemporanea” “ogni unilinearità si rompe, ogni disegno si scompone e si disarticola”, ma sarà sufficiente, per l’appunto, mettere all’ordine del giorno questa filosofia della storia per saperci vedere, nella storia, “i segni di un compimento, se non di un destino”. Con il che, mentre al San Raffaele si sfregano i polpastrelli, lo storico si rifà grande e grosso: pronto a predire il futuro sulla base dell’ennesima periodizzazione, ben disposto ad una ben remunerata mediazione con il trascendente.

F.A., 8 settembre 2005. (Rif. Corriere della Sera, 7 settembre 2005)

*Storiografia extrema - Caro Zibalmaster, mica lo so se pubblicherai questo mio secréto, perché donna, perché polemica, perché filosofa…
Estate dell’anno domini 2005. In una delle province deboli dell’Impero, C. C. ha terminato di tessere la calzetta informe e multicolore della storia dei marxismi, rigorosamente italici, pagando congrue marchette per ripetute manchette su tale “quotidiano comunista – anno XXXV” perché finalmente l’orbe terracqueo – peraltro sull’orlo del collasso energetico climatico economico e politico – sappia che un quadro esaustivo dello “sviluppo del marxismo italiano”, dalle origini “al dibattito contemporaneo sull’attualità di Marx” (sic!) è stato pubblicato. Do uno sguardo pieno di speranza all’indice del volume. Poscia, scorro sconfortata l’indice dei nomi.
e il dolore della mancanza
ce lo sentiamo nella pancia

- Mamma, che cos’hai? Mi sembri triste. Ma che cosa manca a C. C.?
- Le mancano i coglioni della teoria, tesoro.
Non trattenendo presso di sé i nessi fondamentali del rapporto teorico (che, non sapendo forse molto di certe attualità di Marx, mi ostino a ricondurre alla critica dell’economia politica), l’autore femmina sgravida una registrazione pettegola di secreti organici e inorganici, tambene autoreferenziali e/o intellettualmente compiaciuti, in cui si è venuta dilatando – fino alla perdita di significato e consistenza – la parola e la cosa “marxismo”. Va bene.
Da filosofa, non strillo più di tanto, se, in questo mondo rovesciato e in questa sinistra, chi compie il lavoro intellettuale, o aspira a compierlo, può e deve riconoscere dignità teorica al marxismo del proprio vicino di pianerottolo, ma non a quello del maggiore restauratore teorico dell’opera di Marx in Italia.
R.C., 23 luglio 2005


Cara R.C., pubblico il tuo secréto – dopo aver scartato il sospetto che sia l’invidia a roderti – riconoscendo che, in effetti, C.C. l’ha fatta grossa e fuori dal vaso. Ovvero, è riuscita in un’impresa da Guinness dei primati. Bisogna ammetterlo, è riuscita in un fenomenale gioco dell’oca, da La Briola a La Grassa, evitando accuratamente di inciampare in Amadeo Bordiga. Ho controllato: non compare nel poderoso Indice dei nomi. Un’impresa che aveva storiograficamente dell’impossibile. Lo Zibalmaster

* Brutti segni – Tanto per dare un'idea di come vanno le cose nelle università italiane con questi chiari di luna. Il professore fa l'esame via e-mail, siamo nell'ambito di arte e architettura,16 domande del tipo "Definisci il concetto teorico di nonluogo, relazionandolo a opere e/o autori contemporanei", e una premessa (che riporto integralmente): "Le risposte devono essere comprese tra 10 e 15 righe".
Né si ha notizia di un intervento del Magnifico Rettore, del Consiglio d'Istituto o della Croce Verde, né di atti vandalici a cura di studenti. Brutto segno.
(F. A., 25 giugno 2005)

*Senza vergogna – I DS romani - ignoro se la campagna sia nazionale - invitano a “scrivere a un amico francese” per sollecitarlo a votare Sì al referendum sulla Costituzione europea. Proprio come gli italo-americani, nel 1948, invitavano i parenti indigeni con lettere accorate, spesso accompagnate da pacchi alimentari, a votare per la DC. Orrore.
Negri Antonio, detto Toni, invita i francesi, dalle colonne di Libération, a votare Sì al referendum sulla Costituzione europea. Ma sì, Negri Antonio, quello de Il potere costituente (1992) e delle alternative al moderno ha finalmente trovato l’alternativa nel “potere costituito”. E ci voleva tanto?
C.D.B., 18 maggio 2005

* Da alcuni anni è cambiata l'ottica politica, etica e burocratica con cui guardare al rapporto tra la prostituta e il cliente. Per un sacco di buone ragioni che qui sarebbe troppo lungo enumerare, la colpa è ora assegnata al cliente.
Spero che il medesimo schema valga per i rapporti tra l'on. Sgarbi e la Sinistra.

F. A., 15 maggio 2005

* L’«aforisma, nella sua primaria forma moderna, che è quella del Baffuto Germano, è precisamente un pensiero di punti che serve a dispensarsi dal pensare per intero».
Ci siamo, il puntuto F.M. (22 marzo) ha detto! Riconosco a F.M. il merito di una formulazione adeguata e ineccepibile. La propongo come prima equazione.
Intanto, però, mi riservo un piccolo intervento chirologico, di natura chiastica: anziché “Baffuto Germano”, io per me, userò il sintagma “German Baffuto” per riferirmi a Nietzsche, con una evidente intenzione ridicolizzante (ricorda il “villan fottuto”: associazione intollerabile per il “ribelle aristocratico”).
Mezzucci, espedienti, i miei. Gli è che nella mia Facoltà di Filosofia sono un po’ troppi i corsi che “portano” Nietzsche. Non solo, ma gli studenti “antagonisti” – del gregge dei negriani, suppongo – hanno organizzato un contro (?) corso su Nietzsche intitolato “Non sono un uomo sono dinamite. Nietzsche e il poststrutturalismo”.
Ne traggo la conclusione che l’universitas – docenti e studenti, quanto meno di filosofia – tende a “dispensarsi dal pensare per intero”.
Non vorrei che la causa fosse quella fatta balenare da F.M., e cioè – «pensare interamente per intero non è possibile, o meglio è l’idealismo puro» – il timore della superstizione. Una volta si aveva orrore del vuoto, adesso l’horror è dell’intero. Non sarà che i due concetti vengono percepiti come sinonimi?
Uno sciagurato studente (?) ha scritto con il gesso sul muro esterno del bar di Villa Mirafiori, sede della Facoltà di Filosofia: “Esci dall’astrattezza dell’università. Scegli la vita”. Amen.
C.D.B., 25 marzo 2005

[Il nostro Genio – G.C. Dekodra, intendo, che ha voluto pseudonomarsi anagrammando il nostro kafkiano nume – in un suo accorato messaggio (vedi sotto, 17 febbraio) ha sferrato un attacco al genere comunicativo stesso che dovrebbe regolare gli accessi in questo spazio: l’aforismo.
Per un po’ gli Autori Odradek hanno taciuto, poi è intervenuto F.M., 22 marzo– il quale ha voluto spendere parole in difesa del genere – fomentando la risposta di F.A. – che invece, stranamente, ha scelto una linea di mediazione.
L’affare s’ingrossa. lo Zibalmaster]


