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Amadeo Bordiga
Mai la merce sfamerà l'uomo
La questione agraria e la teoria
della rendita fondiaria secondo Marx

introduzione e cura di Rita Caramis

pp. LVIII-286 € 24,00

ISBN 88-86973-62-4

 

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«Più il capitalismo dissoda ed incivilisce, più costruisce […] la fame. Eppure occorre che dissodi.»

La teoria della rendita di Marx «vale a stabilire in modo irrevocabile la limitatezza storica della maniera capitalistica di sciogliere il rapporto tra produzione e consumo delle collettività umane […] le necessità alimentari di queste non saranno mai risolte dal processo dell’accumulazione del capitale, per quanto possa procedere la tecnica, la composizione organica del capitale, la massa di prodotti ottenibili dallo stesso tempo di lavoro. Necessariamente al moderno antagonismo di classi sociali corrisponde la formazione di sopraprofitti, il nascere di rendite assolute, l’anarchia e lo sperpero nella produzione sociale. La equazione capitalismo uguale fame è irrevocabilmente stabilita. […] Per quanto la sfera della produzione degli alimenti sia fondamentale nella dinamica di ogni società, la teoria marxiana della rendita è parte centrale della descrizione del modo di produzione capitalista: diremo che ne è dal punto di vista rivoluzionario e antipossibilista la parte decisiva.»

Dal risvolto:
« Questo testo, uno dei pochi che circola con il nome del suo autore – che ha sempre propugnato l’anonimato nella pubblicistica – è anche quello che maggiormente può rappresentare il suo pensiero, integrando momenti teorici e politici, ma soprattutto entrando nel cuore della critica dell’economia politica marxiana. Il testo risulta inoltre di straordinaria attualità perché valorizza la centralità della teoria della rendita che soltanto la recente, inaspettata e devastante crisi energetica ha riproposto come ineludibile. Il meccanismo infernale dello sviluppo capitalistico trova così nella terra e nella rendita un limite invalicabile – un limite naturale, fisico – che non può essere aggirato da nessuna politica e da nessuna guerra: perché, comunque, il prezzo delle merci necessarie fornite dalla terra (cibo ed energia) è destinato a crescere. Sono qui anticipate le tematiche dell’ambientalismo e sorprendentemente difesi i “diritti della Terra” in maniera certamente né occasionale né contingente, individuando l'intreccio sempre meno districabile tra crisi del sistema economico e crisi ambientale. Se il nocciolo teorico è duro, in compenso lo stile è diretto e frizzante, ironico e arguto, alieno da tecnicismi, e ricco di riferimenti alla vita quotidiana.»

AMADEO BORDIGA (1889-1970), promotore della scissione di Livorno e della fondazione del Partito Comunista d’Italia, è stato alla guida del PCd’I dal gennaio 1921 all’autunno 1923; nel 1920 a Mosca, concorre all’organizzazione della Terza
Internazionale. Oppositore del regime fascista, viene arrestato nel 1923 e confinato dal 1926 al 1929. Dopo la sconfitta della “sinistra” al Congresso di Lione del 1926, viene espulso dal partito nel 1930. Accanto all’attività professionale di ingegnere edile, attento a tematiche sociali ed “ecologiche”, si dedicherà a un intenso lavoro teorico e poi pubblicistico. Profondo conoscitore e interprete della teoria marxiana come strumento scientifico e fondamento del programma comunista, dal 1945 al 1952 contribuisce al Partito comunista internazionalista (dal 1965 Partito comunista internazionale).

 

Lillo Testasecca ha scritto una utile recensione su Cassandra.

