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Alessandro Pera
AFA

SELEZIONATO AL PREMIO STREGA 2000

pp.88 € 6,50

 

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"Anche il metallo della pistola è infuocato, di un calore innaturale. Già di mattina l'afa sembra opprimente come un incubo bianco e piatto. Alvaro si veste in fretta, furibondo, ma il contatto con la pistola è troppo sgradevole. Il sudore opprime i sensi; neanche il tempo per una doccia. Contrariamente alle sue abitudini, si infila una canottiera di quelle da stupido, di vecchio tipo. Sopra di nuovo la maglietta scura, quella un po' larga, che nessuno veda l'arma."

6 racconti di ordinario horror urbano, splatter della coscienza, in cui la modalità di scrittura privilegia il ritmo sincopato delle sceneggiature cinematografiche. Racconti di strisciante guerra civile, di passione politica virata al nero e dispersa nei brandelli di una realtà ottusa, a tratti feroce, indifferente o sottilmente persecutoria; un mondo stremato e straziato nel quale si può uccidere e morire per un motivo spietato e insensato, in una periferia metropolitana inginocchiata, gravata da una cappa, che non è solo quella atmosferica a cui fa riferimento il titolo.


Una sorta di spossatezza interiore ottunde i sensi e stordisce o esaspera la capacità di reazione. Un brulicare di persone che si smarriscono quotidianamente nei loro faticosi percorsi urbani, scolpite dai dolori, costrette a trovarsi pelle a pelle - coro di condannati senza solidarietà - e a condividere oscuri segreti e congiure di sopravvivenza.
Una realtà che pur nella sua torpida banalità rigurgita presagi e minacce striscianti e perturbanti. Si può trattare di un fetore ripugnante (Inquilini), che si macera misteriosamente nell'androne di un palazzo producendo reazioni sconnesse e concitate, un miasma soffocante che porta con sé l'odore acido dell'intolleranza, della persecuzione, della morte.
Oppure ci si può trovare inconsapevoli vittime della clemenza di una imperscrutabile corte di giustizia (La favola del condannato), in un gioco di ribaltamenti secondo il quale la peggior condanna risulta poi proprio quella di dover vivere la propria vita di sempre, la fuga una dimostrazione di innocenza, il carcere un auspicato sollievo, il caos l'unica contromisura al caos.
A volte si vorrebbe con le parole fermare le cose o addirittura cambiarle; questa è forse la vera missione dei poeti.

"Alcuni graffiano il muro dell'infamia con un segno, lanciano un grido, mordono la mano che li percuote... Ma non a tutti è dato: decifrare il giusto e l'ingiusto è difficile come segnare nuovi confini sul suolo": sono le parole del Maestro di scrittura, protagonista di uno dei racconti. In uno scenario di guerra civile questa decifrazione avviene nel sangue e col sangue. Al poeta che soffre si affianca il poeta combattente; a tenerne insieme le anime rimane il maestro, osservatore e testimone più del passato che del presente.

Resta la sorpresa di un autore che sa affiancare alla capacità mimetica - rispetto alle modalità di espressione della più desolata periferia urbana - una straordinaria capacità di evocare immagini che scalfiscono non superficialmente il muro, giocando sui diversi registri del linguaggio metropolitano, senza divenire vittima di nessuno di essi.

Una recensione di David Frati. Sta in:

http://www.lettera.com/libri/libro.jsp?id=5664

Sei racconti. In una torrida giornata d’agosto, Alvaro cerca la sua amante Marina per ucciderla, perché gli ha rubato una grossa cifra per acquistare cocaina; un condominio viene sconvolto da un’orribile e persistente puzza che invade la tromba delle scale; in una cittadina assediata un ragazzo frequenta una scuola di scrittura creativa; un tribunale condanna un uomo ad una pena davvero insolita: vivere la propria vita; uno scrittore osserva i suoi compagni di viaggio su un affollato autobus cittadino; una ragazza sogna ad occhi aperti in un bar durante la pausa-pranzo...


Afa: Kafka al capolinea del 719
Alla fine del mese, come era venuto, l’odore sparì nella notte come un inascoltato presagio.
Un gruppo di figure indistinte, un’immagine distorta dalle vampate di calore che salgono dall’asfalto. Periferia desolata, sole che brucia, odore di benzina. C’è un malavitoso di borgata, stretto nella canottiera sudata, la pistola nella cintola; c’è una donna senza tetto, che parla da sola e si guarda intorno con circospezione, circondata da chissà quali incubi; c’è un gruppo di condomini inferociti, lo stesso sguardo del branco di contadini armati di torce e forconi che assediano il mostro in fuga nel finale di Frankenstein; c’è una contadina cinese, calli alle mani e sguardo metà saggio metà animale. I protagonisti di racconti di ordinario terrore urbano, le vittime di un’afa che non è solo barometrica ma anche spirituale: una spada di Damocle, un peso sullo stomaco, una zavorra dell’anima, una museruola. L’esordiente Alessandro Pera si presenta con un’antologia di racconti (selezionata al Premio Strega 2000) emozionante ma un po’ troppo eterogenea: il noir metropolitano dei primi racconti della raccolta, pieno di energia acerba ma sincera, lascia infatti gradualmente posto ad una vena surreale meno sorprendente e grintosa, ma comunque in grado di regalare episodi efficaci come “La favola del condannato” e “Il maestro di scrittura”. Un autore promettente, capace di giocare “sui diversi registri del linguaggio metropolitano senza divenire vittima di nessuno di essi”, come recita correttamente la quarta di copertina.

David Frati

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