* Ho l'impressione che, sull'aforisma, gravino alcuni pregiudizi, tutti, peraltro, riconducibili ad un presupposto conoscitivistico. Non a caso si parla di "un pensiero di punti che serve a dispensarsi dal pensare per intero". Discreto e continuo, parte e tutto, nonostante la loro frequente applicazione al dominio dell'empiricizzato, restano categorie mentali – applicabili, cioè, a checchessia in linea di principio e applicate, di fatto, a checchessia ma con qualche tentativo di negoziazione esplicita da parte dei più avveduti.
L'aforisma, dunque, non può essere accusato in quanto tale per un peccato originale che è più nella testa dell'accusatore che nella sua articolazione costitutiva. Senza contare che, proprio ad una sua compiutezza, ci si riferisce per definirlo, ovvero in seguito a qualche negoziazione andata più o meno a buon fine (Istruttivo è il caso di Lichtenberg. "Dicono che quando ha finito una recensione abbia sempre le più violente erezioni", per esempio, si caratterizza come struttura narrativa e lascia del tutto implicite le ragioni che lo fanno aforisma - come "Jena e Gomorra" - eppur, per lui, erano interezze).
Tuttavia, ho anche l'impressione che, laddove l'odradekkiano, è spinto ad assumere una qualche forma di atteggiamento morale nei suoi confronti non sbagli poi un granché. Più che sull'aforisma in quanto tale, infatti, sarebbe bene riflettere su chi ne ha usato e abusato, magari sostenendosi con qualche teoria – sulle condizioni per cui, in altre parole, qualcuno lo ha eletto a genere letterario idoneo a soddisfare le proprie esigenze. C'è, per esempio, un certo tipo di relazione sociale (uno scarto di classe? perché no?) a monte della scelta – come c'è, per esempio, in chi, in una compagnia, può permettersi il lusso di una battuta a danno di un presente.
Detto molto alla svelta: ho buoni motivi per sospettare di chi indulge su questa tecnica espressiva (producendosi addirittura libri interi), ed ho buoni motivi per sospettare della tecnica stessa – almeno per la sua ossequiosità verso il geometrico), mentre non credo di dovermi pentire più di tanto per aver apprezzato, in un'espressione qualsiasi (ridotta o no ad aforisma, dall'autore o dai suoi manipolatori) un rapporto tra due termini che, fino a quel momento, circolavano reciprocamente liberi come frilli nel bailamme della mia mente – come, peraltro, mi è capitato di aver riso, senza portarmi appresso il sentimento di una colpa.
(F. A., 23 marzo 2005)

* Facciamo gli aforist / perché siam sempre trist (pseudo-Totò)


Caro Dekodra,
tu hai molte ragioni. Nessun aforisma li seppellirà. E anche: leva che ti levi ti resta in mano il nulla. Del resto, l’aforisma, nella sua primaria forma moderna, che è quella del Baffuto Germano, è precisamente un pensiero di punti che serve a dispensarsi dal pensare per intero. Però tu sai bene che pensare interamente per intero non è possibile, o meglio è l’idealismo puro. Parliamo allora di umorismo, che è – io credo – la giusta espressione da assumere in epoca di catastrofe. Andiamocene ridendo. Siamo sempre tristi, lasciaci almeno fare gli aforisti (come dice, pressappoco, lo pseudo-Totò). C’è un risvolto compensativo e sintomatico, non lo nego. E però: si tratta di stabilire se valga la pena di scontarlo. Vale a dire, se strategicamente sia conveniente. Senti che aforisma: l’aforisma è la migliore arma portatile nella guerriglia dei media. Un pensiero di punte. Ma, andando ancora più a fondo, il nichilismo. È vero: ridiamo perché non crediamo più in niente. Allora il punto è: come si può “fare movimento” (azione politica o come la vuoi chiamare) con i non-credenti? (Effettivamente, nel Baffuto Germano il nichilismo finiva, stringi stringi, per lasciare i rapporti di forza com’erano). Eppure, nel rovesciarsi dell’Evo – tu m’insegni – non siamo schiacciati da troppe credenze? S’ha forse da finire a far la faccia seria dell’etica o in qualche torre del feudalismo nuovo? Allora, perché no?, puntiamo su un movimento “da nulla”.

F. M., 22 marzo 2005

* Caro Zibalmaster,
oddìo, che ho fatto! Avrai notato anche tu che dal mio intervento del 17 febbraio - “Aforismo? Nichilismo! ” - gli Autori Odradek hanno rarefatto le loro apparizioni. Mi domando se non ne sia causa il mio affondo polemico. Volevo soltanto sanzionare la “passione triste” - da cui io pure in quel momento ero posseduto - l’unilateralità irresponsabile che ci costringe all’istanza tranciante, al paludato narcisismo che ci fa commutare in motto il pernacchio lazzarone, che pure ci urge. Ecco, volevo determinare i limiti del pernacchio.
Se ho ancora accesso, saluto i miei stimatissimi coautori.
G.C. Dekodra, 19 marzo 2005.

* D'accordo con F.A. che occorre stare alla larga dalle culture esoteriche. Ma che vale se non ci si libera pure dalle superstizioni? Per esempio da quella chiamata "sinistra", esoterica la parte sua, che per improbabilità e nocumento surclassa qualunque geremiade mariana.
R.D.C., 2 marzo 2005 (in risposta a F.A. del 12 febbraio)

 

* 17 febbraio, Campo de’ fiori, ore 12. Odradek ha portato una rosa rossa all’Arrostito. Un rito? E perché?
Intanto per rispondere a F.A. [vedi Zibaldone] che sente odore di superstizione ogni qual volta le cose gli resistono, non si lasciano manipolare, ridurre a componenti del suo Meccano semantico.
Ma soprattutto per marcare un problematico Passaggio. Giordano se ne andava in fumo sotto gli occhi compiaciuti del cardinale Bellarmino – poi fatto Santo, giova ricordare: san Giorgio B. – affacciato a una finestra della Cancelleria. Si sono guardati. A lungo. Ma l’Eretico non poteva gridargli il fatto suo perché era impedito dalla mordacchia. D’altra parte, il Santo non si sentiva parte in causa; si era limitato ad affidarlo al Braccio Secolare, o no?
Il punto è: chi, tra i due, Giordano Bruno e Giorgio Bellarmino, rappresentava il Moderno, in quella sacra rappresentazione?
Sono passati quattrocentocinque anni da allora (cioè 4860 mesi, 147.923 giorni, circa): un tempuscolo. Ma molto intenso.
Chi ha meglio interpretato il tempuscolo? Il santo Bellarmino, “costruttivista” ante litteram, che invitava a considerare la “realtà” occasione di ipotesi, palestra del pensiero e luogo di calcoli, o il renitente Nolano, che riluttava a considerare la “natura” come altro da sé, da noi, mentre insisteva nel dire che la vita stessa è intelligenza e non informe materia?
Che la “scienza” incipiente sia stata tutta dalla parte del Santo Bellarmino, è evidente come, del pari, la natura oltraggiata recrimini, ora, con le peregrinanti parole del Grande Arrostito.
A volte ritornano.
Un dubbio.
Una rosa.
C.D.B., 18 febbraio 2005.

* Caro Zibalmaster,
è sera. Anche della mia vita. Le risposte si assottigliano mentre le domande aumentano. Per es. questa. Che ci faccio io in questo salotto in cui si affastellano umori e secrezioni in forma di aforismo?
In cui è germogliata la mala pianta infestante del dialoghetto, filosofico, per di più.
Devo dire che con i dialoghi mi sono trovato sempre a disagio, a cominciare da quelli platonici, nei quali Platone fa parlare Socrate accomodandogli le risposte degli interlocutori. Bene, sapere che i due dialoganti sono materiale plastico nelle mani dell’autore mi ha sempre nevrotizzato. Come in un mondo di specchi, non si sa mai chi sta parlando, se il personaggio o l’autore. E ho sempre invidiato quelli che con sicurezza dicevano, qui è Platone che parla, qui si distacca da Socrate, ecc.
Non dico che non si possa fare, ma solo dopo che ci si è immersi intensivamente nel corpus dei dialoghi, considerandoli come un’unica articolata opera. Quello che non credo si possa fare è prendersi un dialogo e leggerlo per distendersi. Per me è come dire: vado a farmi una passeggiata distensiva nel bosco, di notte.
“L’aforismo è un calcolo renale”. Ecco, vedi?, me ne è scappato uno anche a me. Un sintomo, se si vuole. E non sarò certo io a pigliarmela con i sintomi. Certo è che, fin da giovane, mi sembrava di cogliere – in Horkheimer e Adorno, per es. – una sorta di commutazione, uno scarto, un décalage, una scorciatoia, un “vorrei ma non posso” del pensiero, una sorta di ritirata strategica, una scelta opportunistica epocale, un “mordi e fuggi”, un “colpiscine uno per educarne cento”. Mica vero, mai stato vero.
Poi è arrivato il postmodernismo e ha fatto di necessità virtù. Ma ormai i giochi erano fatti.
Aforismo? Nichilismo!
Amen.
Tuo,
G.C. Dekodra, 17 febbraio 2005.