 

Nota editoriale a Mai la merce sfamerà l'uomo

L’uscita di questo libro cade quando la più grave crisi capitalistica, a far tempo da quella del 1929, si mostra con una forza tale da non poter essere più negata. Crisi sistemica, con ogni evidenza; una crisi finanziaria, innescatasi però a partire dalla crisi energetica che ha fatto impennare il prezzo del petrolio, cioè di una merce non riproducibile capitalisticamente il cui prezzo entra, direttamente o indirettamente, nel prezzo di tutte le altre merci – proprio come il prezzo della forza lavoro – ma nel cui prezzo la rendita rappresenta un limite che non dipende, o dipende poco, dalla concorrenza.
Mai la merce sfamerà l’uomo ha un sottotitolo “pesante”, inequivoco e sorprendente non solo per coloro che si rifanno a una delle tante vulgate del marxismo, ma anche per i molti che, magari filologicamente e approfonditamente, si sono applicati allo studio del marxismo senza mai giungere al cuore della teoria, custodita nella sesta sezione del III libro del Capitale, probabilmente supponendo che lì si trattasse, per “dovere” di completezza, di un aspetto della materia economica – nonostante i due metri cubi di appunti del Nachlass sull’agricoltura in Russia, nonostante Marx abbia dedicato all’agricoltura (e alle miniere) più pagine di quante abbia dedicate all’industria.
Ora, per spezzare l’asintoto che spinge verso la fine senza che mai la si possa raggiungere, per rompere questa specie di muro di gomma che respinge e protegge quanto pur di risolutivo è contenuto nelle pagine finali dell’opera, è necessario “cominciare dalla fine”, a partire anche dalla circostanza che il III libro è stato scritto anteriormente al primo. È ciò che fa Bordiga, o per lo meno tratta della rendita, in quanto parte significativa del prezzo delle derrate alimentari e quindi del prezzo della forza lavoro.
Insomma, nel momento in cui lo sviluppo storico dei rapporti di produzione conduce il lavoro a una forma completamente estraniata (si produce non per sé ma per il mercato) – “la forma delle condizioni di lavoro estraniata dal lavoro, resa autonoma nei suoi confronti e così trasmutata” – ecco, in un momento storico così particolare, tutto si estrania personificandosi: così come i prodotti del lavoro umano divenuti merci diventano una potenza autonoma nei confronti dei produttori, anche la terra si personifica nel proprietario terriero, il capitale nel capitalista, il lavoro nel lavoratore salariato, e tutto appare come naturale.
L’esempio lampante e chiarificatore è proprio quello offerto dalla terra: «... così che non è la terra che riceve la parte del prodotto che le spetta a sostituzione e incremento della sua produttività, ma è il proprietario fondiario che ottiene, al suo posto, una parte di questo prodotto per sperperarla e dissiparla», Il Capitale, III, p. 938. Occorre sottolineare due aspetti: i. uno spunto “verde”, da ambientalista ante litteram, ripreso peraltro in altre parti della sesta sezione; in due righe è contenuto il nocciolo del discorso sull’“ambiente”, più che in tanti libri messi insieme: la parte di plusprodotto appropriata dalla rendita, che in rapporti di produzione più evoluti e non capitalistici andrebbe a sanare il depauperamento della terra (sia con investimenti diretti, sia, indirettamente, studiando tecniche meno distruttive), viene invece spesa improduttivamente (in merci di lusso, prodotte capitalisticamente) per riprodurre il presente rapporto di produzione, attraverso la riproduzione di una delle due classi proprietarie; e ii. il presupposto che il vero fondamento di una critica alla rendita non è la notazione moralistica per la quale c’è chi non produce eppure consuma, ma appunto quella per cui, per riprodurre l’attuale società – di cui la rendita è uno dei tre elementi fondamentali: la rendita capitalistica, appunto – non si esita ad incrementare la distruzione dell’ambiente perseguendo comunque e sempre la valorizzazione del capitale (deforestando, cementificando, consumando, come merci, beni non riproducibili).