[Tollerante, lo Zibalmaster, riporta quanto eccepisce F.A. sul "nostro" Giordano Bruno, ma per riparare all'intemperanza, alle ore 12 del 17 si recherà a Campo de' Fiori per portare un fiore. Anche per F.A.]

* Mi affretto a correggere una svista - originata di certo dall'entusiasmo nel buttarsi in un rogo che intanto si è giudiziosamente raffreddato - della Redazione di Odradek, che, in questo febbraio del 2005, infiocchetta il proprio sito internet con l'immagine di Giordano Bruno, che "c'é" e sarebbe "eretico, scomunicato, nostro". Eretico e scomunicato, d'accordo - fin qui... -, ma "nostro", no. Si dia un'occhiata alla bibliografia, perbacco: c'è il meglio della cultura esoterica - e sia dal meglio che dal peggio (si veda Blanqui che si dilettava di "universi paralleli") è bene che la sinistra stia alla larga. Sul "c'è" stendiamo invece un velo pietoso, perché si rischierebbe di ripeterci. Una forza politica che non riesce a liberarsi neppure di Parmenide è ben difficile che riesca a liberarsi di Berlusconi.
F. A., 12 febbraio 2005

* Le talpe riflessive rinnovano la prerogativa sociale.
Save your mole, she digs also for you!
C.S., 3 febbraio 2005

* [The show must go on. Avevo notato anch’io questa chicca sul Domenicale de Il Sole-24ore. E ho pensato: questo sì che è pensare positivo. Il ’900 si è concluso, lasciando dietro di sé solo macerie – sto parlando dei rapporti tra scienza e filosofia... Ma “Lo spettacolo deve continuare”! E allora, numerosi cercatori si aggirano tra le macerie, e ogni tanto qualcuno tira fuori da sotto un mucchio un mattoncino malconcio (“essere”, “verità”, ecc.) ed esclama: questo è ancora buono! Zibalmaster]

Nella rubrica "Ci credo ma non ho le prove" (nel "Domenicale" del "Sole 24 Ore" del 30 gennaio 2005), il lettore Aldo Trevisiol domanda: "Perché riteniamo 'veri' il concetto di infinito e il concetto di zero, quando non si ha una esperienza concreta della loro esistenza ?".
Vi sono evidenti i guasti prodotti dalla filosofia: veri fra virgolette rivela già un certo imbarazzo (chi sa che differenza c'è con veri senza virgolette ?), veri, poi, detto di concetti (e qui bisognerebbe esser proprio certi che nella storia della filosofia ci sia una risposta alla domanda su che cosa sia un concetto) sembra fin strano – il mio concetto di "unicorno", per esempio, mi è chiarissimo, anche senza aver mai visto un unicorno –, l'esperienza costituisce già un bel problema anche senza definirla concreta (e qui bisognerebbe spiegare in che consista un'esperienza astratta) e, infine, c'è da chiedersi come mai il "lettore" può parlare liberamente di concetti (infinito, zero) che non "esistono" (e qui bisognerebbe sprecare qualche riflessione per dirci cosa cavolo significa il verbo esistere).
La risposta del "matematico" Umberto Bottazzini, invece, va dritta senza porsi eccessivi problemi sui singoli costituenti della domanda e accreditandola di sensatezza. “Non si tratta – dice Bottazzini – "di una questione di verità [ma questa verità di cui parla temo sia un'altra, perché è senza virgolette, parentesi mia], ma piuttosto di esistenza. E' vero [la lingua batte subito dove il dente duole, parentesi mia] che non si ha 'esperienza concreta' [qui le virgolette le aggiunge lui – come a dire: dovevano esser messe qui, non là, parentesi mia] dell'infinito e dello zero. Tuttavia 'l'esperienza concreta' non costituisce un criterio di esistenza degli enti matematici, nemmeno dei più elementari, anche se la pratica empirica del contare e del misurare sta alla base dei primi concetti di aritmetica e geometria”.
E' una bella dimostrazione di come la filosofia continui a colpire inesorabilmente e di come i matematici siano più esposti di altri al contagio (se il Sindacato fosse una cosa seria dovrebbe lottare per la loro vaccinazione o, almeno – come usa nelle democrazie avanzate – per una buona assicurazione obbligatoria). Continua lo spaccio del mentale come fisico e, dopo secoli di autocontraddizioni, c'è ancora chi, in un angolino di giornale o in qualche aula universitaria, riesce a vendere il contare e il misurare come "pratica empirica". Ci credo e, ahimé, ne ho le prove.
F. A., 31 gennaio 2005


* Dialoghetto filosofico IV (B)
B.- Lei non ama la storia, l’ho capito. Lei è uno di quelli che dice: è sempre la solita storia.
A.- Questo me lo fa dire lei, nel suo dialogo. Aspetti il mio, e leggerà la vera risposta.
B.- In attesa di leggere anche il mio pensiero nel suo dialogo, procedo nel constatare che lei si è sempre adoperato nel derubricare la filosofia a errore, a tragico equivoco, a reiterato trompe l’oeil, non volendo accogliere quanto coloro che l’hanno considerata ideologia pure le consegnavano, con l’avvertenza che l’ideologia è storica, e mutano, con la storia, i modi dell’inversione e gli scopi della mistificazione.
A.- Lei è un marxista!
B.- Troppo onore, signore. Con lo stesso spirito, mi permetto di designarla machista. Da Mach, non da macho, naturalmente.
A.- Lei mi confonde. Ah! (illuminandosi), capisco. Lei vorrebbe riprendere il battibecco, riannodare i fili della querelle lenino-bogdanoviana, provare di nuovo a incrociare i ferri... a parte il fatto che quella di Lenin sembrava più che altro una clava... Identificandosi, immagino, con Vladimir Ulianov, magari calcandosi in testa un berrettuccio con visiera...
B.- In effetti, se questo espediente fosse utile alla riproduzione di quel contrasto, ben venga la drammatizzazione...
A.- L’avverto, io non mi lascerò crescere baffi o pizzetti, né andrò dal truccatore, né passerò dal trovarobe.
B.- Si potrebbe cominciare con una partita a scacchi... ha presente le foto che li ritraggono spensierati...
A.- Ma che spensierati, il suo Ilich, come si chiama, stava sicuramente tramando alle spalle del compagno Malinowsky...
B.- Lei non disdegna la dietrologia, lo so, lo vedo. A lei piacciono le scorciatoie, ed è portato a sospettare che anche gli altri lo facciano, vivendo nel timore che arrivino prima di lei...
A.- Perché, lei no?
B.- Io, come materialista e dialettico mi faccio carico dell’intero processo; certo, cerco di andare spedito, tendo a fare il numero minore possibile di passi, ma non abbandono la strada perché è sulla strada che ci si trova... La strada è la storia, signore, la storia delle ideologie, la storia degli adattamenti, la storia dei ripensamenti e, talvolta, delle conversioni, a U. Lei invece è uno di quelli che la strada se la fanno ogni volta... Lei è uno che non si stanca mai di essere moderno.
Ma è tempo che passi la mano. Prego. Conduca lei, ma sia rispettoso, non mi costringa a rettificare. Insomma, non faccia il Cazzullo della situazione.
B., 26 gennaio 2005.

* Ma chi l’ha detto che non c’è differenza tra destra e sinistra? Prendiamo il caso dell’ultimo evento riguardante la missione di pace italiana in Irak. La sinistra insorge e chiede che gli elicotteri in servizio di cecchinaggio debbano essere corazzati. La destra risponde che va bene così, sennò che missione di pace sarebbe. La sinistra, che ha a cuore le misure di sicurezza sul luogo di lavoro, insiste. E la spunta. Oggi i giornali riportano la notizia secondo la quale il governo si è piegato, e invierà gli elicotteri corazzati. Un'altra vittoria del mondo del lavoro. Un’altra vittoria della sinistra.
G.C.D., 23 gennaio 2005

* Altro dialoghetto filosofico (III)
- E se facesse finta?
- Chi? Di che?
- La filosofia, di essere morta. Se se ne stesse lì, a mostrare il bianco degli occhi per sentire che cosa si dice di lei?
- E’ possibile. Ma altri suppone che è bella e defunta, e però è mantenuta in vita, intubata, per accanimento terapeutico.
- Probabilmente ci sono problemi di eredità. Aspettano a certificarne la morte coloro che vogliono mettere le mani sull’asse ereditario. Per rimanere nella metafora - e attenti a non turbare F.A., che come Lei sa, è allergico alle metafore - anch’io sarei interessato alla spartizione.
- Un epistolario? Qualche abito curiale? Una tabula rasa? Una monade sotto formalina? Un eone sottovuoto?
- Mi accontenterei di una fenomenologia delle fenomenologie, in ipertesto.
C.D.B., 20 gennaio 2005

* Dialoghetto alternativo (II)
[E ti pareva… F.A. si è subito inalberato con C.S. e il suo dialoghetto, proponendone un altro. Prevedo che occorrerà qualcuno per dirigere il traffico. Lo Zibalmaster]
- Allora, la filosofia è morta ?
- No, sta benissimo. Mai stata così bene.
- Ma da quando?
- Da quando hanno rinunciato a definirla.
- Nel senso che se non la riconosci non la eviti?
- Ecco.
F. A., 17 gennaio 2005

* Dialoghetto filosofico (I)
- La filosofia è in agonia?
- No, è proprio morta.
- Di onanismo narcisista, suppongo. Un po’ come l’Aiglon. Ma ne è rimasto qualcosa?
- Sì, mille frantumi.
- Beh, teniamoceli, è meglio non buttare via niente.
- Sono rimaste tante piccole filosofie, come i cocci di uno specchio rotto.
- E allora? Meglio mille piccoli narcisismi, che uno solo, magari neo-tomistico.
- Ma non era meglio un bel corpus sistematico, potente come una corazzata?
- Noo! Affondata quella, addio flotta. Meglio tante piccole corvette. Con la ridondanza si dura più a lungo.
C.S., 13 gennaio 2005

* [Riceviamo dal segretario dello snugsI (sindacato nazionale unitario giornalisti sportivi Italiani - cfr. infra, a p. 2)]
“Giù le mani da Di Canio”. Eversore chi? Laziale e fascista. È vero, c’è una certa ridondanza. Tuttavia, per esempio, ricevere ufficialmente un assassino per futili motivi, di nome Savoia, e salutare fugacemente i tifosi romanisti, che in curva sud sono notoriamente fascisti, non sono azioni politicamente comparabili. Eppoi, disponiamo di un’immagine in cui il Di Canio mostra effettivamente un braccio proteso, inclinato di circa 145°, e una mano aperta a spatola; ma è un’istantanea! Chi ci dice che non stesse salutando, sia pure un po’ irrigidito, imprimendo alla mano un moto alternativo complanare?

*[Fujik, new entry]
Dall’inferno dei mari del sudest asiatico arrivano immagini davvero commoventi. Devono esserlo davvero se persino il re dei nervi di ghiaccio – Michael Schumacher – ha rapidamente infilato la mano in tasca per estrarne 10 milioni di dollari. I giornali, commossi dalla commozione dei ricchi e famosi, hanno preso a pubblicare la classifica aggiornata dei donatori. E allora vai con i Bill Gates e i Michael Dell, con gli Spielberg e le Sandre Bullock. Una lista severa e pignola, che evidenzia anche la taccagneria di George W. Bush, firmatario di una mancetta di 10.000 dollari (7.462 euro e 68 centesimi).
Brilla per assenza, finora, il più generoso di tutti, il conducator Silvio. Ma a lui, si sa, non piace farsi pubblicità.
Fujik, 6 gennaio 2005

* Tra i tanti che si alzano in volo dopo le sciagure c’è Emanuele Severino, il cui intercalare, con riferimento alla razionalità della catastrofe e del dolore provocato, è a un dipresso: “un casino, signora mia”, in qualche modo ripreso nel titolo del suo articolo per il Corriere della sera del 3 gennaio “La catastrofe e il destino”. Ferma restando la “nobiltà filosofica del cristianesimo”, riconosce però che non c’è logica allorquando, vangeli alla mano, si pretende che, indifferentemente, colpevoli e innocenti muoiano per un cataclisma, e anche coloro che volessero far penitenza.
E allora, che farsene di una filosofia – il cristianesimo – tanto illogica quanto immorale? Proterva e minatoria, visto che, qualsiasi cosa succeda, torna a ripetere: “Dio non ci abbandona”.
A molti il ricordo è tornato alla “Ginestra” di Leopardi. A me, in particolare a Sebastiano Timpanaro, verde e rosso, leopardiano e marxista (di cui Odradek ha meritoriamente raccolto e pubblicato gli scritti politici). No, non c’è provvidenza.
Se proprio si vuole essere provvidenzialisti, lo si sia in nome di Darwin. Il mondo ha senso, perché qualsiasi cosa di imprevisto accada, può essere ricostruita e consaputa. La “casualità” degli eventi non è affatto assoluta. E lasciamo il destino ai cartomanti e a tutti coloro che ci speculano.
C.D.B., 4 gennaio 2005

* Poi toccherà al caffè. Sorvegliare e proibire. Dapprima, la sbirraglia dei NAF (Nuclei Anti Fumo) si apposterà nei pressi dei bar o delle macchinette automatiche. Dopo un breve corso di formazione sui riflessi, addestrati da cani pavloviani, colpiranno. Basterà il gesto abituale che fa correre la mano alla tasca o alla borsetta. E se sul cadavere non verranno trovate sigarette? E se non era un incallito tabagista? Anche i benemeriti inciampano. Oh, se inciampano.
Poi cominceranno gli studi, le ricerche, i rapporti delle università americane. O mythos delòi oti. Malattie cardiovascolari e impotenza, carie e condilomi, traumi infantili indotti dalla scena di primaria colazione. Lo si sente, la campagna contro i caffeinomani sta per iniziare. Stanno scaldando i motori i fondamentalisti antifumo, fascisti a spasso, alla ricerca di motivi per esercitare la propria intolleranza. “Menamo ai froci?”, ma no, non si fa più. “Allora agli ebrei”, non sarai mica scemo, adesso ci dànno lavoretti… Ci sarebbero i fumatori… Castro fuma. Guevara e Stalin fumavano, Hitler e Mussolini no. Alalà.
G.C.D., 4 gennaio 2005