Rilevante è il continuo riferimento di Marx al “globo terrestre monopolizzato”, punto d’arrivo di un processo, che si compie giusto nell’Ottocento, di un processo che vede l’appropriazione privata di tutta la terra disponibile nel pianeta. Proprio quando i socialisti si limitavano a manifestare la loro insofferenza nei confronti della rendita considerata un retaggio di passati modi di produzione – da appropriare e redistribuire: ai poveri? ai funzionari? all’industria? –, Marx ne coglie la trasformazione in senso capitalistico, la sua cooptazione e sussunzione: questo è il senso dell’insistenza sul “globo terrestre monopolizzato”. Insomma, non c’era poi tutto questo bisogno di scrivere qualche migliaio di pagine a stampa per convincere e convincersi che una classe sfrutta il lavoro di una seconda mentre una terza si riproduce consumando parte della ricchezza prodotta in concorso tra le prime due senza nemmeno partecipare alla produzione.
Tutto ciò acquista dignità di problema scientifico quando si voglia invece esibire la “razionalità” complessiva del sistema dei rapporti sociali; quando si voglia misurare la ricchezza prodotta sulla base dello sfruttamento (grandezza a sua volta misurabile), non solo, e si pretenda, una volta conosciute le condizioni di produzione (la composizione del capitale impiegato), si pretenda di individuare le condizioni della riproduzione, ossia la quantità e la qualità dei redditi nei quali si scompone la ricchezza prodotta, una volta reintegrate le quote di ammortamento del capitale.
Altro che «eutanasia del rentier». A partire dal concetto stesso di “sistema organico”, ancorché capovolto, il rentier, lungi dal lasciarsi morire, più o meno dolcemente, viene addirittura evocato e posto in essere anche là dove non esisteva la proprietà della terra. In Marx non c’è “eutanasia del rentier”, ma la continua ridefinizione e ricollocazione della rendita a partire dalla prima sua trasformazione: da appropriazione del pluslavoro (come corvée) e del plusprodotto (come decima) ad appropriazione di parte del plusvalore, come rendita capitalistica, sotto forma di denaro. Macchina perenne il capitale per il capitalista per estorcere pluslavoro, ma calamita perenne la terra per il proprietario fondiario per attrarre parte del plusvalore estorto. Perché il capitale non è solo una pompa di plusvalore; è anche la riproduzione della società che storicamente e peculiarmente si poggia sull’estrazione del plusvalore.
In uno dei tanti indici del terzo libro con i quali Marx cercava di sistemare la materia, come terza sezione del III libro, compariva proprio la trattazione della rendita, al posto della caduta tendenziale del saggio di profitto. Forse questa successione avrebbe esibito con maggiore evidenza il rapporto tra profitto e rendita, e meglio reso la centralità della teoria degli extraprofitti come determinazione immediata e pratica della teoria del valore. Già, perché la teoria del valore, di per sé, non mette capo che a banali volgarizzazioni di tipo socialistico, che depotenziano e addirittura obliterano il ruolo della rendita, e quindi fingono una realtà capitalistica tanto semplice quanto falsa. La difficoltà di comprendere la rendita non è solo politica, bensì quella di coglierla all’interno di una teoria generale degli extraprofitti che considera, insieme, gli extraprofitti appropriati dal capitalista e che entrano nella determinazione del prezzo di produzione come media; e quelli appropriati dai proprietari della terra sotto forma di rendita, e sottratti agli imprenditori affittuari che pure ne hanno determinato le condizioni.
Lo sviluppo di questo rapporto determina, comunque, che la massa assoluta della rendita tende ad accrescersi addirittura più che proporzionalmente nei confronti del profitto industriale, manifestandosi, quindi come il vero limite al movimento del capitale.
Amadeo Bordiga, il dogmatico – in realtà critico nei confronti degli eterni stupefatti – conclude questo scritto avvertendo che non è un libro per professori, ai quali, anzi, augura di penzolare: Professeurs, à la lanterne! Anche se la sua lettura, in extremis, non sarebbe loro inutile.
Claudio Del Bello

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