* La Costituzione se la fa interpretare dai superiori, quando vi giura su, dice “l’ho duro”. Briga per andare all’estero in missione, dopo aver fatto un po’ di conti; in capo a un anno può aprire un bar alla moglie. Si sottopone a corsi di formazione (non di istruzione) cursòri e sommari, mai critici. Domande non ne fa, come da regolamento.
Poi torna e si scopre irradiato e molto impoverito. Protesta perché a lui è andata male, e invoca l’applicazione di quella legalità che andava a distruggere un po’ qui un po’ là per il mondo. E qualche giornale, anziché sanzionare duramente un simile comportamento, gli dà voce. Boh.
C.D.B, 2 gennaio 2005

* Occorre conferire dignità analitica al “Piove governo ladro”. Indipendentemente dalla circostanza per la quale sia o no l’uomo la causa delle catastrofi, è certo che le morti non sono tutte uguali e che, rimanendo nella metafora, ci si bagna in maniera differente, non foss’altro per i panni.
Si fa presto a dire tsunami. La monocoltura del turismo ha concentrato sulle coste del sudest asiatico ricchi europei in turn over – managers rampanti in foia neocol e, giù giù, scendendo di stella, pensionati baby, impiegati del comune, tatuatori new age e agopuntori – ma anche e soprattutto i poveri indigeni, richiamati dall’entroterra a fare i lavapiatti. Lo tsunami è stato una roulette russa per i ricchi europei, ma per i lavapiatti il tamburo era pieno.
La morte perequa? Parce sepultos?
C.D.B., 1° gennaio 2005

### Mach, Marx e l'EcuadorPropongo questo scambio epistolare non tanto per l’oggetto - futile, direi - quanto per il suo esito stupefacente. L’interlocutore, anziché "buttarla in caciara", come si dice a Roma, la butta in filosofia. Mach contro Marx. Come finirà? Beh, dipende dall’arbitro. De Santis?
Zibalmaster

Caro F.,
sono rovinato. Mi hanno indotto - millantando conoscenze profonde e da me non controllate - a scommettere tutti i risparmi di una vita sull'Ecuador, dato 8 a 1 contro la Germania(!).
Mi si rispàrmino le domande impudiche, quelle che di solito fanno i cronisti ai fedeli di Vanna Marchi e Mamma Ebe. O ci si scriva su un saggio: "Della credulità di ritorno".
Sto caricando le povere cose rimaste e una provata moglie – una von di ascendenze danubiane, mica cazzi - su una vetusta automobile per andare a Milano. Andremo a stare nel retrobottega della libreria Odradek, in via principe Eugenio 28, che i munifici padroni mi offriranno in cambio di umili mansioni: pulizia dei locali, guardianìa, cura del cane e commissioni all'ufficio postale…
C.

Caro C.,
dopo l'Ecuador, ti avrei detto di giocarti tutte le vincite sul Messico, ieri sera, contro l'Argentina. E, poi, di rigiocarti l'intero CAPITALE sull'Ecuador, ancora. E sempre. Fatto è che - tu te ne lamenti, ma dovresti essere un po' più marxiano nell'analisi - l'Ecuador ha perso volontariamente contro la Germania e che il Messico ha perso involontariamente contro l'Argentina. L'arbitro ha chiaramente orientato il risultato (mancata espulsione dell'ultimo uomo nel primo tempo) per assecondare il regime e quel piano di assoggettamento ideologico delle masse cui, fin tu, compagno, cedi.
Mai giudicare un evento dal risultato. Il Male relativo, lo sai, chiamasi Pragmatismo. Il Novecento è nato da lì. Che ci trovi, infatti, nella bibliografia di Felice Accame? "Prima del risultato" (Società Stampa Sportiva, Roma 1985).
Un caro saluto,
F., 24 giugno

### Sostiene Pannella
Pannella Giacinto, detto Marco, ha fatto un ragionamento, inequivoco (Corsera, 19 giugno, p. 2). Al limite del sillogismo. Forse per questo io l’ho capito e mi sono trovato d’accordo. Bastasse… L’ho comunicato a F.A. e pure lui ha manifestato incredula adesione.
Con tutto il sospetto che l’individuo suscita, abbiamo rigirato l’argomentazione e non siamo riusciti a capire chi, tra i suoi abituali ispiratori – chiamiamoli così – l’abbia indotto a prendere un così nobile partito. La circospezione è massima. Il trucco sicuramente c’è, ma non si vede. Tuttavia…


Sostiene Pannella

che la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche dovrebbe diventare obbligatoria «nel senso che stamparle dovrebbe far parte della deontologia dei giornalisti» dal momento che «le intercettazioni possiedono una forza invasiva potenzialmente democratica»; tali «colloqui privati dànno un grande contributo alla conoscenza delle cose che accadono. Con la pubblicazione, milioni e milioni di italiani passano da generalizzazioni tipo "la politica è sporca" all’ascolto e alla rivelazione di persone specifiche» mentre, senza pubblicazione «tutto resterebbe patrimonio di 200-300 esponenti dell’oligarchia di destra e sinistra, che userebbero le informazioni per colpirsi reciprocamente, come palermitani e corleonesi». Dunque, tutto in piazza con due sole precauzioni: «non cancellare nulla, sentire la campana degli intercettati».
Forse non se ne è reso conto, ma Pannella ha segato il ramo su cui stava seduto lui e la sua classe.
L’assunto fondamentale della borghesia è infatti quello per cui «i vizi privati sono pubbliche virtù», e la società è il comporsi di trasmutate pulsioni, di inconfessabili interessi, epperò "legittimi". Abbattuto il muro tra vizio e virtù, non esisterebbero più differenze di classe. Già, perché le intercettazioni di chi vive di salario continuerebbero ad essere irrilevanti. Tranne quando trasudano ribellione.
Intercettino pure, lorsignori, e regìstrino senza cancellare nulla!
C.D.B., 19 giugno

### Re, sùbito!
Il Paese, quello vero e profondo, reclama di essere finalmente rappresentato. È stato invitato al Quirinale da Ciampi, e poi a Porta a porta da Vespa. Che si aspetta? È pure juventino.

Caro Zibalmaster,
capisco l’ideale della concisione e lo sprezzante distacco, ma la (tua?) nota "Re, sùbito" mi ha deluso. Un po’ di ridondanza non avrebbe guastato.
È vero. Questo è un paese di faccendieri e puttanieri, corrotti e concussi, mezzani e prostitute, nani e ballerine, cerimonieri e ciambellani, mazzieri e campieri, dedito alle scorciatoie, agli scambi tra clientele, ai ricatti e alle cooptazioni. Un paese pragmatico, in cui le transazioni si fanno scambiandosi “sacchi” di soldi – l’indimenticato presidente Craxi, nel suo studio di piazza Duomo, li riceveva il mercoledì. Quindi, un paese di servi alla perenne ricerca di un padrone troverebbe, nella sudditanza, finalmente, uno status migliore di quello della cittadinanza. Con soddisfazione di tutti.
Diciamolo, e fuor di satira.
C.G. Dekodra, 18 giugno 2006

### Il mercato secondo Luca (Cordero di Montezemolo)
Basta, ci vuole rigore nei conti pubblici! Il presidente di Confindustria lo ripete tutti i giorni.
Basta, ci vuole rigore nei conti pubblici! Ma il taglio del cuneo fiscale deve essere a pioggia, per tutte le imprese. Sarà poi il mercato a decidere quali sono competitive e quali no, ma niente interventi "di programmazione" statalista.
Basta, ci vuole rigore nei conti pubblici! E che scandalo tutte quelle auto blu... straniere. In fondo una Fiat, ma anche una Lancia, costa meno di un Bmw o di un Mercedes, che diamine!

Casimiro, 12 giugno

### Ad atto di guerra, atto di guerra
Un F16 statunitense ha bombardato il corteo funebre che accompagnava le salme dei tre jihadisti impiccatisi ieri l'altro a Guantanamo. Il dipartimento della Difesa aveva definito quelle morti volontarie come "un atto di guerra contro gli Stati Uniti d'America". La guerra infinita continua.

MC, 12 giugno

### Prenditori (L'imboscata di Varese)
Il 5 giugno, Guglielmo Epifani, segretario generale della CGIL, partecipando alla tavola rotonda dell'assemblea annuale degli imprenditori di Varese aveva detto: flessibilità e precarietà "non sono la stessa cosa, sono due concetti che rappresentano due realtà non sovrapponibili. Se distinguiamo la flessibilità dalla precarietà, penso che possa esserci un'azione comune sia nell'interesse del sindacato e anche delle imprese". Offriva una mediazione, né leggera né ignobile. Subito dopo, allorché ricordava che "nella storia della Cgil la cultura dei doveri è sempre stata molto forte", un lungo brusio ha cominciato a sollevarsi dalla sala. Alla contestazione sempre più forte, fatta di mormorii a volume sempre più alto, il leader del sindacato ha replicato ricordando fra l'altro "furono gli operai che nel '43 difesero le fabbriche dai nazisti". Ma anche in questo modo non è riuscito a ottenere il silenzio della platea e, nonostante gli inviti alla calma, il suo intervento è stato continuamente interrotto dalla sala, costringendolo ad andarsene.
Il presidente degli industriali, Montezemolo - uno che "sport e intrapresa sono sovrapponibili", e indistinguibili - ha voluto usare una metafora sportiva, precisando di approvare "l'atteggiamento di Epifani, anche perché giocava fuori casa".
Che lo sport sia diventato intrapresa, si sa, ma come la mettiamo con l'intrapresa che diventa sport, con il corredo di supporters, coretti, e se occorre, assalto al torpedone della squadra avversaria? E se la partita viene sospesa, il 2-0 a tavolino? E chi fa l’arbitro? Però poi è incorso in un gioco di parole traditore: "gli imprenditori che fischiano non mi piacciono: non sono imprenditori ma prenditori". Di cosa mai? di plusvalore? Maddài.
cdb, 11 giugno

### Non è tornato dalla battagliaAncora era caldo il cadavere di Al Zarqawi, e già ci si preoccupava di trovare un paragone iconografico calzante. Il quotidiano "Libero" si è ispirato all'America latina, ma non per esaltare l'ex capo di Al-Qaeda. Semplicemente, si è fatto di Che Guevara un tagliatore di teste. Io mi ricordo di Salvatore Giuliano; dopo il suo assassinio i carabinieri, al solito, posarono accanto al suo cadavere per la foto rituale. Il trofeo di guerra si espone da sempre, è qualcosa di atavico. Si ricordino, quando non c'era ancora la fotografia, le teste infilzate sulla punte delle lance, le crocifissioni lungo il ciglio della strada, gli impalamenti sulle colline più visibili. Ieri, come oggi, tutta questa esposizione serve allo scopo di intimorire chi resta. E quando riguarda noi, ci indigniamo. Le decapitazioni via internet operate da Al Zarkawi hanno fatto sì che la morte del jihadista giordano sia stata vissuta come una liberazione, qui in Occidente. Quando però riguardano gli altri - e non si vedono - è come non esistessero. Eppure, gli effetti di una bomba intelligente sono ben peggiori di quelli di una sciabola. Il corpo viene smembrato, volano braccia e gambe, la carne si fonde con il pavimento. Anche questa è una morte orribile. Spesso, inoltre, quei corpi appartengono a donne e bambini. Sono gli effetti collaterali, che ci vuoi fare. Allla guerra come alla guerra. Ognuno, dice bene Gianni Vattimo, combatte come può, come sa.
Noi italiani ci stiamo distinguendo per non sapere fare né la guerra né la pace. Siamo in missione di pace, ci raccontano, ma i nostri soldati vengono colpiti solo quando stanno compiendo pattugliamenti o scorte armate. Perché, mi chiedo, non li fanno saltare per aria mentre distribuiscono medicinali o patate, che sarebbe un po' più semplice? Forse perché non li distribuiscono così spesso, mi viene da rispondere.
Si tratta di giovani in cerca di un futuro migliore, dicono i telegiornali ogni volta che ne muore uno. Legittimamente, un futuro migliore anzitutto per sé: per comprare una macchina più potente, un mutuo, un progettino. Tutto lecito, tutto normale. Sono uomini e caporali nello stesso tempo, che ci vuoi fare. Io non saprei fare di meglio. E infatti sono qui, non là.
Dove non esistevano mutui da accendere né cavalli da aggiungere al motore, qualcuno scrisse questi versi per ricordare il compagno morto in guerra. Non era neanche tanto tempo fa. Corrisponde al mio modo di vedere la guerra. Si intitola Non è tornato dalla battaglia.

Perché tutto è diverso, anche se niente è cambiato
Lo stesso cielo - ancora azzurro,
lo stesso bosco, la stessa aria e la stessa acqua,
solo che lui non è tornato dalla battaglia.
Adesso non riesco a capire con chi di noi aveva ragione
Durante le nostre dispute insonni e inquiete,
ha cominciato a mancarmi solo adesso
che non è tornato dalla battaglia .
Lui taceva a sproposito e cantava fuori tempo,
lui parlava sempre di qualcos'altro,
lui non mi lasciava dormire - si lavava alle prime luci dell'alba,
ma lui non è tornato dalla battaglia.
Non si tratta del vuoto che ha lasciato,
all'improvviso mi sono reso conto che eravamo in due.
È stato come se il fuoco fosse stato spento dal vento,
quando lui non è tornato dalla battaglia
sfuggita dalla prigione, la primavera erompe.
Per sbaglio l'ho chiamato:
- Ehi amico! Piantala di fumare! E in risposta, silenzio.
Ieri non è tornato dalla battaglia.
I nostri morti non ci lasceranno nella disgrazia,
i nostri caduti saranno come sentinelle.
Il cielo si riflette nel bosco, come se fosse acqua
E gli alberi si ergono azzurri.
Sul pianeta, di posti ne abbiamo in abbondanza,
e il tempo scorreva per entrambi.
Adesso tutto questo è solo per me. Solo che mi sembra
di essere io quello che non è tornato dalla battaglia.
Vladimir Visockij
MC, 10 giugno 2006

### La libertà avanza.
I dilemmi bioetici del paese, infatti, sono stati affidati
alla coscienza del ministro dell’interno.
Casimiro, 6 giugno

### Regolamento di conti (2)
Corsera del 25 maggio, nella prima della Cultura, a tutta pagina, dà notizia di altro regolamento di conti, anche questo incruento e molto manierato, tra Castelvecchi Alberto, noto editore trash, e non meglio precisati antifascisti/e (vedi la nota "Irruzioni" in bacheca). Occhi tonti, sono scesi dal camion, e con il loro incedere un po’ incerto e dondolante (ma non sono Wobblies, per carità, non sanno nemmeno chi sono; zombies, semmai), un po’ fumati e stremati per aver compilato un accidentato volantino ("punto, due punti, punto e virgola") sono andati con il cappello in mano a chiedere a cotanto editore rispettosamente conto della pubblicazione del libro fascio – non già di essere andato a presentarlo a Casa Pound.
Anche qui il medesimo cortocircuito (vedi infra: chi sputa nel piatto di chi?) tra l’"editore di riferimento" e ciò che rimane del "movimento".
– "Proprio Lei, che ci ha insegnato tutto quello che sappiamo…", immagina Bachemaster abbiano esordito gli i/e.
– "Non avete imparato abbastanza, tonti che siete. L’antifascismo è superato, e il postmoderno non fa sconti. Avanti verso nuove avventure… ", immagina Zibalmaster abbia tagliato corto l’editore della "Storia delle mutande".
Zibalmaster, 1° giugno

### A proposito di durata dell'impegno semantico
Il 29 maggio 2006, quando è ancora allenatore di una Juventus travolta dai propri flutti, Capello viene intervistato dalla "Gazzetta dello sport". Sulle prime si parla della sua disponibilità, nel caso, ad allenare la squadra anche se dovesse essere condannata a disputare un campionato di serie B e lui, evadendo, risponde che lui si dice convinto che la squadra giocherà in serie A e che, per questo, sta "lavorando". "Ma persino il nuovo amministratore delegato", incalza l'intervistatore, "si augura che lei rimanga, se la Juventus retrocedesse...". E lui risponde: "Io sono uno concreto. Per me i "se" e i "ma" non esistono". Punto. Peccato che, nell'immediato prosieguo del dialogo, Capello dica quanto segue: "Se avessi mai saputo che c'era qualcosa sotto, gliel'avrei detto, no? Nelle intercettazioni si parla di alcune cose, ma che poi si siano avverate è un altro discorso".
F. A., 30 maggio 2006

### Regolamento di conti (1)

Basta stazionare sul margine sociale, e quando si finisce in cronaca per un diverbio con qualche sodale ecco comparire l'infamante e stereotipica espressione giornalistica "regolamento di conti". Espressione che non risulta sia stata utilizzata a proposito dell'alterco tra Berlusconi Barbara e Costanzo Maurizio. Eppure l'ambiente, non commendevole, è lo stesso : Mediaset; e anche la loggia massonica P2, direttamente per il Costanzo, conduttore, anni 68 e, per li rami, per la Berlusconi, giovine erede, anni 21 (ma, si sa, le colpe dei padri non ricadono sui figli. I patrimoni, in compenso, sì). La "giovinetta", educata secondo principi steineriani, non ama i reality e nemmeno "Buona domenica", cioè non ama i cassonetti della spazzatura. Fin qui, tutto bene. Non esita a dirlo, e lo manda a dire. Costanzo Maurizio si adonta. E la chiama "giovinetta". Berlusconi Barbara prende cappello e dichiara: "Mi ha chiamato giovinetta. Ha offeso tutti i ragazzi". Il cortocircuito è evidente. Sarà pure steineriana, ma Berlusconi Barbara reagisce con l'onnipotenza della sua generazione, quella liberata dalla De Filippis Maria - ma sì, quel photofit femminile con voce maschile, che intrattiene vari commerci con il Costanzo Maurizio - la prima generazione autoreferenziale, che proprio nei reality tipo "Grande fratello" si è potuta completamente rispecchiare e fare branco. Senza contraddittorio.cdb, 22 maggio

### Biopolitica. Una definizione

Su Indymedia, in margine alla querelle sul manifesto del 25 aprile [riportata nella Bacheca elettronica], è apparso il seguente messaggio. Probabilmente, e auspicabilmente, è ironico, tuttavia risulta essere una definizione molto esemplificativa, diretta e ostensiva della Biopolitica. Se queste sono le modalità di resistenza nei confronti del Biopotere, noi stiamo freschi, e il Biopotere al calduccio.Ssissì, abbasta cò questo communismo, che palle, noi siamo i gggiovani e nun ce nfrega un cazzo delle vostre pippe mentali su salarioprofittorendita. Noi volemo solo beve, fumà e ascoltà tanta musica ggiovane, ma nò vviolenta, perchè la violenza è brutta e vecchia, e ppoi er comunismo ha fatto 80 milioni di morti e quindi non ci piace. Tenetevi bbaffone, barbone e pizzetto, noi se tenemo gigghe robbò e capitan arlock, sticazzi se è usato dai fasci, ME NE FREGO!!!
Anzi, perchè ce l'avete tanto coi fasci? che v'hanno fatto? boh...
by ggggiovane Tuesday, May. 09, 2006 at 1:06 PM
Zmaster, 12 maggio

### Il sorpasso del polacco (da parte del ceco).Zdenek Zeman. Santo sùbito!Zmaster

### Un contributo alla concordia.

L'Italia è spaccata in due, come una mela. La Casa delle libertà è la metà col verme.Carlo S., 9 maggio

### Giusto il 30 aprile 2006, F.A., da Radio Popolare lanciava nell’etere questo circostanziato ammonimento relativo al ritorno del nucleare. Pur non essendo un aforismo, ma un ragionamento non-bertinottiano (vedi sotto la nota di Dekodra), lo pubblichiamo a futura memoria.
Giorni di fuoco
In una conferenza al MIT di Boston nel 1947, Julius Robert Oppenheimer, un fisico che camminava come Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco cui gli Stati Uniti d’America affidarono la direzione dei complessi lavori per la costruzione della prima bomba atomica, ebbe ad affermare che, con l’energia nucleare, "i fisici hanno conosciuto il peccato". Non è stato il solo, tra i fisici in quegli anni, ad adottare improvvisamente un linguaggio religioso per esprimere la propria costernazione.
Con l’argomento più ignobile di tutti – "lo fanno tutti" –, il prossimo governo virerà decisamente verso la costruzione di centrali nucleari. Sputeranno sull’esito del referendum del 1987, seppelliranno l’incidente di Chernobyl come il frutto ovviamente bacato del bacato sistema comunista all’interno del quale si è prodotto, dimenticheranno che, fra il 1969 ed il 1979, negli impianti americani erano già stati contati contosessanta incidenti che, a detta degli esperti, avrebbero potuto portare alla fusione del nocciolo, essendoci arrivati in alcuni casi molto vicino, nasconderanno alla bell’e meglio tutto il poco rassicurante – compreso l’incidente inglese dell’aprile dell’anno scorso, a Sellafield, incidente in grazia del quale, sono stati riversati nell’ambiente circostante 83.000 litri di liquido radioattivo –, nasconderanno tutto e andranno avanti. E’ da tempo che i migliori affari si fanno con i sedicenti governi di sinistra.
In considerazione del fatto che, dagli schermi televisivi e nelle pagine dei giornali, si parla dell’antinuclearista come di una figura di mentecatto emotivo e troglodita, in via di estinzione o praticamente estinto, dico perché io sono fermamente contrario alla costruzione di centrali nucleari – qui come altrove. Non sono contro la scienza, anzi, penso che in nulla la procedura scientifica si distingua dal modo con cui chiunque cerca di risolvere i propri problemi o di spiegarsi quel che non gli torna del tutto chiaro. Come tale, la scienza è un processo aperto per definizione, non limitabile da confine alcuno. Ma quando tramite questa scienza si ottengono dei risultati di cui non si ha il pieno controllo – come è il caso, per fare un esempio, delle scorie radioattive –, prudenza e responsabilità sociale vogliono che si lasci perdere. Nel 1945, quando, prima degli immondi crimini di Hiroshima e di Nagasaki, si è fatto il primo esperimento di far scoppiare una bomba atomica, alcuni fisici dello stesso progetto Manhattan avevano il dubbio che lo scoppio avrebbe potuto propagarsi all’atmosfera terrestre e non avevano la benché minima idea del modo in cui avrebbe potuto arrestarsi. Visto che siamo qui a ricordarlo, le cose, poi, non andarono così, ma è indubbio che, considerato lo stato d’incertezza, avrebbero dovuto fermarsi. Non si sono fermati perché gli scienziati erano servi del potere politico e militare.
Quando Dio si diverte a mettere alla prova Abramo ordinandogli di sacrificargli il figlio Isacco, Abramo non si porta dietro soltanto la legna – che, anzi, la fa portare ad Isacco –, ma si porta dietro anche la brace del focolare, per esser certo di non dover star lì a bestemmiare per accendere il fuoco. Nel Levitico (6, 13), si ordina che il fuoco del santuario arda di continuo e in Maccabei (1, 19-22) il focolare acceso è sacro. Nel Vangelo di Giovanni (1, 4 e 9), Cristo, la Parola, Colui che è, è luce degli uomini, ma in Luca (12, 49) questa luce porta il fuoco sulla Terra: "Io son venuto a metter il fuoco in terra" – e, tanto per esser chiari fuor di metafora, "Pensate voi che io sia venuto a metter pace in terra ? No, vi dico, anzi, discordia" (Luca 12, 51). Matteo (3, 11) fa dire a Giovanni Battista: io vi battezzo con acqua, ma quello che viene dopo di me – e non si riferisce ad Oppenheimer – è più forte: "Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco" e Luca (3, 16) conferma: Spirito Santo e fuoco.
E anche su Dio non ci si può sbagliare: nel Deuteronomio (5, 24-25) la sua voce è udita "in mezzo al fuoco" e in Ebrei (12, 29) Dio è un fuoco divorante.
Fuochi perpetui, focolari più e meno metaforici, roveti ardenti, fornaci fumanti, colonne di fuoco che guidano gli Ebrei nell’Esodo e lampi sul monte Sinai, insomma, sono ingredienti indispensabili per la preparazione di un buon cristianesimo.
Dopo "così fan tutti", pertanto, alla causa del nucleare prossimo venturo, non poteva mancare "Dio lo vuole". Ha ritenuto opportuno ricordarcelo nei giorni scorsi, in un’intervista a Radio Vaticana, il cardinale Renato Martino, uno che non camminerà come Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco, ma che sa andare ugualmente dritto allo scopo: che la Chiesa mai e poi mai è stata contraria al nucleare; che, anzi, è sempre stata favorevole; che già nel 1957 la Santa Sede fu tra i fondatori dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica; che, se il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, al paragrafo 43, dice, bontà sua, che bisogna "elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare", vuol dire che, da parte loro, la costruzione di nuove centrali nucleari non si discute. E auspica anche, il cardinale, con un argomento che la dice lunga. Più lunga di quel che vorrebbe.
Per il presente, auspica, il cardinale, "un approccio non ideologico al tema dell’energia nucleare per uso civile" e spiega: "non ideologico (…) nel senso di pragmatico, non guidato da preconcetti pro o contro, ma" – e qui viene il bello – "ma inteso a realizzarne l’uso più sicuro". E’ l’esempio perfetto da ricordarsi ogni qualvolta qualcuno ci parla dell’esigenza di discutere di qualcosa in termini "non ideologici" – come se una discussione in cui gli interlocutori non applicano valori fosse sensata e possibile: è un imbroglione. Ogni qualvolta abbiamo a che fare con questo argomento sappiamo che chi lo fa proprio è un semplice ed inequivocabile imbroglione. Infatti lui dice: parliamone, senza preconcetti, ma di che? Dell’opportunità del farla o non farla e dei criteri da condividere per definire questa opportunità? No. Lui dice che dobbiamo parlare dell’"uso più sicuro". "Uso" ? Allora, vuol dire che, mentre fai finta di discuterne con me, la centrale nucleare l’hai già fatta.
Note
Il discorso di Oppenheimer è ricordato da Giancarlo Sturloni in un libro dedicato ai disastri della grande scienza e della tecnologia avanzata, Le mele di Chernobyl sono buone (Sironi, Milano 2006, pag. 223). "Basta seppellire il torsolo bene in profondità", conclude la barzelletta russa citata in apertura. Al libro di Sturloni debbo anche altre informazioni preziose. Il giudizio sull’andatura di Oppenheimer, invece, è del fisico Isaac Isidor Rabi. Cfr. R. Rhodes, L’invenzione della bomba atomica, Rizzoli, Milano 2005, pag. 743. Per le dichiarazioni del cardinale Martino, cfr. L. Accattoli, Il Vaticano: sì all’energia nucleare per uso civile, in "Corriere della Sera", 24 aprile 2006.
F.A., 30 aprile 2006

#Ahi! Prodi!! presàgo procombente
nei profluvî di prefàte premonizioni
già self-fulfilling prophecies
da procaccianti prèfiche e
im-produttivi prevaricanti prèsuli
preclari né mai precari
propalate - propiziate
[ buon pro ci faccia ]

Marco-Luciano Ragno

17 aprile 2006

# «Il ragionamento, sul terreno della cultura politica, non è nient'altro che uno sviluppo e un'attesa di accelerazione che ancora manca», F. Bertinotti, risposta a Valentino Parlato nell'intervista apparsa su il manifesto del 22 marzo 2006, dal titolo ugualmente inquietante ed elusivo: Comunisti oltre il comunismo. Il ragionamento sarebbe altro e invece, sarebbe un razionale prendere tempo in attesa che qualcosa succeda. È la politica, si dirà. Sì, ma perché scomodare il "ragionamento"?C.G. Dekodra

* Ripropongo questa considerazione essenzialmente contro coloro che hanno il culto del genere, letterario of course. Zibalmaster

# Un editore presente alla Fiera raccoglieva risposte degli altri editori alla domanda che cosa fosse mai un libro. Odradek ha risposto: un frattale. Risposta criptica, apparentemente elusiva, ma volta a distinguersi da tutti coloro che di un libro privilegiavano i contenuti, su quelli ancorando la risposta. Il libro è un frattale perché i suoi contenuti, secreti o affastellati che siano, hanno da raggiungere una forma per essere ritenuti, risultando così parte di una configurazione più ampia. Come la tessera di un mosaico, che la sua forma ce l’ha, magari abbozzata. Il libro ha una forma che rimanda ad altre forme, con queste sviluppando un’architettura costituita da intersezioni e rimandi. D’altra parte un libro da solo non esiste – con buona pace dei cultori di libri sacri, per i quali ne esiste uno solo – così come non esiste una parola sola. Il libro è un frattale perché ne contiene altri, e ad altri rimanda, secondo una logica da scoprire e da esibire, e di cui ciascuno è responsabile.

# L'opposizione di sua maestà(II).

Dal Corriere della sera, 7 febbraio, p. 31, apprendiamo che il lieve Bertinotti, ospite de Il Sole-24ore, si è lasciato andare a una stupefacente e sconveniente difesa del capitalismo italiano; secondo colui che vuole diventare presidente della Camera «non è straccione» e non c'è «una condizione genetica di inferiorità della nostra borghesia imprenditoriale». È toccato al liberista Francesco Giavazzi ristabilire un po' di decenza ricordando che «in Italia molti imprenditori non innovano più perché lavorano in settori protetti».

# L'opposizione di sua maestà(I).

«Non mi permetterei mai di mettere in dubbio la parola del Presidente del consiglio», F. Bertinotti, rivolto a S. Berlusconi, in Porta a porta dell'11 gennaio 2005.

#  il manifesto del 9 novembre ha maliziosamente (?) riportato un documento dell’Assemblea nazionale degli studenti universitari, dei ricercatori precari, degli studenti medi, presumibilmente di obbedienza “negrian-disobbediente” che tra l’altro recita: «Ci siamo ripresi i nostri tempi e i nostri spazi, attraverso blocchi della didattica, scioperi della frequenza, occupazioni delle facoltà, autogestione di aule. Perché i nostri tempi di vita e di formazione sono radicalmente incompatibili con la gabbia dei ritmi che ci stanno imponendo. Il tempo dell'università deve adattarsi al nostro: vogliamo una radicale diminuzione dei ritmi di studio e rifiutiamo l'obbligatorietà della frequenza. Vogliamo studiare con lentezza [in corsivo nel testo]».
Un ossimoro li seppellirà. I padri chiedevano il salario garantito, i figli pretendono di studiare con lentezza, volendo verosimilmente prolungare la loro condizione di studenti mantenuti. Per cogliere l’ossimoro “salario garantito” occorre una qualche dimestichezza con la teoria marxiana, ma "studiare con lentezza" esibisce tutta la sua ripugnante contraddizione. Svogliati!
2 dicembre, C.G. Dekodra

 

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